…Il Riab ti ha distrutto, Nat, più di quanto tu ti renda conto.
Chiudi il becco. Potrei riprendere in mano tutto nel giro di tre ore. Una nota di falsa spavalderia. Potenti correnti di incertezza venivano dalla sua corteccia. Hamlin staccò un pezzo di creta e cominciò a manipolarla. Era dura, dopo tutto quel tempo. E anche lui. Le dita non rispondevano. Scolpiamo la signora Bryson. Ecco, arrotoliamo un lungo tubo di creta, così, poi… No. Immediatamente, le proporzioni erano sbagliate. Hamlin si morse le labbra. Correggendo il suo inizio intuitivo. È alta, sì, con le anche larghe, e serve un po’ più di creta qui, per le tette.
…Rinuncia, Nat, non hai più la mano.
Vai a cagare, Macy. Cosa ne sai tu?
Tuttavia Hamlin non riusciva a nascondere l’inquietudine al suo passeggero. Armeggiava con la creta, la schiacciava, fallendo anche in quella semplice operazione di modellare, sforzandosi di trasferire l’immagine nella sua mente alla massa che aveva fra le dita. In quel momento di tensione, Macy raggiunse nuovi collegamenti e per la prima volta ottenne un certo controllo sul sistema nervoso centrale di Hamlin. Plink. Pizzicando i neuroni. Il gomito di Hamlin ebbe una contrazione. Il cilindro di creta si piegò in due. Plink. Un’altra contrazione. Hamlin che gli urlava silenziosamente, infuriato. Macy si stava divertendo. Continuò a dare strattoni alle sinapsi di Hamlin, mentre l’artista tremava e rabbrividiva, in un crescendo di rabbia e di frustrazione. Il modello della signora Bryson in rovina. Hamlin che guardava nervosamente le sue apparecchiature, così incomprensibili, così terrificanti. Dicendosi che in quattro anni, quattro e mezzo, era possibile che uno si dimenticasse un sacco di superficiali operazioni meccaniche, ma che il vero talento non va mai perso, quel dono innato e fondamentale, quell’insieme di percezioni e di intuizioni che è il vero materiale a cui l’artista applica le abilità acquisite.
…Avanti, Nat, continua a ripeterlo, magari fra un po’ comincerai anche a crederci.
Lasciami in pace. Lasciami in pace. Potrei imparare di nuovo come funziona tutta questa roba in mezza giornata.
…Ma certo, tesoro. Chi ne ha mai dubitato?
Diede ad Hamlin un altro colpetto al midollo, twong, poi al sistema autonomo, blork, poi a quello limbale, whonk. Sì. Sto cominciando davvero a imparare! Proprio come aveva fatto lui. Il piede nell’altra corteccia, per così dire. Gliela farò vedere io. Hamlin stava facendo una danza demenziale, contorcendosi in giro per la stanza, mentre Macy giocava con lui. Sembrava non riuscisse a riprendersi abbastanza per contrattaccare; era come se le vibrazioni emanate da tutto quanto l’apparato psicoscultoreo l’avessero frastornato e sbilanciato. Continua a pestarlo, si disse Macy. Potrebbe essere l’occasione buona per riprendere il comando. Twong twong twong! Le braccia si agitavano all’impazzata. Le ginocchia si contraevano a scatti. Credo che potrei farlo cagare nelle mutande. Un bel punto psicologico a mio vantaggio, ma, se poi vinco io, mi ritrovo sporco di merda.
Poi Hamlin cominciò a reagire. Con gelida furia, ricacciò indietro Macy. Cancellando dalla mente le distrazioni di quello studio allarmante, per poter ristabilire la disciplina interna. Ecco fatto. Macy vide che non aveva ancora la capacità di sconfiggere l’altro, anche se imparava in continuazione e si rafforzava. Più tardi. Un’altra volta. Per il momento ha vinto lui.
— Non è affascinante questo studio, signor Macy?
Un gorgheggio idiota, un allegro trillo di contralto. Entra la signora Bryson. Un foglietto di carta in mano. Non per caso, si è liberata del triangolino di stoffa, e arriva tutta nuda, ballonzolando allegramente. Gli occhi luccicanti, i seni che si sollevano pieni di speranza. Triangolo di peli neri, ricci, folti. I capezzoli che si trasformano in torrette. L’odore caldo di una cagna in calore che si spande nell’aria. Qui non ci facciamo caso alla nudità, sa signor Macy. I vestiti sono così primitivi, non le pare? Poi forse una mano sullo scroto, gli tira fuori l’arnese, giù sul pavimento fra l’apparato del grande artista. Essere posseduta dal suo simulacro. Ooom. Ma non questa volta, signora. — Ho avuto qualche difficoltà a trovare il nuovo nome e indirizzo della signora Hamlin — disse. — Era insieme alle nostre carte, infilato in mezzo, e ho dovuto frugare dappertutto…
— Sì — disse Hamlin. Balbettò. Un bisogno frenetico di uscire di lì. Gola secca; faccia arrossata; occhi vitrei. Difendendosi contemporaneamente dagli attacchi di Macy dall’interno e dalla beffa delle sue apparecchiature dall’esterno. Il cespuglio nero e la fessura calda della matrona di nessun interesse per lui, in quel momento. L’atmosfera inaspettatamente soffocante del suo studio l’aveva completamente evirato. Scappare, in fretta. Afferrando il pezzo di carta dalle mani della donna. — Graziemilleadessodevoandare. — Le passò accanto e si avviò veloce verso la porta. La faccia di lei d’improvviso una maschera rigida di sorpresa e di rabbia: sa che verrà respinta. L’inferno non ha furia.
Sembra dieci anni più vecchia. Rughe profonde dalle guance al mento. I capezzoli si afflosciano; le spalle cadono. Tutta la sua nudità sprecata. Le braccia tese, le dita che si contraggono come per riportarlo indietro. Niente da fare. Hamlin ha raggiunto la porta. Fuori, nella luce del giorno. Inseguito da tentacoli fantasmi di libido femminile. — Non occorre che vada via subito! — chiama lei. Hamlin non rispose. Si guardò alle spalle una volta, la vide sulla porta dello studio, donna nuda ben fornita ricca-pigra sulla soglia della mezza età, sconcertata dal panico dell’uomo, stupita perché il suo corpo è stato respinto. Il proprio panico ha sconcertato lui pure. La testa gli girava. Macy fece del suo meglio per peggiorare le cose, dando uno strattone a tutte le linee neurali contemporaneamente. Hamlin ululò, ma riuscì a conservare il controllo e continuò di corsa. Di. Corsa.
Di nuovo in macchina, mentre sobbalzavano a casaccio in direzione ovest, attraverso parecchie contee, Macy si chiese se sarebbero sopravvissuti a quel viaggio. Quelle stradine di campagna non avevano alcuna striscia protettiva, e quindi i meccanismi omeostatici della macchina erano praticamente inutilizzabili; se il veicolo andava fuori strada, niente gli avrebbe impedito di fracassarsi contro le grosse querce ai margini.
E Hamlin era in uno stato tremendo. Stringeva la leva come un folle. Gli occhi vitrei, in una fissità maniacale. Mascelle serrate. Guidava automaticamente, utilizzando una minuscola porzione del tessuto cerebrale per manovrare il veicolo, mentre il resto della sua mente ripercorreva selvaggiamente gli eventi dell’ultima mezz’ora. La macchina sbandava da un lato all’altro della piccola strada, superando ogni tanto la linea mediana, o finendo sui bordi.