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Passi nel corridoio, alle sue spalle.

Qualcuno correva verso di lui.

Rapinatore. Accoltellatore. L’inseguitore delle scale. Macy cercò di voltarsi per affrontarlo, ma prima di essere arrivato a metà, l’altro gli fu addosso, gli afferrò le braccia, bloccandolo. Un uomo grande quanto lui. Lottarono silenziosamente, nel buio, grugnendo. Un ginocchio si piantò nel fondo schiena di Macy. Riuscì a liberarsi un braccio, cercò di afferrare il suo assalitore, un occhio, un orecchio, qualsiasi cosa. Prima che usasse il coltello. Prima che usasse il paralizzatore.

Con uno scossone, Macy riuscì a spingere l’altro contro la parete, colpendolo forte con la spalla, ma poi sentì il braccio prigioniero che veniva storto oltre i limiti. Una fitta selvaggia di dolore. Disperatamente, Macy colpì nuovamente l’altro con la spalla. Cercò di dargli una testata, sperando di atterrarlo con un colpo solo. Niente da fare. Niente da fare. La lotta selvaggia continuò, inutile chiamare aiuto: chi avrebbe aperto la porta in un posto del genere? Slam e slam e slam. Era interamente preso a difendersi. Una concentrazione totale. Entrambi respiravano affannosamente. Sto opponendo più resistenza di quanto si aspettasse! Un punto morto. Per fortuna è uno solo. Se riuscissi a liberarmi la mano, e sbattergli la testa contro la parete…

Poi. Nel momento più frenetico della lotta. Una convulsione interna.

Hamlin.

La sua mossa.

Il tempo si arrestò, in maniera che Macy poté percepire ciascuna fase della conquista con calma e distacco. Hamlin, avendo raccolto le forze per alcuni giorni, si stava avvantaggiando del combattimento nel corridoio, della totale concentrazione di Macy nelle proprie difficoltà, per impadronirsi dei centri motori del loro cervello comune. Strappando connessioni a piene mani e reinserendole sotto la propria giurisdizione. Macy stava cadendo in un abisso senza tempo. E Hamlin stava sistematicamente ed efficientemente portando a termine quella che doveva essere una conquista attentamente calcolata. Gamba destra. Gamba sinistra. Braccio destro. Braccio sinistro. La paralisi si diffondeva, un’inattesa gelata estiva. Macy affondava, affondava, affondava. Nessun modo per difendersi; si era lasciato il fianco scoperto, e il nemico si stava riversando oltre la palizzata. Giù. Giù. Giù. Molto freddo, adesso, e un grande silenzio. Dov’era la sorveglianza di Gomez? Mano destra sulla spalla sinistra. Estremo pericolo. Ah. Bell’aiuto. Macy si rese conto che lui e Gomez si erano dimenticati di concordare un segnale importante, quello che diceva: Aiuto, mi sta conquistando! Non che ci fosse qualcuno ad aiutarlo, lì. Mano destra sulla spalla sinistra. Mano sinistra sulla spalla destra. Estremo pericolo. Giù. Giù. Mi ha preso.

12

Era sommerso in un mare di liscio vetro verde. Interamente avvolto da esso, incapace di risalire alla superficie; sopra la sua testa una lastra solida, impenetrabile, infrangibile, che lo separava dall’aria. Soffocava, i polmoni in fiamme, la testa che sembrava dovesse esplodere. Una sensazione di dolore sordo a entrambi i polpacci; un rigonfiamento delle dita. Sotto i suoi piedi penzolanti, un abisso senza fondo, nero, denso. Da molto in alto arrivavano fiochi raggi di luce verde-dorata. Immagini confuse e indistinte del mondo superiore. Tutte le percezioni rifratte e distorte e trasformate. Le sue mani che spingevano disperatamente lo strato vetroso sopra di lui. Che non voleva cedere. Oh, Dio, devo essere all’inferno! Come faccio a respirare? Come ha fatto a farmi questo? Come farò a uscire di qui? Sto affondando. Lentamente, giù e giù. Pesci con i denti per spolparmi. Poteva sentire lo scorrere delle correnti, fiumi nell’oceano, che lo sbattevano qua e là. Rabbrividì. Il terrore lo invase. Dunque è così. Mi ha preso. Mi ha preso. Sono dentro di lui.

Macy provò un senso acuto di perdita, di dislocamento. Era stato così bello vivere nel mondo. La luce del sole, la gente, le risate, perfino le incertezze, le tensioni. Essere vivo, almeno. Poi essere spodestato, gettato a terra, cancellato, diseredato. Mi ha portato via tutto quando non ero pronto ad andarmene. Non è giusto. E adesso? Il dolore di questo luogo. Ansimare. Soffocare. La paura.

Ma sopravvisse alla prima ondata di terrore e scoprì che non ce n’era una seconda. Si calmò. Gradualmente, raffinò e chiarì la consapevolezza della sua nuova condizione. Si rese conto che anche se non poteva raggiungere l’aria, neppure affondava di più, e anche la sensazione di affogare non doveva essere presa troppo alla lettera. In effetti, quello non era un mare. Tutte le immagini marine, si rese conto, erano puramente metaforiche. Era in effetti sommerso, sospeso fra qualcosa e qualcos’altro, ma era diventato una semplice rete elettrochimica distesa fra i recessi di quello che, a questo punto, era costretto a considerare come il cervello di Nat Hamlin. Hamlin era sul ponte di comando, in cima. Macy occupava qualche indefinibile fessura, o serie di fessure. Non poteva vedere. Non poteva sentire. Non poteva parlare. Non poteva muoversi. Non era altro che un’astrazione, un’identità priva di corpo. Che si potesse propriamente dire che esisteva, era discutibile.

Adesso che il primo shock era passato, fu sorpreso del fatto che la perdita dell’indipendenza non portasse con sé alcuna disperazione. Sorpresa, sì. Irritazione e fastidio, sì. (Con quanta abilità Hamlin l’aveva fregato!) Costernazione, sì. (Che sensazione strana essere intrappolato qui. Che claustrofobia. Riuscirò mai a uscirne fuori?) Ma non disperazione. Neppure paura. Anche Hamlin si era trovato nella stessa situazione, no? E lui aveva resistito, l’aveva controllata, era riuscito a scappare. Dunque perché non io? C’era naturalmente una forte tentazione ad accettare lo stato di fatto passivamente. A dirsi che in fin dei conti non aveva mai avuto diritto a una vera esistenza. Che sarebbe stato meglio per tutti, adesso che il sovvertimento delle personalità c’era stato, se lui se ne stava tranquillo in quel luogo simile a un utero. Lasciando pacificamente a Hamlin il corpo a cui aveva diritto per nascita. Ma la tentazione non tentava grandemente Macy. Per quanto facile fosse iniziare un’esistenza vegetale, preferiva una vita più attiva. Un corpo suo. Il breve assaggio di vita che aveva avuto, l’aveva lasciato desideroso di averne ancora.

Non ho mai veramente incominciato, dopo tutto. Solo poche settimane da solo, lontano dal Centro. Con lui che mi tormentava per la maggior parte del tempo. E adesso questo. Combatterò. Lo butterò fuori come lui ha buttato fuori me. Può darsi che non sia nato, ma ero reale e voglio tornare all’esistenza.

Pazientemente, esaminò le opzioni disponibili. Era possibile stabilire un input sensoriale? Vediamo. Concentriamoci. Se raccogliamo le forze… così… e le puntiamo in una singola direzione… così… entriamo in contatto con qualcosa? No. No. Oscurità vetrosa dappertutto. Però… Adesso. Cos’è questo? Un nodo, un appiglio. Che possiamo afferrare. A cui possiamo applicare una pressione interna. Sì! E percepiamo. Il flusso di sensazione. Ma cosa percepiamo? Il nostro ambiente.

Sì, proprio come aveva detto Hamlin, si arriva a una specie di percezione dell’immagine del cervello dentro cui ci si trova. Se solo avessi fatto maggiore attenzione, quando eri al Centro, a quelle poche spiegazioni di anatomia strutturale che ti davano per spiegarti cosa avevano fatto alla tua testa. Le vescicole sinaptiche. La fenditura sinaptica. Spina dendritica. Terminale del cilindrasse. Organelli, filamenti e tuboli. Mitocondrio neurale. Corpus callosum. Commessura anteriore. Corteccia limbale. Sistema centro-encefalico. Parole. Parole. Quel torrente sconcertante di nomi privi di referente. Ma in qualche modo, un po’ di comprensione filtra. Uno esplora, si infila qua e là, impara qualcosa. E il buio si schiarisce.