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Adesso riusciva a muoversi più facilmente. Macy raggiunse la macchina e appoggiò il pollice sulla piastra di apertura. La portiera scivolò di lato. Si sedette e prese fra le mani la leva di comando. D’improvviso l’idea di guidare lo spaventò. Gli avevano insegnato come guidare al Centro Riab, un paio di anni prima, ma negli ultimi tempi non aveva fatto molta pratica; e in quel momento c’era anche il rischio che Hamlin risalisse alla superficie e facesse qualche stronzata, sull’autostrada. Gli ho dato una bella botta quando ho preso il controllo, ma non si sa mai.

Hamlin? Sei sveglio?

Nessuna risposta dall’abisso. Ma Macy avvertiva la presenza del suo alter ego: un flebile riverbero metallico dal profondo, come le grida di un djinn arrabbiato per essere stato nuovamente rinchiuso nella sua bottiglia.

Bene. Resta così. Non disturbarmi mentre guido.

Se solo riuscissi a tenere il maledetto tappo sulla bottiglia, questa volta.

Appoggiò il pollice sul pannello di accensione, e la macchina, dopo aver analizzato l’impronta e aver scoperto che corrispondeva a quella del suo attuale proprietario, si mise in moto. Cautamente Macy tolse il freno, avanzò. La macchina rispose a dovere, la grande bestia sbuffante imbrigliata. Da che parte era New York, adesso? Lunghe ombre pomeridiane. Il sole a metà della sua discesa. A destra. Scegli una direzione qualsiasi. Riuscì a uscire dalla zona residenziale, immettendosi nella strada principale tagliò la strada a due macchine, che risposero suonando irosamente e giustamente il clacson, e scoprì un cartello verde-su-bianco che lo indirizzò verso la città. Verso casa. Un viaggio difficile. Ma sopravvisse.

Sperava di trovare Lissa ad attenderlo nell’appartamento. Stesa sul letto nelle sue piacevoli pose impudiche, la musica che suonava, i capelli aggrovigliati, l’aroma dell’erba nella stanza. Si sarebbe gettato stancamente sopra di lei, affondando la testa fra i seni ballonzolanti. Macché. L’appartamento, vuoto e deserto soltanto da una ventina di ore, aveva l’aspetto abbandonato e squallido di una catacomba di quinta classe. Si tolse i vestiti sudati e spiegazzati. Doccia. Barba. Vaghi pensieri di cenare. L’ultimo pasto che ricordava di aver mangiato era il pranzo di giovedì. Adesso era ora di cena di venerdì. Hamlin si era preoccupato di rifornire di carburante il loro corpo, durante le sue diciotto ore di comando? Macy non si sentiva particolarmente affamato. Tutti questi scambi di identità. Devono avermi rovinato l’appetito. Strano. Uno penserebbe che questi sforzi mentali abbiano bruciato un sacco di energie. Ma qualcosa da bere non mi dispiacerebbe.

Si versò un bourbon robusto, e si lasciò cadere nudo su una poltrona. Un po’ del liquore gli si rovesciò sulla coscia. Fredde gocce marrone sui peli dorati. Non si sentiva per nulla trionfante ad aver fatto sloggiare Hamlin. A che gli serviva essere di nuovo al comando? Chi era lui, per avere tanto bisogno di vivere? Un senso oppressivo di essere arrivato alla fine si impossessò di lui. Paul Macy, nato nel 1972 a Idhao Falls, padre ingegnere, madre insegnante, figlio unico.

Falso. Falso. Stronzate. Non sono nato da nessuna parte, sono venuto fuori da una provetta. Sono un golem, un dybbuk, una costruzione. Senza amici, senza famiglia, senza scopo. Lui almeno era reale. Si sarebbe scopato la sorella più piccola, avrebbe rubato i giocattoli a un bambino, ma aveva un’identità, una personalità che si era guadagnato vivendo. Un dono artistico.

Allora, Hamlin? Vuoi riavere tutto? Perché insisto a mettermi sulla tua strada? Forse hai ragione; forse dovrei lasciarti vincere.

Hamlin non fece motto. Soltanto gli echi metallici ex profundis. Deve essere in letargo, esausto per tutto quello che ha fatto. Che vada a farsi fottere. Meglio perderlo. La sua anima è piena di veleni. Che mi venga un accidente se mi faccio da parte per lui, genio o non genio. Ce ne sono tanti di grandi artisti al mondo. Ma c’è un solo Paul Macy, per quanto poco valga. Questo sarebbe il momento giusto per andare al Centro Riab. Mentre Hamlin è suonato. Me lo faccio estirpare una volta per tutte. E se riaffiora? E se mi fa saltare le coronarie, come ha promesso? Che vada a farsi fottere. Se vuole, può farlo. E allora fallo. Così moriremo tutti e due. Pax vobiscum. Dormiremo il sonno eterno, lui e io. Qualsiasi cosa è meglio di questo. Annuendo solennemente, Macy allungò una mano verso il telefono per chiamare Gomez.

Il telefono suonò mentre ancora aveva il braccio a mezz’aria.

Lissa, pensò. Telefona per sapere dove sono stato, per chiedermi di tornare!

Gioia. Eccitazione. Questo lo sorprese: l’intensità del desiderio che fosse Lissa a chiamare. Cos’erano tutte quelle stronzate sul morire? Voleva vivere. Aveva qualcuno di cui occuparsi. E qualcuno che si occupava di lui. Avevano bisogno l’uno dell’altra.

— Pronto? — disse ansiosamente.

Sullo schermo verde sbocciò la faccia scura del dottor Gomez. L’angelo della morte in persona. Lupus in fabula.

— È tutto il giorno che telefono — disse Gomez. — Dove cazzo era?

— Mi sono fatto un giro in macchina. Non dovevate tenermi sotto sorveglianza?

— Abbiamo perso le tracce.

— Ma davvero? — disse duramente Macy. — Be’, ho una novità per lei. Hamlin mi ha preso ieri sera, e ha tenuto il controllo fino a questo pomeriggio.

Gomez eseguì elaborati gesti facciali di esasperazione. — E ha fatto cosa?

— È andato dal suo mercante, nel suo vecchio studio, dalla sua ex moglie. Che stava per violentare, quando io ho riassunto il controllo.

— Vuole dire che è ancora psicopatico?

— Come minimo, si diverte ancora a maltrattare le donne.

— Va bene. Va bene. Questo è troppo, Macy. Sopraffarla, andarsene in giro. Le mando un’ambulanza. Resti lì e se Hamlin cerca di nuovo di attaccare, lo tenga a bada in qualche maniera. La porteremo al Centro sotto sedativi nel giro di un’ora e mezzo, e allora…

— No.

— Cosa no?

— State lontani da me, se volete che continui a vivere. Gliel’ho detto, Gomez: è un pazzo. Se si convince che lo volete prendere, mi spegne il cuore.

— Non è un timore realistico.

— È abbastanza realistico per me.

— Le assicuro, Macy, che non farebbe mai una cosa del genere. Abbiamo lasciato che questa situazione marcisse abbastanza. Verremo a prenderla e faremo un lavoro di decostruzione come si deve, e le assicuro…

— Le sue assicurazioni se le metta in quel posto, Gomez. Stiamo mettendo in gioco la mia vita. La mia vita. Mi rifiuto di mettermi nelle vostre mani. Ha l’autorità di prendermi senza il mio consenso? Ha un ordine del tribunale? No, Gomez. No. Mi stia lontano.

Gomez rimase in silenzio un momento. Un’espressione astuta gli lampeggiò negli occhi; cercò immediatamente di nasconderla, ma non prima che Macy l’avesse vista. Alla fine, con l’aria di chi vuol far capire: "Lo so che le farà male, ma è nell’interesse generale", disse: — Si renderà conto, Macy, che la sua sicurezza non è l’unico elemento che dobbiamo prendere in considerazione. Un tribunale ha decretato che dobbiamo proteggerci da Nat Hamlin. Nel momento in cui mi ha comunicato che Hamlin non era interamente sparito, è diventato mio dovere prenderlo in custodia ed eseguire la sentenza del tribunale nel modo giusto. Va bene: lei mi ha detto che si sentiva in pericolo, mi ha chiesto di lasciarla stare fino a quando non avessimo trovato un sistema sicuro per affrontare la situazione, e io l’ho lasciata fare. Era contro tutte le regole, ma ho accettato. Per pura amicizia, Macy. Mi vuol credere? Per pura amicizia. Per il suo bene. E da lunedì stiamo cercando un sistema per risolvere la questione senza metterla in pericolo. Ma adesso mi dice che Hamlin ha effettivamente preso il controllo del suo corpo per un po’, per il tempo sufficiente ad assalire una donna. Okay. Più di tanto, l’amicizia non può arrivare. Può garantirmi che Hamlin non prenderà il sopravvento fra mezz’ora? Può garantirmi che domani non se ne andrà in giro ad assalire massaie? Dobbiamo prenderlo adesso, Macy. Dobbiamo finirlo.