1984, l’anno di Orwell, la situazione complessiva adeguatamente incasinata, come previsto, anche se non tanto come quel vecchio bastardo pessimista aveva immaginato, e in questa piccola città abita il dodicenne Nat Hamlin, appena entrato nella pubertà, pieno di energie senza fondamento e ribollenti bisogni senza direzione. Quale piccola città? Dove? Occupati dei fatti tuoi. Il ragazzo è magro e alto per la sua età. Lunghe dita sensibili. Il padre vuole che diventi chirurgo del cervello. Si guadagna bene, figliolo, specialmente adesso con tutte queste psicosi in circolazione. Apri il cranio, vedi, e ci infili dentro le tue lunghe dita sensibili, tagli questo, giunti quest’altro, amputi quello, tremila dollari, prego, e investi in azioni sicure.
Il ragazzo non ascolta. In soffitta, modella piccole figure di creta. Non è mai entrato in un museo; non ha alcun interesse per l’arte. Ma c’è un piacere sensuale nello schiacciare e maneggiare la creta. Gli dà un caldo formicolio allo scroto e una deliziosa tensione nelle mascelle quando lavora con la creta. Riempie la soffitta di grottesche figurine. Di sicuro vedi il mondo in maniera strana, ragazzo. Hai visto per caso qualche Pee-cas-so? E chi è questo Pee-cas-so? È quel vecchio bastardo francese, ci fa un milione di dollari all’anno con questa roba? Sul serio? Dove posso vederne qualcuno? E va al museo, a due ore di viaggio. Pee-cas-so. Non è così che si scrive. Non è male, sì, sì. Ma io sono bravo quasi quanto lui. E ho appena cominciato.
Il primo pezzo di grandi dimensioni adorna adesso la soffitta. Un metro e dieci di altezza. Adattato da uno dei dipinti di Picasso: donna con due facce, il corpo bizzarramente distorto lungo l’asse perpendicolare, una vera sfida per un ragazzino di quattordici anni, per quanto sia bravo. Il creatore giace nudo davanti a essa. Baffetti radi. Culo foruncoloso. Atto di omaggio alla musa. Afferra l’organo con la sinistra. Su e giù, su e giù, su e giù. Oooh e ahhh. Sessanta secondi: vicino al suo record di velocità. E mira precisa. Battezza il capolavoro con zampilli di liquido salato. Ah. Ah. Ah.
Lei ha lunghi capelli lisci e dorati, nello stile antiquato che va di moda fra le ragazze di questa città. Occhiali senza montatura, maglione di peloso cashmere verde, gonna corta. Hanno quindici anni. Lui l’ha attirata nella soffitta dopo averle detto timidamente, anestetizzato dall’erba, di essere uno scultore. Lei è una poetessa, le cui opere compaiono regolarmente sul giornale della città. Apprezza le belle arti. Questo villaggio di filistei; noi due contro tutti gli altri. Guarda, per questo mi sono ispirato a Picasso, e questi sono i miei lavori giovanili, e questo è quello che sto facendo adesso. Che cose strane, Nat, piene di talento. Vuoi dire che nessuno lo sa? Quasi nessuno. Chi le capirebbe. Io le capisco, Nat. Lo sapevo, Helene.
Sai una cosa? Non ho mai lavorato con una modella. Un passo avanti importante nella mia carriera. Oh, no, non potrei. Proprio non potrei. Voglio dire, sarei imbarazzata da morire! Ma perché? Dio ti ha dato il corpo. Senti, da che mondo è mondo le ragazze hanno posato per artisti famosi. E io ne ho bisogno. Come faccio altrimenti a crescere come artista? Lei esita. Be’, forse. Fumiamo prima. Lui tira fuori la sua riserva di erba. Lei aspira due boccate per ognuna di quelle di lui. Ridacchiando. Lui è mortalmente serio. Glielo chiede di nuovo. Sì, sì, sì. Sei sicuro che tua madre non salirà? No di certo, non gliene frega niente di quello che io faccio quassù.
Poi. I vestiti che cadono. Il suo corpo incandescente. Appena riesce a guardarla. Quindici anni e non l’ha mai vista. Un po’ indietro per la sua età, ha passato troppo tempo da solo in soffitta. Maglione, reggiseno. I suoi seni sono pesanti; non spuntano dritti, quando sono nudi, penzolano un poco. I capezzoli molto piccoli, appena più grandi dei suoi. Fossette nel sedere. I peli più scuri dei capelli, e più crespi. Sembra che le manchi qualcosa, senza l’uccello. Lui ha le guance in fiamme. Ecco, resta ferma così. Non osa toccarla. La fa mettere in posa muovendo le mani in aria. Vorrebbe che allargasse le gambe. Non sa bene che aspetto abbia, e non riesce a vedere. Ma lei non lo fa. È così fumata, però
Prende la creta. Sì. Sì. Lavora furiosamente. Nel frattempo quel posare la eccita. Anche l’artista dovrebbe essere nudo, dice. Per essere pari. Lui ride. Che idea assurda. Non riuscirei a concentrarmi. Mezz’ora. Il sudore che gli cola dalla fronte. Sono stanca di posare, dice lei. Posso smettere? Smettono. Lei gli viene vicino. Lo guida. Metti la mano qui. E qui. Oh. Oh. Oh. Gli tira giù la cerniera. Il suo uccello sta per esplodere. Presto, vienimi sopra. Oh. Oh, Dio!
LA GRANDE CITTÀ
Un piccolo appartamento. Dozzine delle sue opere favorite sparse dappertutto. Il famoso critico d’arte che gli fa visita. Alto, serio, i capelli argentei. Anche l’artista è alto e serio. Diciannove anni. Perché vorresti andare a una scuola d’arte, chiede il critico. Ragazzo mio, tu sei già un maestro. Una mano paterna intorno alle spalle di Hamlin. Quello che ti serve adesso è un mercante. Con una sponsorizzazione adeguata potresti arrivare lontano. E sei così giovane. Ancora la peluria sulle guance. Così dicendo il famoso critico d’arte accarezza le guance imberbi. Fissando nel fondo degli occhi il giovane artista. Potresti rendermi l’uomo più felice del mondo questa notte, dice il famoso critico d’arte, con tenerezza.
Piccoli cerchi rossi incollati su ogni etichetta. Venduto. Venduto. Venduto. Venduto. Un debutto di buon auspicio. Tutta la gente in vista che compra. Il mercante, grasso, nella gloria della sua carne, che gli dà pacche sulle spalle. Ventidue anni. Un successo immediato. Adesso le scene si susseguono a caso, fondendosi l’una con l’altra, qualche volta due contemporaneamente, sullo schermo diviso a metà.
E la telecamera sempre più veloce, all’impazzata.
E la sequenza sfasata.