Cos’è questo rumore?
Una motosega al lavoro nella foresta! Il trapano di un dentista che violenta un premolare! Martelli pneumatici che scoperchiano una strada! Ruote che frenano stridendo! La furia di gatti che si azzuffano!
La chiave che gira nella serratura!
Lissa! Lissa! Lissa!
In piedi sulla soglia. Le dita contro la bocca, allarmata. Il corpo piegato all’indietro, per lo shock. Poi il grido. E poi:
— Lascialo stare! Levagli le mani di dosso, Nat!
Seguito da un bombardamento improvviso di forza mentale, un singolo colpo tremendo che fece cadere Macy a terra, tramortito. Buio. Sommovimento interno. Cigolio di meccanismi difettosi. Lento ritorno alla semicoscienza. Lissa che lo abbracciava, stringendogli la testa dolorante fra le braccia. Un sapore di rame in bocca. Un incredibile dolore lancinante fra gli occhi. La faccia di Lissa, sbavata e tesa, accanto alla sua. Un debole sorriso preoccupato. E Hamlin che era sparito dalla circolazione. C’era nella testa di Macy quella strana e meravigliosa solitudine che aveva provato così poche volte dal primo risveglio del suo secondo io. Solo. Solo. Che silenzio qui.
10
— Paul? Mi senti?
— Lontana un milione di chilometri.
— Stai bene?
— Confuso. Intontito. Gesù, intontito! — Cercò di sedersi. Lei lo fece sdraiare di nuovo sulla poltrona. È incredibile quanto sia forte. Si guardò le mani. Tremavano, si contraevano. Come se attraverso il suo corpo fosse passata una forte corrente elettrica, e stesse ancora circolando nei sistemi periferici, provocando uno spasmo muscolare qui, uno là.
Cercò Hamlin. Nessuna traccia. Per il momento.
— Cosa è successo? — chiese.
— Ero sulla porta — disse Lissa. — E dal di fuori potevo sentire le ondate che venivano dalla sua mente e dalla tua. Soprattutto dalla sua. Tu eri… addormentato, drogato, ubriaco, non so. Passivo, comunque. E lui stava prendendo il sopravvento, Paul. La sua mente era avvolta intorno alla tua. Ti stava spegnendo, un pezzo alla volta… è il solo modo per descriverlo… e tu eri già mezzo andato. Sommerso, smontato, spento, scegli tu.
— Avevamo fatto un patto. Dovevamo dividerci il corpo, per metà del tempo l’avrebbe comandato lui, l’altra metà io. Mi aveva promesso che se l’avessi lasciato fare, mi avrebbe restituito il corpo quando fosse arrivato il mio turno.
— Ti ha ingannato — disse lei. — Cos’eri, ubriaco? Fumato?
— Tutti e due.
— Tutti e due. Capisco. Ti ha fatto abbassare le difese, in maniera da prendere il controllo totale. Ho sentito tutto dall’esterno. Ho aperto la porta. Dentro la sensazione era molto più forte. Tu seduto con un sorriso idiota sulla faccia. Gli occhi aperti, ma vuoti. Hamlin che ti dominava. Allora io… non lo so, non mi sono fermata a pensare, l’ho solo colpito. Con la mente.
— Penso che tu l’abbia ucciso — disse Macy.
— No. L’ho ferito, ma non ucciso.
— Non lo sento più.
— Io sì — disse lei. — È molto debole, ma posso sentirlo, in fondo al tuo cervello. È come se fosse caduto dal terzo piano. Non so come l’ho fatto. Ho colpito e basta.
— Come quella volta nel ristorante.
— Credo di sì — disse lei. — Perché l’hai lasciato fare? Macy alzò le spalle. — Abbiamo parlato assieme per tutta la sera.
Mentre aspettavo che tu tornassi a casa. Abbiamo fatto quasi amicizia. Ci siamo proposti a vicenda dei patti, compromessi, accordi. Poi è venuto fuori questo discorso di spartirci il corpo. Io ero già partito, credo. Per fortuna sei arrivata tu. — La guardò e disse: — Ma dove diavolo eri andata?
Fuori, gli disse. Aveva deciso di uscire verso le cinque, andare nel suo appartamento a prendere alcune cose. Lui le diede un’occhiata sospettosa. Anche nel suo stato di confusione attuale, poteva vedere che era tornata a mani vuote. Le fece notare la cosa e lei mise in scena un tentativo di sembrare innocente, scuotendo molto la testa, dicendogli che dopo essere arrivata a casa aveva deciso che tutto sommato quelle cose non le servivano, e le aveva lasciate lì. E il resto della sera? Dalle sei a ora? Aveva chiacchierato con alcuni vecchi amici, a casa. Sicuro, pensò lui ricordando il tipo di vicini che aveva, i poveracci, i banditi.
Senza accusarla esplicitamente di mentire, glielo fece capire. Lei si mostrò indignata, e subito dopo contrita. Ammise tutto. Se n’era andata senza intenzione di tornare. La tensione eccessiva, il rumore mentale, il continuo cicaleccio della doppia anima entro il singolo cervello, non ce la faceva più a sopportarlo. Tutta la notte stesa accanto a lui, a ricevere gli echi confusi e informi del conflitto che si svolgeva dentro la sua testa. Forse non te ne rendi conto neppure tu, gli disse. Di come Hamlin ti bombardi tutto il tempo, lasciami uscire, lasciami uscire, lasciami uscire. In profondità, sotto il livello della coscienza. Quel continuo grido di sofferenza. E tu che combatti, Paul. Lo sopprimi, lo schiacci. Non te ne accorgi?
E lui scosse la testa, no, no. Me ne rendo conto solo quando sale alla superficie e comincia a parlarmi, o quando mi afferra parti del sistema nervoso. Dimmi qualcos’altro. E Lissa gli raccontò. Trasmettendogli, in brevi frasi spezzate, la sofferenza che le provocava la semplice vicinanza di Macy, e quanto le era costato, in termini di angoscia extrasensoriale, il suo trasferimento lì. Lui da solo era già abbastanza tremendo da sopportare, ma la doppia identità, quello era troppo, troppo, tutta quella pressione telepatica, la testa le si spaccava.
E diventava peggio di giorno in giorno. Si accumulava. Di nuovo il vecchio impulso a nascondersi dall’intera razza umana. Non è colpa tua, Paul, lo so, non è colpa tua, ti ho chiesto io di avere pietà di me e di aiutarmi, ma così stanno le cose. Anche quando non sei qui, sento te e Hamlin che mi assediate. Mi premete contro le tempie.
Come un inquinamento dell’aria: Macy comprese che lei avvertiva i residui lasciati dal sudore dei loro io che lottavano, che ammorbavano e avvolgevano l’appartamento, molecole unte di coscienze incorporee che aleggiavano nelle stanze, risucchiate nei suoi polmoni a ogni respiro. Un avvelenamento quotidiano. Così alla fine aveva dovuto uscire per snebbiarsi la testa. Era partita alle cinque, una lunga passeggiata verso il centro, ora dopo ora, meccanicamente muovendo un piede dopo l’altro. Alla fine, verso sera, era arrivata vicino alla 116 Strada Ovest. Una triste esplorazione notturna fra le rovine della vecchia università.
Lui la fissò allarmato. Davvero sei andata laggiù? Quei gusci di edifici bruciati erano il paradiso degli stupratori, il rifugio dei rapinatori, si diceva. Era un suicidio andare in un posto simile di notte. E lei gli aveva rivolto una strana occhiata sfuggente, vagamente di colpa. Cosa aveva fatto quella sera? La sua immaginazione gli fornì una possibile risposta… o era Hamlin a suggerirgli quel pensiero? Oppure gli era venuto da lei, filtrando attraverso il contatto mentale. Una figura confusa nell’ombra, che la seguiva attraverso il campus in rovina. Ma Lissa follemente senza paura, forse ansiosa di corteggiare la morte o la mutilazione, una sfida, voltandosi verso lo sconosciuto inseguitore, facendogli l’occhiolino, sollevandosi la tunica, ancheggiando. Forza, dacci dentro, che mi importa? Bang, bang, bang, su un mucchio di detriti. Dopo, l’uomo che le lanciava un’occhiata perplessa. Devi essere proprio matta, tu. Ed era corso via, lasciandola a proseguire la sua solitaria passeggiata. Era successo davvero? I suoi vestiti non erano spiegazzati né sporchi.