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…Ma ci sono ancora io, Hamlin.

Macy. Oh, merda! Macy. Non mi aspettavo di sentirti così presto.

…Mi spiace deluderti.

Perché non ti sgretoli e basta? Dissolviti. Lasciati assorbire dai fagociti craniali, suggerì Hamlin. Sei finito comunque. La tua nebulosa esistenza è cessata, Macy. Ammettilo e sparisci.

…Il Centro Riab non mi ha programmato per l’autodistruzione.

Non mi servi, Macy.

…Ma io sì, disse Macy.

A cosa servi? Quale possibile valore hai per il mondo? Per chiunque?

…Ho un immenso valore per me stesso. Sono il solo io che ho. E voglio sopravvivere. Ti batterò, Hamlin. Ti sbatterò fuori di nuovo, e questa volta ti abolirò. Vedrai.

Ti prego. Le tue chiacchiere mi fanno venire il mal di testa, ed è una così bella giornata.

…Ti farò venire ben altro che un mal di testa.

Le minacce erano inutili. Macy voleva produrre qualche drammatica dimostrazione della sua capacità di tormentare Hamlin. Rendergli pan per focaccia. Strizzargli il cuore, afferrargli un fascio di muscoli delle guance, chiudergli gli occhi, fargli pisciare nei pantaloni. Dargli un bello scossone, ma naturalmente senza fare niente di male al corpo che condividevano. Solo che non poteva. Il quoziente di tormento di Macy era vicino allo zero. Tutto quello che poteva fare era tenere sotto controllo l’input sensoriale di Hamlin e indirizzare messaggi direttamente al suo cervello cosciente. Chiacchiere. Ma nessun controllo dei centri motori. Nessun accesso al sistema autonomo. Soltanto un passeggero che non ha la più pallida idea di dove sia l’acceleratore o il freno e neppure il bottone delle luci. Nel frattempo Hamlin, tranquillamente, girò un angolo ed entrò nel vestibolo di un negozio di lusso, sulla cui vetrina affumicata danzavano le parole omnimum galleries, ltd. in globuli galleggianti di luce capillare verde. Dentro, una batteria di sensori antirapina lo immerse in raggi di luce analizzatrice. Una porta interna finalmente si aprì, e Hamlin entrò nella galleria, senza fermarsi un momento a osservare i tesori di arte contemporanea esposti. Hamlin disse alla ragazza seduta alla scrivania: — C’è il signor Gargan?

— Ha un appuntamento?

— Non credo. Ma mi riceverà.

— Il suo nome?

Hamlin ebbe un’esitazione. Macy registrò un’ondata di aspra mortificazione. Un dilemma. Dopo un momento Hamlin disse: — Il mio nome è Macy. Paul Macy — con un’occhiata significativa al distintivo Riab sulla giacca. — Ma gli dica che prima mi chiamavo Nat Hamlin.

— Oh. — Un momento di sorpresa e di confusione; un rossore di imbarazzo che si diffuse fino ai seni della ragazza, scoperti secondo l’ultima moda. Si riprese subito. Un dito ingioiellato sull’intercom. — Il signor Macy desidera vedervi, signor Gargan. Paul Macy. In precedenza Nat Hamlin.

Da qualche ufficio interno un ruggito di sorpresa, che non aveva bisogno di amplificazione. Hamlin venne rapidamente introdotto. Una stanza sferica. Un folto tappeto nero, simile a muschio, che ricopriva il tutto per 360 gradi, un uomo di non plausibile corpulenza sdraiato lungo la curva della parete sinistra con una mano grassoccia appoggiata languidamente su un pannello di controllo con i pulsanti tempestati di pietre preziose. Non si alzò all’ingresso di Hamlin. Un oceano di grasso; pieghe su pieghe di carne. I lineamenti appena discernibili entro la massa: occhietti suini, naso schiacciato, labbra strette, puritane. Da questa distesa, la voce pigolante di un piccoletto: — Per l’uccello del Padreterno, cosa ci fai da queste parti? Non dovresti venire qui, Nat!

— Ti dispiace?

— Se mi dispiace? Lo sai che ti voglio bene. Solo che non capisco. Ti hanno preso per la riabilitazione; pensavo fosse la tua fine. Quando sei uscito, a proposito?

— All’inizio di maggio. Ti sarei venuto a trovare prima, ma c’erano dei problemi.

— Ti trovo bene. Come quello di una volta. Ma hai il distintivo. Sei qualcun altro adesso, giusto? Qual è il tuo nuovo nome?

— Macy. Paul Macy.

— Non mi piace. È un nome senza balle.

— Non me lo sono scelto io, Gargantua.

Il grassone si tirò la pappagorgia. — Devo chiamarti Nat o Paul?

— È meglio che mi chiami Paul.

— Paul. Paul. Be’, ci proverò. Siediti, Paul. Gesù, che nome untuoso! Siediti lo stesso. — Hamlin si sedette. Macy inerte spettatore dentro di lui, si sedette anch’egli. Ascoltando ogni parola della conversazione, ma senza poter parlare. Come se vedesse tutto su uno schermo. Aveva già visto quel grassone, quella galleria, fra i detriti dei ricordi di Hamlin; ma gli sembrava molto più grasso adesso. Quell’uomo e Hamlin erano diventati ricchi insieme grazie al genio di Hamlin. Questi si stese voluttuosamente. Nel pieno controllo del suo corpo riconquistato. Il tappeto nero sembrava spesso trenta centimetri: elastico, morbido. Gargan toccò un pulsante del pannello e la stanza dolcemente ruotò, cambiando il suo asse di circa 15 gradi. Il lato dov’era Hamlin si sollevò, quello di Gargan si abbassò. Macy provò un vago senso di vertigine. Il grassone giaceva quasi disteso, massaggiandosi la pancia. Poco dopo ruttò e disse: — Cosa te ne pare del mio nuovo ufficio. O quello vecchio non te lo ricordi?

— Ricordo. È fantastico, Gargantua. Come un fottuto palazzo babilonese. Una galleria per sibariti, eh?

— Abbiamo una clientela selezionata.

— Te la cavi bene. E hai messo su peso, vero? Se non mi sbaglio, un sacco di peso.

— Direi di sì. Cento o centocinquanta chili dall’ultima volta che mi hai visto.

— Sei una bellezza.

— Credo anch’io.

— Dove cazzo trovi il tempo di mangiare tanto?

— Oh, non perdo tempo a mangiare troppo — disse Gargan. — Mi sono fatto regolare chirurgicamente il sistema lipostatico. L’equazione corpo-grasso-glucosio è stata cambiata. Brucio lentamente, figliolo, molto lentamente. Con quello che tu mangi per crescere di un etto io cresco di un chilo. E divento sempre più bello ogni giorno, eh? Voglio arrivare a mezza tonnellata, Nat! Paul. Devo chiamarti Paul.

— Paul, sì.

— Ma è assurdo. — Gargan si mosse leggermente, allungando il collo. — Come fai a ricordarmi? Perché al Riab non hanno cancellato tutto?

— L’hanno fatto.

— Ma sembri proprio…

— Sono un caso speciale. Non fare troppe domande.

— Ti seguo, Nat.

— Paul.

— Paul.

— Stai più attento al mio nome, ti spiace? Sono un uomo completamente nuovo. Lo spregevole stupratore antisociale che ha fatto tanti danni terribili a tante donne innocenti è stato umanamente distrutto, Gargantua, e non camminerà mai più sulla faccia della terra.

— Ti seguo. Dove abiti?

— In periferia. Una sistemazione temporanea. Posso darti l’indirizzo, se vuoi.

— Ti prego. E il numero di telefono.

— Non ci starò per molto. Non appena avrò messo insieme un po’ di soldi, troverò qualcosa di più adatto.

— Hai già un lavoro?

— Come commentatore olovisivo — disse Hamlin. — Forse mi hai visto. Le ultime notizie della sera.

— Parlo di lavoro.