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Macy si disse che era tutta una sua fantasia perversa; lei era andata semplicemente a fare una passeggiata, non aveva allargato le gambe a uno sconosciuto, non si era liberata la testa dagli echi cercando lo stupro. Vai avanti, le disse. Hai camminato fra le rovine, e poi? Ho pensato molto, disse lei. Chiedendomi se dovevo tornare a casa mia e restarci. O tornare qui da te. O magari ammazzarmi. La cosa più facile. Qualunque cosa faccia, una tragedia; non è uno scherzo, vedi. E alla fine aveva cominciato a sentire la stanchezza, a pentirsi della sua lunga spedizione notturna, a preoccuparsi che lui si preoccupasse della sua scomparsa. Aveva raggiunto una fermata del tubo, era tornata. Giunta sulla porta, si era resa conto del subdolo attacco in corso. Entrata. Salvataggio all’ultimo istante. Squilli di trombe!

— Perché sei tornata? — chiese lui.

Un’alzata di spalle. Con tono vago: — Non so. Forse perché mi sentivo sola. Forse ho avuto la premonizione che tu fossi in pericolo. Non ci ho pensato. Sono venuta e basta.

— Vuoi andartene per sempre?

— Non so. Vorrei poter restare con te, Paul. Se solo. Il dolore. Smettesse. — Si stava allontanando di nuovo da lui. La voce sognante, a scatti. — Un fiume di fango nella testa — mormorò. Si gettò sul letto, il viso fra le mani. Macy andò da lei per confortarla. Per quel che poteva. Accarezzandola teneramente, malgrado il dolore dietro gli occhi. Ancora una volta si era verificato quel curioso flusso di forza, a quanto pareva. Da lei a lui. Quella bizzarra, improvvisa inversione dei ruoli, chi aveva confortato veniva confortato. Dieci minuti prima lei aveva lottato per rimetterlo insieme, adesso era crollata, afflosciata. E Hamlin pensa che questa ragazza sia distruttiva. Povero mostro penoso.

Lei disse indistintamente, senza alzare la testa. — Il tuo Centro Riab ha ritelefonato questa mattina. Un dottore con un nome spagnolo.

— Gomez.

— Sì, Gomez, mi pare.

— E allora?

Pausa. — Gli ho raccontato tutto. È rimasto molto turbato.

— Cosa ha detto?

— Voleva vederti subito. Ho detto di no, che era impossibile, Hamlin ti avrebbe attaccato se ti avvicinavi al Centro Riab. Non aveva l’aria di crederci. Credo di averlo convinto, dopo un po’.

— E poi?

— Alla fine ha detto che doveva discutere della cosa con i suoi colleghi, e che avrebbe richiamato fra un giorno o due. E che dovevo telefonargli se c’erano degli sviluppi nuovi.

Macy considerò la possibilità di chiamarlo subito. Svegliare il bastardo dal suo letto di rose. Poteva arrivare al Centro Riab per l’una, l’una e mezzo di mattina. Magari potevano fargli un’iniezione di qualcosa mentre Hamlin era in letargo, e metterlo fuori combattimento una volta per sempre. Lissa si oppose all’idea. Hamlin non è così in letargo come credi, disse. È nascosto, ma non è fuori gioco. Se ne sta rintanato, raccogliendo le forze. Non si può sapere cosa farebbe se si sentisse minacciato.

Macy frugò i suoi recessi cerebrali alla ricerca di Hamlin, ma non riuscì a scovarlo. Comunque, non telefonò a Gomez. Il rischio era troppo elevato. Lissa aveva probabilmente ragione: Hamlin manteneva ancora la sorveglianza, laggiù, ed era capace di prendere provvedimenti drastici, e magari mutuamente fatali se veniva compiuto qualche tentativo di raggiungere il Centro. Paul non osava vedere il suo bluff.

Si prepararono ad andare a letto. Carne contro carne, ma nessun gesto copulatorio. Lui aveva sulle spalle un fardello troppo pesante per pensare di montare in quel momento una Lissa forse non troppo disposta. Ed era ancora ossessionato dall’immagine dello conosciuto che la scopava fra le rovine dell’università. Domani è un altro giorno, allegria! Mentre Macy stava per addormentarsi, la sentì dire: — Gomez non vuole che stia più con te. Pensa che io sia pericolosa per te.

— Perché hai risvegliato Hamlin?

— No, questo non gliel’ho detto. Non gli ho detto niente del mio… dono.

— Allora perché?

— Perché vengo dalla tua altra vita. Non dovresti mai rivedere i personaggi di Nat Hamlin, ricordi? Ti hanno condizionato per questo.

— Sapeva chi eri?

— Gli ho detto che facevo la modella per Nat. E del nostro incontro per strada. Praticamente mi ha ordinato di andarmene.

— È per questo che sei uscita?

— Cosa ne so io? — disse con petulanza. Si rannicchiò vicino a lui. I capezzoli che gli sfioravano la schiena. Voltarsi e farsela? No. Non quella sera. Quel fottuto impiccione di Gomez. Mi piacerebbe dirgli una cosa o due. Se solo potessi. Se solo. Che casino. Ma domani è un altro giorno. E poi sta già russando. Lasciamola riposare. Magari potrei dormire anch’io. Dormire. Forse sognare.

Tre giorni di relativa tranquillità. Venerdì, sabato, domenica. Il suo primo fine settimana con Lissa. Nessuna notizia da Hamlin, a parte qualche occasionale rutto e brontolio psichico. Evidentemente la botta che gli aveva dato Lissa l’aveva lasciato molto debole. Nessuna notizia neppure da Gomez. Un tranquillo fine settimana insieme. Dove andiamo, cosa facciamo? Il primo assaggio di caldo estivo sulla città. Stiamo a letto fino a tardi. Scopiamo con la musica di Mozart. Dee-dum-dee-dum-dee-dum-dum, diddy-dum diddy-dum diddy-dum. Le gambe di Lissa sulle sue spalle, in maniera piacevolmente lasciva. Gli occhi di lei che brillavano, dopo, sotto la doccia. Scherzosa come una gattina. Gli insapona l’uccello, cercando di farlo rinvenire, e ci riesce. Per un uomo maturo sono piuttosto virile, eh? Risate. Colazione. Le notizie del mattino che escono dalla fessura.

Poi uscirono. L’umore di lei già in discesa. Si accorse che diventava cupa, cominciava a ritrarsi. Sembrava una cosa impossibile mantenerla felice per più di due ore di seguito. Cercò di ignorare il suo umore nero, sperando che svanisse. Una giornata così bella. La luce dorata del sole che si riversava dal Bronx.

— Dove vuoi andare, Lissa? — Lei non rispose. Sembrava quasi che non l’avesse sentito. Chiese ancora.

— Voci — mormorò lei. — Queste fottute voci. Sono una Giovanna d’Arco nella merda. — Lissa? Lissa? Voltandosi verso di lui, il tormento negli occhi colore oceano. — Un fiume di fango — disse. — Spesso fango marrone che si accumula sulla mia testa. Presto mi uscirà dalle orecchie. Un delta da ciascuna parte.

— È una giornata così bella, Lissa. Tutta la città è nostra.

— Andiamo dove vuoi tu — disse lei.

Dietro suo suggerimento, andarono allo zoo del Bronx. Passeggiarono mano nella mano accanto ai vari habitat, abilmente simulati. Era difficile credere che quei leoni davvero non avessero modo di saltare il fossato. E cosa impediva a quegli uccelli di volare via dalla loro cupola? Era completamente aperta da una parte, Cristo! Ma naturalmente, c’erano dei sistemi per controllare la pressione dell’aria e il flusso ionico. Lo zoo era affollato. Famiglie, amanti, ragazzini. La maggior parte aveva un aspetto più buffo della popolazione al di là dei fossati. Le grida roche degli animali. Nasi umidi che si torcevano, occhi tristi.

Una gabbia su tre circa era segnata con una stella nera, che indicava come la specie fosse estinta allo stato naturale. Rinoceronte bianco. Ippopotamo pigmeo. Giraffa reticolata. Bisonte europeo. Rinoceronte nero. Tapiro sudamericano. Wombat. Orice arabico. Tigre del Caspio. Canguro rosso. Bandicut. Bue muschiato. Orso grigio. Tante specie sparite. Altri cento anni, e resteranno solo cani, gatti, pecore e mucche. Ma naturalmente gli africani avevano avuto bisogno di carne durante gli anni della carestia, prima della Correzione Demografica. E i sudamericani, e gli asiatici. Tutti quei bambini, tutte quelle bocche affamate, e alla fine non era servito a niente, erano arrivati a mangiarsi fra loro dopo che gli animali erano spariti. Adesso gli zoo erano l’ultimo rifugio. E per alcuni era troppo tardi.