Macy ricordava una gita con suo padre, quando aveva dieci o dodici anni, allo zoo di San Diego, a vedere il panda gigante. "Questo è l’ultimo che esista al mondo, figliolo. Portato via clandestinamente dalla Cina comunista prima dell’esplosione." Un grosso orsacchiotto a due colori, seduto nella gabbia. Non esistevano più panda giganti da nessuna parte, adesso. Qualcuno imbalsamato, come ricordo. Suo padre? Lo zoo di San Diego? Avevano davvero un panda gigante laggiù, allora? Le oscillazioni della memoria. Senza dubbio non era mai accaduto. Forse non era mai esistito un animale del genere.
Lissa disse: — Posso sentire le loro menti. Degli animali.
— Davvero?
— Non mi ero mai accorta di riuscirci. Non ero mai stata allo zoo prima.
Lui era sul chi vive, pronto a portarla di corsa alla fermata del tubo se l’impatto fosse stato troppo forte. Non fu necessario. Lissa era piena di gioia, estatica, nello spiazzo accanto alla vasca delle foche, mentre assorbiva i muggiti i belati i latrati gli ululati di cento specie. — Forse posso trasmetterti qualcosa di quello che ricevo — disse, e gli prese le mani nelle sue, aggrottò la fronte, lo fissò negli occhi, tanto che i passanti annuirono e sorrisero alla vista del vero amore che si esprimeva in mezzo alle foche e alle tigri, ma lui non riuscì a cogliere nemmeno un brandello di quello che Lissa gli trasmetteva.
Così lei glielo descrisse, a momenti alterni, ogni volta che poteva dedicargli un momento dalle sue contemplazioni. I pensieri alti, striduli e gutturali della giraffa. Il cupo rimuginare del rinoceronte. Le emissioni complesse, tetre e amare, dell’elefante africano, quello dalle grandi orecchie, un Kierkegaard della zoologia. Il cinguettio scintillante degli scimpanzé. Le impertinenti esplosioni mentali del procione lavatore. Le tartarughe delle Galapagos meditavano sull’eternità; l’orso bruno era sorprendentemente sensuale; i pinguini facevano sogni ghiacciati.
— Ti stai inventando tutto? — le chiese, e lei gli rise in faccia, come un S. Tommaso d’Aquino accusato di inventarsi la trinità. Un’ora dopo, si era completamente spenta. Pranzarono con alga-burger e Lenin soda, e presero il marciapiede mobile fino all’uscita, Lissa che ridacchiava, stupidamente, ubriaca per le sue bestie. — L’orangutan — disse — potrei dirti esattamente come voterebbe alle prossime elezioni. E se solo potessi farti sentire lo gnu! Oh, cazzo, lo gnu!
Ma prima di sera era tornata di umore nero. Il pomeriggio andarono a Manhattan, girando intorno agli edifici bruciati, raggiungendo poi i nuovi eleganti quartieri residenziali, e lui cercò di interessarla ai saloni di divertimento, alle fumerie, alle piscine eccetera; ma lei era indifferente, lontana. Cenarono in un ristorante cinese su un molo dell’Hudson, e lei piluccò il cibo svogliatamente, lasciandone buona parte nel piatto, il cameriere che ridacchiava. Una serata tranquilla a casa. Non abbiamo amici, si rese conto Macy. Suonarono Bach e fumarono molto.
Appena prima di andare a letto, Hamlin parve stiracchiarsi e sbadigliare dentro di lui. O era solo un’illusione? Un pessimo rapporto sessuale, quella sera: Lissa era alquanto giù, lui non molto meglio, tutti e due goffi e non troppo convinti mentre si abbracciavano nel letto. Cercò di penetrarla, e lei era secca. Perseverò, sa solo Dio perché. Finalmente un po’ di lubrificazione. Ma non molto entusiasmo, da parte di lei. Come scopare un robot; fu tentato di piantare lì a metà, ma pensò che sarebbe stato poco educato, e si costrinse a un orgasmo solitario e insoddisfacente. In seguito, fece alcuni brutti sogni, ma niente che non avesse già avuto.
Sabato fu un fallimento. Lissa vuota, assente. Una giornata che non finiva mai. Domenica molto meglio. Gli si gettò addosso al sorgere del sole, cavalcandolo, abbassandosi fino a farsi penetrare. Buon giorno! Buon giorno! Buon giorno! Su e giù, su e giù. Seni che dondolavano sopra di lui. Le dita sorprese di Macy che circondavano i globi lisci e freddi del suo sedere. Dopo di che, lei preparò una abbondante colazione. Allegra e saltellante come un’adolescente; forse una finzione: cercando con tutte le sue forze di essere una buona compagna, sospettò lui. Dopo quella giornata schifosa che mi ha fatto passare ieri. Uno a uno.
— Dove andiamo? — chiese lei.
— Al Museo di Arte Moderna — suggerì Macy. — Ci sono degli Hamlin, no?
— Sì, cinque o sei. Ma credi davvero che sia una cosa saggia da fare? È rimasto molto tranquillo negli ultimi due giorni, ma la vista delle sue opere potrebbe risvegliarlo.
— È esattamente quello che voglio scoprire — le disse.
Andarono. Il museo, si scoprì, aveva sette Hamlin: due pezzi grandi, quasi impressionanti come l’Antigone, e cinque più piccoli. Erano esposti tutti nella stessa sala: quattro raggruppati in un angolo, e tre contro la parete opposta, il che diede a Macy l’occasione di una prova critica: la presenza di tante opere di Nat Hamlin avrebbe risvegliato l’artista in letargo, mediante qualche sorta di leva psichica?
Coraggiosamente, Macy si piazzò fra i due gruppi, dove sarebbe stato esposto al massimo di influenza. Bene, Hamlin? Dove sei? Ma benché avvertisse qualche confuso contorcimento subliminale, non c’era nient’altro che indicasse la presenza di Hamlin dentro di lui. Studiò attentamente le sculture. Il conoscitore che faceva le sue superiori osservazioni.
Soltanto poche settimane prima, nell’ufficio di Harold Griswold, la vista del pezzo di Hamlin l’aveva tramortito, mentre adesso ascoltava con orecchio critico le risonanze, osservava il lieve mutare dei contorni, insomma faceva tutti i suoi apprezzamenti con grande disinvoltura.
Alcuni ragazzi nella sala, forse occupati in una ricerca su Hamlin. Apparentemente lo riconobbero. Guardarono la sua faccia, poi il distintivo Riab, poi ancora la sua faccia, poi le sculture, poi sussurrarono fra di loro. Neanche questo lo disturbò: essere scoperto come zombie ambulante del grande artista. I ragazzi non osarono avvicinarsi a lui. Macy rivolse loro un sorriso benevolo. Se volete vi faccio un autografo. Questi capolavori furono creati con queste stesse mani, sapete.
Rimase sorpreso per la sua nuova elasticità. Venire lì, affrontare le opere di Hamlin, il tutto con grande calma. Scoprì che la vista di quelle opere risvegliava a poco a poco in lui quella triste e deprimente nostalgia di avere accesso al passato in cui quel corpo aveva dato la luce a quelle sculture. Il suo vero passato. Come stava cominciando a considerarlo. Come se anche lui fosse giunto a concordare con Hamlin di essere una mera finzione, una aberrante e mostruosa nonrealtà appiccicata alla vera vita di Nathaniel Hamlin. Perciò anelava a conoscere quell’altro tempo. Chi ero quando ero lui? Come ho creato queste opere? Cosa significava essere Hamlin? Un brutto momento. La sottile e corrosiva influenza di Hamlin dentro di me, che mi mina anche quando lui è silenzioso. Così sono arrivato a dubitare di me stesso. Ho cominciato a disprezzare me stesso. E a desiderare di essere lui. Questa è la strada che conduce alla resa; torniamo indietro.
Anche Lissa parve disturbata dal gruppo di Hamlin. Forse ricordava un passato più felice. I bei giorni del primo amore. La tremenda sensazione di essere stata scelta da Nathaniel Hamlin per il suo letto. Tutte le strade aperte. Ed essere arrivata a quello. Che capovolgimento. Macy poté vedere la tristezza sul suo volto. Era stato un errore infliggerle l’arte di Hamlin? O forse si sentiva semplicemente oppressa dalla folla domenicale del museo. Adesso è ora di andare.