La maggior parte delle difese di Hamlin erano abbassate, ma come prima Macy aveva paura a mettere in opera un tentativo di conquista mentre la macchina era in movimento. Se ne stava rannicchiato nel cranio di Hamlin, come se fosse un rifugio antiaereo, e aveva temporaneamente scollegato l’input ottico, perché la vista della strada che ondeggiava follemente attraverso gli occhi di Hamlin gli dava il mal di mare. Meglio così. Seduto in solenne silenzio su un molo buio. Attorno a lui lampeggiavano ancora le eruzioni dell’angoscia di Hamlin. La visita allo studio l’aveva realmente scosso. Ritrovandosi nel suo elemento, fra i suoi strumenti di scultore, Hamlin aveva dimostrato di non sapere che pesci pigliare. Macy si chiese perché. Forse il processo Riab aveva provocato dei danni irreversibili alla personalità di Hamlin? Forse non rimaneva più nulla dell’originale Nat Hamlin a parte un fascio di vecchi ricordi, un ammasso di frasi e atteggiamenti, qualche tic dello spirito. Forse lo scultore, l’uomo di genio, era stato irrimediabilmente demolito, e quel ritorno era una semplice illusione.
D’altra parte, pensò Macy, forse era stato lo sforzo di mantenere il controllo sul loro corpo comune ad aver prosciugato in maniera così drastica l’energia psichica di Hamlin. C’erano stati segni, durante tutta la giornata, che indicavano come la presa di Hamlin non fosse troppo salda, e cedeva di ora in ora. La mattina, mentre procedeva spavaldamente verso la galleria di Gargan, per presentare il suo contratto-ultimatum al grasso mercante, e durante tutte le trattative, Hamlin era apparso in pieno controllo della situazione, ma verso la fine dell’incontro con Gargan aveva cominciato a dar segni di fatica, e le difficoltà che aveva incontrato nel guidare dalla città al suo studio nel Connecticut avevano svelato un ulteriore indebolimento.
Poi la disastrosa visita allo studio. Continue falle. La batteria che si esauriva, e nessun tempo per ricaricarla. Doveva essere necessario uno sforzo continuo e tremendo da parte di Hamlin per far funzionare quel corpo, dopo essere stato danneggiato dagli esperti in obliterazione del Riab. Macy sapeva che lui stesso non era arrivato al punto da poter riacquistare il controllo del corpo, ma da come stavano andando le cose, non poteva mancare molto. No, non poteva mancare molto. O stava illudendo se stesso?
Ricollegò il video. La macchina ancora sbandava lungo le strade di campagna. Hamlin sedeva rigido, perso nelle sue meditazioni, e prestava un’attenzione minima alla guida. Tremendo. Il corpo non sarebbe servito a nessuno dei due, se Hamlin andava a fracassarsi con la macchina. Ci sarebbero rimasti secchi. Ma non c’era nulla che Macy potesse fare in quel momento. Cancellò di nuovo la scena. Si immerse a fondo fra i ricordi di Hamlin. Tutto gli era accessibile, tutte le scene immagazzinate durante la vita attiva del suo io precedente. Fallimenti e trionfi, soprattutto trionfi. Le donne. I critici. I ritagli di giornale. L’uomo-spettacolo. Il denaro. L’accumulo di proprietà. Tutto lo sfarzo superficiale. Tuttavia, sotto gli splendori del carrierismo, Macy poteva scorgere in Hamlin l’autentico impulso artistico, la brama di rendere reali le sue visioni. Bisognava dargli atto di questo. Era stato un bastardo, senz’altro, e lo era ancora, ma aveva inseguito una visione, l’aveva realizzata, l’aveva offerta al mondo. Ci sono coloro che fanno e danno, e coloro che prendono e consumano, e Hamlin era stato dei primi.
Macy lo invidiava. Chi sono le persone vere fra noi, se non coloro che creano, che danno, e arricchiscono coloro che stanno intorno? Indipendentemente dai loro motivi: lo facciano per i soldi, per egocentrismo, per qualsiasi basso stimolo, ma lo fanno. Hanno qualcosa che val la pena di essere fatto, e lo fanno. Hamlin era uno di questi.
Io sono uno dei consumatori, pensò Macy. Colpa di Gomez C, suppongo: avrebbero potuto darmi qualcosa di più importante. Il loro capolavoro artistico, l’autogiustificazione creativa. Ma naturalmente non sono pagati per fare questo. Solo per riempire corpi umani vuoti con esseri umani ragionevolmente funzionanti. Gomez non è un artista, è un dottore, e non può trascendere se stesso quando esegue una ricostruzione. Se sono di seconda classe, è perché anche i miei creatori sono di seconda classe.
A differenza di questo bastardo di Hamlin. Il cui lato oscuro era pur esso visibile: il collasso interiore, l’abbandono di ogni ancoraggio. Aggirandosi fra le strade silenziose. L’artista come predatore. Ciascuno stupro ben etichettato e catalogato negli archivi. E non semplicemente lo stupro. Non solo l’introduzione dell’Oggetto Duro X nell’Orifizio Riluttante Y, ma tutto il resto, gli annessi e connessi, le lascività, lo scherno, le stravaganze, le perversioni, le schifezze. Anche in un’età permissiva ci sono ancora cose ritenute abominevoli.
Hamlin doveva essere impazzito. Una dodicenne con gli occhi spalancati obbligata a guardare la giovane madre, bionda e carina, che fa un pompino al famoso artista: che genere di cicatrici lascia una cosa simile su una psiche non ancora formata? E tutti i rapporti anali. Una scia di sfinteri lacerati attraverso quattro stati. Senza neanche lubrificarlo prima. Questo è sadismo, Hamlin. Eri proprio fuori di testa.
Ma fino a che punto eri veramente pazzo? Non avevi forse una consapevolezza lucida di quello che stava succedendo, e non te la godevi? Sì. E tutta questa merda non era latente dentro di te, per tutto il tempo? Sì. Okay, qualcosa l’ha portata in superficie. D’improvviso, è arrivato il Tempo del Mostro nella tua testa, e sei uscito per dar corpo a tutti i sogni mefitici che avevi nutrito dai tempi della tua adolescenza repressa e solitaria. Giusto? Giusto. E hai messo tutto in archivio per potertelo poi gustare. Non c’è da stupirsi se ti hanno condannato alla decostruzione. Gesù, mi sento sporco soltanto a frugare fra questa roba. Creatore di capolavori. Donatore di visioni uniche. E sotto, la tua risata satanica. Dicendo alla corte che eri pazzo, che eri in preda a un impulso irresistibile, una compulsione ossessiva, ma era davvero così? Forse credevi di creare un nuovo genere di opera d’arte, fatta non di colori o creta o plastica, o bronzo, ma di corpi femminili, violati e sanguinanti, una scultura astratta composta da dozzine di vittime, formanti un disegno che solo tu potevi aver creato. Gesù! Che caso da obliterare, eri!
Macy si accorse che la macchina non era più in movimento. Rapidamente innestò la visione.
Erano parcheggiati nella piazza centrale di una città suburbana di media grandezza, con negozi stile Westchester Tudor, alti due o tre piani, in legno e muratura, da poco ridipinti in bianco e marrone, immersi nella luce ambrata del tardo pomeriggio. Hamlin aveva infilato la testa fuori dal finestrino; stava chiedendo a un poliziotto (un poliziotto!) la strada per Lotus Lane. Un torrente di indicazioni a fuoco rapido. Volti a sinistra alla colonnina computer, segua Colonial Avenue fino alla Statale 4480, volti a destra al segnale lampeggiante giallo, percorra circa dieci isolati, no dodici, raggiungerà la zona industriale, volti a destra all’edificio alto, poi fino alla fumeria (un sorrisetto: abbiamo anche noi roba del genere!), poi a sinistra e così arriva sulla Statale 519, e tutte le strade che la incrociano hanno il nome scritto, non può sbagliarsi. La Lotus è sulla sinistra.
Grazie, agente. E così si parte. Sinistra, destra, destra, sinistra. Ancora quiete strade di campagna. Hamlin teso. Nessuna difficoltà a seguire le istruzioni. Sinistra, destra, destra, sinistra, la fumeria, la zona residenziale, Cypress Walk, Redbud Drive, Oak Pond Road, Lotus Lane. Lotus. Numero 55. Una linda casa a stucchi, vecchia di venti o trent’anni, con una cupola solare in perspex e finestre ovali, opacizzabili. Una targhetta: coniugi kraffts. Hamlin si presentò allo scanner. Dall’interno, via intercom, una voce da mezzosoprano, calda, ferma, dolcemente modulata: — Chi è?