Gli occhi di Lissa erano come sfere di vetro. Galleggiava su una marea che la portava al largo. La scosse, l’accarezzò, le parlò. Zero. Le riversò addosso un fiume di parole, cercando di riportarla in contatto con lui. Forza, esci da questo torpore. Le parlò di amore, di bisogno, di una nuova vita, di un futuro migliore, di pene condivise, della fine dell’autocommiserazione e della vulnerabilità. Qualsiasi cosa. Parole ispirate. Le vecchie banalità ottimistiche. E perché no? Pur di raggiungerla. Andremo lontano e ci faremo una nuova vita, tu e io, io e te. Un mondo di felicità. Dimmi qualcosa, Lissa. Parla.
Sapendo che la sta perdendo, attimo dopo attimo. L’ha persa. Un milione di chilometri lontana, sul suo planetoide di ghiaccio. Eppure continuò a parlare. Sforzandosi di riversare la sua frenetica energia dentro di lei, di riempirla della forza necessaria a tornare e a sollevarsi. Visioni di speranza, sogni a occhi aperti di salute e di gioia. Un arcobaleno scintillante che si curvava nella stanza dalla porta alla finestra. Parlava, parlava, la voce che si faceva roca e disperata. Lissa che non prestava alcuna attenzione; il ghiaccio adesso la chiudeva come in una tomba, la si poteva appena vedere attraverso la parete rilucente del ghiacciaio. Macy si stava stancando. Perché andare avanti? Lei non voleva ascoltarlo.
Cominciò ad arrabbiarsi con lei, diventò ostile, irritato, rimproverandole le risorse di energia che prelevava da lui. E a che scopo tutti quegli sforzi? A che servivano? Qualunque cosa le desse, la febbre la divorava. Lei era il condotto attraverso cui le sue energie si riversavano senza posa in un mare senza rive. Adesso sorse forte dentro di lui la voce della tentazione, che gli diceva di lasciarla finché ancora poteva, di dimenticarla, di farsi la sua difficile strada nel mondo senza trasportarla sulla sua schiena.
Non le devi niente. Hai già i tuoi guai, molti dei quali provocati da lei. Perché questo donchisciottesco desiderio di salvarla e guarirla? Lascia che affondi. Lascia che si congeli. Lasciala bollire nel suo brodo. Vai. Te l’ha detto lei di andar via: allora vai. Questa povera ragazza bruciata con la sua implausibile malattia, la sua ESP. Le sue voci irate. La collana di sporco sul petto. Vuoti occhi vitrei. Vai.
A questo Macy rispondeva, senza lasciare la mano sudata di Lissa, che non avrebbe dato ascolto alle voci di sconfitta, né l’avrebbe abbandonata adesso. Continuò a spronarla a uscire dalla sua trance; la implorò di non cedere. Io sono qui; prendi forza da me. Lascia che sia il tuo scudo e il tuo sostegno. Pensò di sollevarla dal letto e di trascinarla fuori dalla stanza, fino alla doccia nel corridoio, dove l’acqua fredda e purificatrice l’avrebbe scossa dal suo letargo. Lui nudo accanto a lei, mentre il diluvio purificatore scendeva.
Forza dunque. Alle docce. Grugnendo l’afferrò per le spalle, ma il corpo di Lissa era un peso morto, e d’improvviso ci fu un globo infuocato nel suo petto e una striscia di acciaio incandescente attorno alla sua fronte, e si rese conto che lei l’aveva già troppo prosciugato, che non aveva più le forze per sollevarla. La lasciò andare e cadde sopra di lei, ansimando. Aveva gli occhi bagnati, non sapeva se per il dolore o la disperazione o la frustrazione o la rabbia. Salvarla era al di là delle sue possibilità. Era troppo debole. Troppo vuoto. Aveva dato tutto quello che poteva dare, e non era stato abbastanza, e adesso non poteva dare di più. Forse se mi riposo. Forse fra poco.
Ma sapeva di ingannare se stesso. Non si sarebbe ripreso tanto presto. Era svuotato. E adesso, sapeva anche chi l’aveva tentato ad abbandonare prima di raggiungere quel punto, perché sentiva la presenza dentro di lui, che si sollevava, si espandeva, splendeva, l’oscura presenza del suo alter ego che usciva dalla sua tana nascosta, gli mormorava senza parole, cantilenando, invitandolo a cedere.
Devo combatterlo? Posso combatterlo? Devo. Devo. Macy si preparò a resistere. Esplorando i corridoi della sua mente alla ricerca di riserve dimenticate di energia. Ma aveva paura che ormai fosse troppo tardi, che la conquista fosse già iniziata. Già sentiva una sensazione nota, un formicolio alla nuca, un pizzicore, un lieve irrigidimento della pelle. Le dita invisibili erano al lavoro, accarezzandogli i lobi del cervello, le protuberanze e le scanalature. Invitandolo a cedere. Sì. Sì. Tentazione. La fine dell’inquietudine e del tormento. No, disse Macy. No! Non mi avrai!
Cercò di rimettersi in piedi, ma tutto quello che riuscì a fare fu di rotolare giù da Lissa, sdraiandosi al suo fianco. Lei sembrava svenuta. Un sonno al di là di ogni sogno. Sembra in pace. E io potrei dormire quel sonno. Vieni, disse la voce senza voce in parole senza parole. Lascia che ti avvolga, lascia che ti sostituisca. Lascia che non ci sia più lotta fra di noi. Cedimi il posto. No! Non mi avrai!
E Macy si rivolse a Lissa, cercandola, chiedendo alleanza. Noi due contro di lui. Possiamo colpirlo, possiamo distruggerlo. Lissa era lontana un milione di chilometri. Sul suo planetoide di ghiaccio. La fredda luce del sole lontano che danzava sulle valli del ghiacciaio. Il tentatore disse: Vedi, non puoi sperare nessun aiuto da lei. Questo è il momento. Fatti da parte. Cerca di essere ragionevole, Macy! Macy cercò di essere ragionevole. Dove andrò? Come combatterò? Chi sarò? E vide quanto era esile la speranza. Non poteva salvarsi. Non era stato progettato per quel tipo di sforzo. L’avevano spedito in quel secondo viaggio gravato di un fardello impossibile; perché sorprendersi se il viaggio si era trasformato in un incubo? Facciamola finita. Basta combattere. Si sarebbe riposato, avrebbe smesso di lottare e sperare, si sarebbe arreso. Aveva troppi fattori contro. Fuori lo aspettavano Gomez, l’ambulanza, i lunghi aghi freddi, le medicine, tutto il meccanismo della decostruzione. Dentro era in agguato Hamlin. Accanto a lui, giaceva quella ragazza distrutta. D’accordo, cedo. Non combatterò più.
…Allora fatti da parte, disse Hamlin, e lascia che io diventi te.
L’unione delle menti stava iniziando. La dissoluzione, la fusione. Paul Hamlin. Nat Macy. Io sono lui. Lui è me. Uragano. Accecato dalla pioggia di detriti provenienti dai loro passati mischiati. Un olocausto di eventi dislocati. Mentre ci dissolviamo l’uno nell’altro. Jeanie Grossman sotto le nevi del monte Rainier. E la ragazza con i lunghi capelli di seta dorata. Senti, da che mondo è mondo le ragazze hanno posato per artisti famosi. Permetta che le mostri questi depliant, signora, che spiegano i vantaggi particolari della nostra enciclopedia. Perché andare a una scuola d’arte? Ragazzo mio, tu sei già un maestro! Membri della classe ’93, benvenuti al campus dell’UCLA. Ehi, no agente! Metta via quel paralizzatore! Mi arrendo, maledizione, mi arrendo! Vengo da solo! Non è una questione di opinione, ma di soglie di voltaggio. Un voltaggio non mente. Gli ampere non hanno opinioni. Le resistenze non ti fregano per ragioni personali. Ci stiamo occupando di fatti oggettivi, e i fatti oggettivi mi dicono che Nat Hamlin è stato cancellato. Uno-due-uno-due. Con orgoglio, lungo la maledetta strada. La tua nuova carriera. La tua nuova vita. Shqkm. Vtpkp. Smss! Grgg! Fate alzare l’imputato. Nathaniel James Hamlin. Ti trovo bene, Nat. i tormenti della fama. IL GIORNO IN CUI IL MUSEO COMPRÒ TUTTO. MI CHIAMO LISSA. No! Torna indietro! Paul! Paul! Nat! Paul Hamlin. Nat Macy. Stiamo diventando uno solo. Ci stiamo dissolvendo l’uno nell’altro. Io sarò te, e tu non sarai nulla. E finalmente ci sarà la pace.
Lissa! LISSA!
D’improvviso il cielo si scurì e senza preavviso si scatenarono lampi e tuoni, e una spada calò dall’alto, fra strisce di fuoco, per fendere gli emisferi del suo cervello. Fra i due si spalancò un abisso invalicabile, e da una parte Macy guardò Hamlin che vagava stordito e stupefatto in un campo carbonizzato, mentre i fulmini cadevano intorno a lui. Quel colpo improvviso e tremendo aveva tagliato tutti i legami fra di loro, proprio nell’istante della fusione. Io sono Paul Macy. Lui è Nat Hamlin. E il precipitare dei fulmini. Strisce bianche, abbaglianti, che fendono il cielo. È Lissa quella lassù? Sì. Sì. Sì. Sì. È lei a scagliare i fulmini. Crash! Crash! Hamlin cerca di scansarli. Attraverso l’abisso, giunge odore di carne bruciata. È ferito. Si muove più lentamente. Crash! L’ha costretto in una zona circondata da ogni parte dal fuoco. Adesso Hamlin oppone resistenza. Agita i pugni; grida; afferra i fulmini e li scaglia indietro. Ma ciascun atto di sfida provoca una furia doppia dal cielo. La mira di Lissa è mortale. I fulmini gli trafiggono i piedi, gli sfiorano le caviglie. Lui salta, balla, urla di rabbia e poi di dolore. Il suo braccio è annerito da un fulmine; non può più restituire i colpi. Adesso si contorce sulla terra fumante; adesso grida pietà. Ma non ci sarà pietà. Lissa è la dea della vendetta. Hamlin sarà distrutto.