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Saerin sfiorò l’elsa di quel suo pugnale e le guardò perplessa, senza muoversi di un passo. «Un rompicapo» mormorò. All’improvviso veleggiò in avanti, la mano libera scattò verso il grembo di Seaine così veloce che lei sussultò. Provò a tenere nascosto il Bastone dei Giuramenti, ma l’unico risultato fu che Saerin strinse in una mano il bastone all’altezza della vita mentre lei reggeva l’altra estremità insieme a una manciata del tessuto della sua stessa gonna. «Mi piacciono i rompicapo» disse Saerin.

Seaine lasciò la presa e si sistemò il vestito; non c’era molto altro che potesse fare.

La comparsa del Bastone scatenò una certa confusione perché quasi tutte cominciarono a parlare nello stesso istante.

«Fuoco e sangue» ringhiò Doesine. «Ma state allevando nuove sorelle quaggiù, dannazione?»

«Oh, lasciale perdere, Saerin» disse ridendo Yukiri quasi coprendo la voce di Doesine. «Qualsiasi cosa stiano facendo, sono affari loro.»

E, coprendo entrambe, Talene abbaiò: «Per quale altro motivo dovrebbero starsene qui nascoste insieme — insieme! — se non ha a che fare con le comandanti delle Ajah?»

Saerin agitò una mano, e dopo un po’ ottenne il silenzio. Tutte le donne in quella stanza erano Adunanti, ma lei aveva il diritto di parlare per prima nel Consiglio, e i suoi quarant’anni di anzianità contavano qualcosa anche in quel momento. «Questa è la soluzione del rompicapo, credo» disse carezzando con un pollice il Bastone dei Giuramenti. «Perché l’hanno preso, dopo tutto?» A un tratto fu avvolta anche lei dal bagliore di saidar e incanalò Spirito nel ter’angreal. «In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera. Non sono un’Amica delle Tenebre.»

Nel silenzio che seguì a quelle parole, lo starnuto di un topo sarebbe sembrato fragoroso.

«Ho ragione?» chiese Saerin rilasciando il Potere. Porse a Seaine il Bastone.

Per la terza volta, Seaine formulò il Giuramento contro le menzogne, e per la seconda volta ripeté di non appartenere all’Ajah Nera. Pevara fece lo stesso con gelida dignità. E occhi penetranti come quelli di un’aquila.

«Questo è ridicolo» disse Talene. «Non esiste nessuna Ajah Nera.»

Yukiri prese il bastone da Pevara e incanalò. «In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera. Non appartengo all’Ajah Nera.» La luce di saidar che la avvolgeva si spense, poi lei passò il Bastone dei Giuramenti a Doesine.

Talene si accigliò, disgustata. «Togliti, Doesine. Io non ho intenzione di sopportare queste meschine insinuazioni.»

«In nome della Luce, non pronuncerò parola che non sia vera» disse Doesine quasi riverente, con il bagliore intorno a lei simile a un’aureola. «Non appartengo all’Ajah Nera.» Nelle situazioni serie, la sua bocca era abbastanza pulita da soddisfare qualsiasi maestra delle novizie. Protese verso Talene il Bastone dei Giuramenti.

La bionda arretrò come se fosse un serpente velenoso. «Già il fatto che me lo chiediate è una calunnia! Peggio di una calunnia!» Qualcosa di ferino le si agitava negli occhi. Una cosa irrazionale da pensare, forse, ma Seaine non poté fare a meno di notarlo. «Adesso togliti» comandò Talene parlando con tutta l’autorità di un’Adunante. «Me ne vado!»

«Non credo proprio» disse a bassa voce Pevara, e Yukiri annuì lentamente. Saerin smise di carezzare l’elsa del pugnale; la strinse così forte che le nocche della sua mano diventarono bianche.

Cavalcando tra le profonde nevi dell’Andor, arrancando in realtà, Toveine Gazai maledisse il giorno in cui era nata. Bassa e un po’ paffuta, con la pelle liscia e ambrata e lunghi capelli corvini, era sembrata graziosa a molti nel corso degli anni, ma nessuno l’aveva mai definita bella. E di sicuro nessuno l’avrebbe fatto adesso. Gli occhi scuri che un tempo erano diretti ora parevano trivellare tutto ciò su cui si posava il suo sguardo. Quando non era arrabbiata. E quel giorno lo era. Quando Toveine era arrabbiata, anche i serpenti fuggivano via.

Altre quattro Rosse cavalcavano — arrancavano — dietro di lei, seguite da venti soldati della Guardia della Torre in giubba e mantello scuri. Nessuno di quegli uomini gradiva il fatto che le loro armature fossero sui cavalli da soma, e tutti e venti guardavano il bosco ai lati della strada come se si aspettassero un attacco da un momento all’altro. Toveine, però, proprio non capiva come potevano immaginare di attraversare circa cinque chilometri di terreno andorano senza farsi notare se indossavano giubba e mantello con sopra la Fiamma di Tar Valon. Il viaggio era quasi finito, tuttavia. Tra un giorno, forse due con le strade coperte da un manto di neve che arrivava alle ginocchia dei cavalli, si sarebbe unita ad altri nove gruppi identici al suo. Non tutte le altre sorelle erano Rosse, purtroppo, ma questo non la turbava più di tanto. Toveine Gazai, un tempo Adunante per l’Ajah Rossa, sarebbe entrata nella storia come la donna che aveva distrutto la Torre Nera.

Di sicuro Elaida credeva che lei fosse grata per quella opportunità: richiamata dall’esilio e dalla disgrazia, le era stata offerta un’occasione di riscatto. Toveine rise amaramente, e se un lupo avesse potuto guardare sotto il profondo cappuccio del suo mantello avrebbe guaito. Quello che era stato fatto vent’anni addietro era stato necessario, e che la Luce bruciasse tutti quelli che mormoravano che l’Ajah Nera aveva messo lo zampino in quegli eventi. Era stato necessario e giusto, ma Toveine Gazai aveva perso la sua poltrona nel Consiglio ed era stata costretta a ululare e implorare pietà sotto i colpi della frusta, con le sorelle riunite a guardare, e persino le novizie e le Ammesse convocate a testimoniare come anche le Adunanti erano soggette alla legge, anche se non era stato loro spiegato quale fosse questa legge. E poi, vent’anni addietro, Toveine era stata spedita a lavorare sulle Colline Nere, nell’isolata fattoria di comare Jara Doweel, una donna per la quale un’Aes Sedai che scontava in esilio la sua penitenza non era affatto differente da tutti gli altri suoi aiutanti che faticavano con la neve o sotto il sole. Toveine mosse le mani sulle redini; sentiva ancora i calli. Comare Doweel — persino adesso non poteva pensare a quella donna senza il titolo di cortesia che lei aveva sempre preteso — dava molta importanza al lavoro duro. E a una disciplina rigida quanto quella affrontata dalle novizie! Non aveva nessuna pietà per chiunque provasse a sottrarsi dalle massacranti fatiche cui lei per prima si sottoponeva, e meno ancora ne aveva se una donna sgattaiolava via per consolarsi con un bel ragazzo. Questa era stata la vita di Toveine negli ultimi quindici anni. Mentre Elaida l’aveva fatta franca e aveva continuato i suoi balletti fino a raggiungere il seggio dell’Amyrlin che un tempo Toveine sognava di occupare. No, non era grata. Ma aveva imparato ad aspettare il suo momento.

Improvvisamente, un uomo alto in giubba nera coi capelli scuri che gli ricadevano sulle spalle spronò il cavallo uscendo dal bosco e raggiunse la strada davanti a lei, alzando spruzzi di neve. «Non c’è motivo di lottare» annunciò con fermezza, sollevando una mano infilata in un guanto. «Arrendetevi senza opporre resistenza, e nessuno si farà male.»

Non fu né la sua comparsa né il suo discorso il motivo per cui Toveine tirò le redini e fermò il cavallo, lasciando che le altre sorelle si raccogliessero dietro di lei. «Prendetelo» disse con calma. «È meglio se vi unite in un circolo. Mi ha schermata.» E così uno di quegli Asha’man l’aveva colta di sorpresa. Peggio per lui.

A un tratto si rese conto che non stava succedendo niente, e distolse gli occhi dall’uomo per guardare torva Jenare. Il volto chiaro e squadrato della donna sembrava completamente esangue. «Toveine,» disse con voce tremula «anche io sono schermata.»

«Anche io» sussurrò incredula Lemai, e le altre le fecero eco, sempre più agitate. Tutte schermate.

Altri uomini in giubba nera comparvero tra gli alberi, su cavalli che camminavano piano, tutto intorno a Toveine, che smise di contare arrivata a quindici. I soldati della Guardia mormoravano con rabbia, aspettando l’ordine di una sorella. Non sapevano ancora niente, credevano di essere caduti nell’imboscata di qualche brigante. Toveine fece schioccare la lingua, irritata. Certo, quegli uomini non potevano essere tutti capaci di incanalare, ma evidentemente ogni Asha’man in grado di farlo si era mosso contro di lei. Non si lasciò prendere dal panico. A differenza di alcune delle sorelle con le quali viaggiava, Toveine aveva già affrontato uomini in grado di incanalare. Il tizio alto cominciò a cavalcare verso di lei, sorridendo, palesemente convinto che avessero obbedito a quel suo ridicolo ordine.