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Ed ecco, al di là di quell’abbagliante macchia di sorprendenti betulle, la casa. Alte mura di massi grigio-marrone, legati con antica malta grigia. Finestre piombate scintillanti nella luce della luna. Il cuore di Hamlin che batteva forte. Antichi ricordi in una danza agitata. Guarda, guarda lì. Lo stagno, il torrente, la piscina. Esattamente come Lissa li aveva descritti, esattamente come Macy li aveva visti attraverso le lenti della memoria di Hamlin. E lo studio. Dove tanti miracoli erano stati creati.

…Perché sei venuto qui?

Un pellegrinaggio. Un viaggio sentimentale.

…È la casa di qualcun altro adesso.

Perché non vai a farti fottere, Macy?

…Ho a cuore il tuo benessere. Non puoi andare in giro così. Potrebbero esserci dei cani. Sistemi di allarme. Lo sai cosa ti succederebbe se venissi preso?

Hamlin non rispose. Avanzò cauto verso lo studio, e Macy captò un abbozzo di piano per forzare una finestra ed entrare. Hamlin si aspettava forse di trovare il suo laboratorio intatto, le complicate apparecchiature psicoscultoree ancora al loro posto. Assurdo. Lo studio probabilmente era stato trasformato nella serra di una ciarliera matrona suburbana. Hamlin continuò ad addentrarsi furtivamente nel boschetto che costeggiava il torrente. Che ci provi. L’allarme comincerà a suonare, e nel giro di dieci minuti qui sarà pieno di poliziotti. Una frenetica caccia attraverso i boschi. Cyber-cani lucidi, dai musi piatti, che scivolavano con cingoli silenziosi sulle foglie cadute dell’anno scorso, puntando sugli indicatori termici che tradivano l’uomo in fuga. Il fuggiasco circondato, intrappolato, catturato. Identificato come Paul Macy, ricostruzione Riab, ma la polizia, dopo aver parlato con Gomez C., scopre che Macy era stato infestato da una riapparizione della sua precedente identità. Quindi. Azione rapida. Wham! Aghi nel braccio. Hamlin eliminato una seconda volta.

E la sua minaccia di distruggere il loro corpo comune, in caso di guai? No, pensò Macy, non può farlo mentre è lui a comandare il cervello cosciente. Un uomo non può spegnere il proprio cuore a volontà. Poteva farlo quando era quaggiù, dove sono io, collegato a tutte le connessioni neurali. Così Hamlin morirà una seconda volta, e il corpo sopravviverà. Per essere usato da me. Forza Nat. Continua a strisciare, penetra nello studio, fai scattare l’allarme, sveglia i cani, rimettimi sulla strada verso una vita indipendente. Sì. Ti sarò molto grato.

Cos’è che sta uscendo dalla piscina? La ciarliera matrona suburbana in persona! Venere sulla conchiglia. Una donna sulla quarantina, alta, non propriamente grassa ma ben fornita, capelli scuri, lunghi fianchi curvi, cosce grassottelle, faccia amabile e vacua. La passerina castamente nascosta da un minuscolo cache-sex; seni nudi, pieni, probabilmente non tanto alti quanto lo erano un tempo. Guarda sorpresa Hamlin che viene verso di lei.

Pronta reazione adrenalinica anche da parte di Hamlin. Pupille dilatate, pulsazioni accelerate, irrigidimento dell’uccello. Nessuna meraviglia che sia eccitato. La situazione quintessenziale dello stupro. Giorno, sobborghi, donna sola, scarsamente vestita, l’uomo che emerge dagli alberi. La scaraventa a terra, la mano sulla bocca, le allarga le cosce, glielo infila dentro. Ooom. La sbatte per bene e scappa. Un’altra tacca sul cazzo.

…Ahaha! Ci risiamo. Il vecchio vizio.

Non scocciarmi, scattò Hamlin. Con uno sforzo recuperò il suo equilibrio sessuale, i modi cortesi. Le rivolse un sorriso sesso-cortese e un piccolo cenno col capo. Tutto sotto controllo. — Spero di non averla spaventata, signora. — La voce untuosa.

— Non fatalmente. — Gli occhi della donna passarono dalla sua faccia, al distintivo Riab, di nuovo alla faccia. Un po’ confusa ma non allarmata. Non cercò di coprirsi il seno, malgrado la situazione fosse potenzialmente provocante. La posa spigliata della classe superiore. — Mi scusi se faccio un tremendo errore, ma lei non è… non è…

— Nat Hamlin, sì. Quello che abitava qui. Ma il mio nome è Paul Macy adesso.

…Bugiardo!

— L’ho riconosciuta subito. Che piacere conoscerla! — Evidentemente non si rendeva conto che non era opportuno per un ricostruito tornare nei luoghi del suo vecchio io. Oppure non le importava. — Lynn Bryson, a proposito. Abitiamo qui da due anni. Mio marito è chirurgo genetico. Desidera qualcosa da bere signor… Macy? O qualcosa da fumare?

— No, grazie, signora Bryson. Avete comprato la casa dalla … vedova di Hamlin?

— Dalla signora Hamlin, sì. Che donna affascinante! Naturalmente non voleva più abitare qui, con tutti quei ricordi terribili da una parte e dall’altra. È nata una meravigliosa amicizia fra noi, mentre la casa cambiava di mano.

— Ho sentito parlare molto bene di lei — disse Hamlin. — Naturalmente io non ho alcun ricordo. Lei mi capisce.

— Naturalmente.

— Il passato di Hamlin è un libro chiuso per me. Ma lei comprenderà che ho una certa curiosità naturale circa le persone e i luoghi della sua vita. Come se fosse, in un certo senso, un mio famoso antenato, e sentivo di dover sapere qualcosa di più su di lui.

— Naturalmente.

— La signora Hamlin abita ancora in questa zona?

— Oh, no, si è trasferita a Westchester. Bedford City, credo.

— Si è risposata?

— Sì, naturalmente.

Il coltello che affondava nella piaga, per Hamlin.

— Per caso conosce il nome del nuovo marito? — Con molta cautela, nascondendo ogni traccia di tensione.

— Potrei trovarlo — disse la donna. — Un nome ebreo. Klein, Schmidt, Katz, qualcosa del genere, una parola corta, tedesca. Uno che lavora nel teatro, un produttore, una persona molto a modo. — Il suo sorriso si allargò. I suoi occhi scrutarono il corpo di Hamlin con compiaciuta sensualità. Come se non le dispiacesse l’idea di essere sbattuta. La sua maniera di entrare in intimità con il grande artista scomparso. Se solo sapesse. Via quel triangolino di plastica attorno alla vita, giù sull’erba, le cosce bianche e carnose che si aprono. Ooom. - Vuole seguirmi? — chiese la donna con disinvoltura. — Ce l’ho in casa. E vorrà vedere la casa, immagino. Lo studio. Sa, abbiamo conservato lo studio del signor Hamlin esattamente com’era quando… prima che… quando cominciarono i suoi disturbi.

— Davvero? — Un selvaggio balzo interiore. Eccitato. — Tutto è ancora intatto?

— La signora Hamlin non voleva nessuna delle sue cose, perciò sono restate a noi insieme alla casa. Così abbiamo pensato, come c’è la casa-museo di Rembrandt ad Amsterdam, e quella di Rubens ad Anversa, così conserveremo lo studio di Nathaniel Hamlin intatto qui, non per il pubblico naturalmente, ma come una specie di sacrario, un monumento, e nel caso che qualche studioso desideri vederlo, qualche grande ammiratore di Hamlin, be’, lo renderemmo accessibile. E poi naturalmente le generazioni future. Vuole seguirmi? — Sorridendo, voltandosi, incamminandosi sul prato rasato. Natiche grassottelle, ondeggianti. Hamlin, sudato, pieno di adrenalina, che seguiva. La vecchia, familiare casa di pietra. L’ala bassa, annessa. Un gesto allegro della mano di lei. — C’è un ingresso allo studio dall’altra parte del… — Hamlin era già sulla strada. — Oh, vedo che lo sa già. — Ma come fa a saperlo? Nessuna indicazione che lei sospetti qualcosa. — Cercherò il nuovo nome della signora Hamlin, e anche il suo indirizzo. Ci vediamo fra un paio di minuti nello…

Studio. Esattamente come l’aveva lasciato. A sinistra della porta, la grande finestra rettangolare. Fiumi di luce. Di fronte alla finestra, la pedana di posa con i microfoni, gli analizzatori e i sensori ancora al loro posto, e perfino i suoi ultimi segni col gesso ancora tracciati per terra. Sulla parete di destra il suo quadro di comando, leve e manopole e pulsanti e quadranti, che avrebbero senza dubbio lasciati perplessi Rembrandt e Rubens, o quanto a questo anche Leonardo da Vinci. Le cuffie. Il controllo di ionizzazione. Le spine di connessione, staccate. Lo schermo dei dati. La penna luminosa. Il generatore sonico. Un tale intrico di apparecchiature. In fondo, una stanza più piccola, altre cose visibili: rotoli di filo, supporti metallici, mucchi di creta da modellare, il grosso elettropantografo, il fotomoltiplicatore, e altre cose che Hamlin non parve riconoscere. Hamlin vagò come stordito fra tutte queste cose. Macy captò i suoi pensieri cupi. L’artista era spaventato, atterrito perfino, dalle complessità dello studio. Cercando di adattarsi all’idea che lui un tempo aveva usato tutta quella roba come se fosse una sua seconda natura. A cosa serviva quella cosa? E quella? E quella? Merda, come funziona tutto quanto? Non ricordo più niente.