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Il libro era affascinante, ma quella stanza la opprimeva. La piccola sala del trono di Rand nel Palazzo del Sole era piena di dorature, dai grandi cornicioni agli alti specchi sulle pareti che sostituivano quelli che Rand aveva distrutto, dalle due file di poltrone come quella in cui sedeva lei al palco davanti alle file, per finire con il Trono del Drago in cima al palco.

Una mostruosità, realizzato in quello che gli artigiani di Cairhien credevano fosse lo stile di Tear, poggiato sulla schiena di una coppia di Draghi, con altri due Draghi per braccioli e altri ancora che si arrampicavano sullo schienale, tutti con grandi pietre di sole al posto degli occhi, e con l’intera struttura rilucente d’oro e smalto rosso. L’immenso Sole Nascente d’oro coi raggi ondulati incastonato nel pavimento di marmo lucidato non faceva che incrementare quella sensazione di pesantezza. Almeno i fuochi accesi nei due grandi camini, alti abbastanza perché lei potesse camminarci dentro, davano un piacevole tepore, soprattutto vista la neve che fioccava all’esterno. Quelle erano le stanze di Rand, e la consolazione di quel solo pensiero era più forte di qualsiasi senso di oppressione. Una cosa davvero irritante. Essere innamorata di un uomo sembrava consistere soprattutto in tantissime, opprimenti confessioni a sé stessa!

Cambiando posizione nell’inutile tentativo di rendere comoda la dura poltrona, Min provò a leggere, ma i suoi occhi continuavano ad andare verso le alte porte, entrambi i battenti con la loro bella fila di Soli Nascenti in oro. Sperava di veder entrare Rand; temeva di vedere Sorilea, o Cadsuane. Inconsciamente, si aggiustò la giubba azzurra, sfiorando i piccoli fiordineve ricamati sul bavero. Altri si intrecciavano lungo le maniche e sulle gambe del paio di brache più comodo nel quale era riuscita a infilarsi. Non un gran cambiamento rispetto a come si era sempre vestita. Non proprio.

Ancora riusciva a evitare gli abiti da donna, per quanti ricami fosse costretta a sopportare, ma temeva davvero che Sorilea avesse intenzione di ficcarla in un vestito, e a quel fine le Sapienti erano anche disposte a strapparle gli indumenti che indossava.

Quella donna sapeva tutto su lei e Rand. Tutto. Min sentì caldo al viso.

Sembrava che Sorilea stesse cercando di decidere se Min Farshaw era o meno una... amante adatta per Rand al’Thor. Quella parola la faceva sentire stupidamente frivola; lei non era una ragazzina con la testa piena di tuffa!

Quel pensiero le fece venire l’impulso di girarsi colpevolmente per vedere se dietro di lei c’erano le zie che l’avevano cresciuta. No, pensò beffarda, non hai il cervello pieno di sabbia. La sabbia è intelligente in confronto a te!

O forse Sorilea voleva capire se Rand era adatto a Min; a volte dava questa impressione. Le Sapienti avevano accettato Min come fosse una di loro, o quasi, ma nelle ultime settimane Sorilea l’aveva spremuta come un’oliva al torchio. La Sapiente dal volto coriaceo e i capelli bianchi voleva sapere tutto su Min, e ogni cosa su Rand. Voleva sapere anche se c’era polvere in fondo alle sue tasche! Per due volte Min aveva provato a prendere tempo in quell’interminabile interrogatorio, e in entrambe le occasioni Sorilea aveva tirato fuori un bastone! Quella terribile vecchia l’aveva semplicemente gettata sul tavolo più vicino, e poi le aveva detto che forse quello le avrebbe fatto venire in mente qualche altra informazione. E nessuna delle altre Sapienti aveva mostrato un minimo di compassione! Per la Luce, cosa si doveva sopportare per un uomo! E Min non poteva neanche averlo solo per lei!

Cadsuane era tutta un’altra faccenda. Sembrava che alla contegnosa Aes Sedai, capelli grigi come quelli di Sorilea erano bianchi, non importasse un fico secco di Min o Rand, ma passava un bel po’ di tempo nel Palazzo del Sole. Evitarla del tutto era impossibile; andava ovunque volesse. E quando Cadsuane la guardava, fosse anche solo per un istante, Min non poteva fare a meno di pensare che quella donna sarebbe riuscita a insegnare la danza ai tori e il canto agli orsi. Continuava ad aspettarsi che le puntasse contro un dito per annunciarle che era giunto il suo momento, che Min Farshaw doveva imparare a tenere una palla in equilibrio sul naso. Prima o poi Rand avrebbe dovuto confrontarsi di nuovo con Cadsuane, e il pensiero di quell’incontro le faceva annodare lo stomaco.

Si costrinse a piegarsi di nuovo sul libro. Una delle porte fu spalancata, e Rand entrò senza fretta, con lo Scettro del Drago poggiato nella piega di un braccio. Aveva in testa una corona d’oro, uno spesso cerchietto di foglie d’alloro — doveva essere la Corona di Spade di cui parlavano tutti —, comode brache che lasciavano vedere parte delle gambe e una giubba in seta verde ricamata d’oro che gli stava magnificamente. Lui era magnifico.

Segnando la pagina col biglietto in cui mastro Fel aveva scritto che lei era ‘troppo graziosa’, Min chiuse con cura il libro e con cura lo depose sul pavimento accanto alla sua poltrona. Poi intrecciò le braccia e attese. Se si fosse alzata avrebbe potuto battere anche un piede a terra, ma non voleva che quell’uomo pensasse che scattava in piedi solo perché lui si era finalmente fatto vivo.

Per un attimo Rand rimase fermo a sorriderle, tirandosi chissà perché il lobo di un orecchio — sembrava che stesse canticchiando! —, poi di scatto ruotò su sé stesso girandosi verso le porte. «Le Fanciulle lì fuori non mi hanno detto che eri qui. Non mi hanno detto neanche una parola. Per la Luce, sembravano pronte a velarsi quando mi hanno visto.»

«Forse sono sconvolte» rispose lei con calma. «Forse non sapevano dove eri finito. Come me. O forse loro erano preoccupate che fossi stato ferito, che fossi malato, che avessi freddo.» Come me, pensò con amarezza. E lui sembrava confuso!

«Ti ho scritto» disse lentamente, e Min tirò su con il naso.

«Due volte! E la lettera l’hai fatta consegnare da un Asha’man. Hai scritto due volte, Rand al’Thor, se quello me lo chiami scrivere!»

Rand barcollò come se lei gli avesse dato uno schiaffo — no, come se gli avesse dato un calcio al ventre! — e sbatté le palpebre. Min si sforzò di controllarsi e si poggiò allo schienale della poltrona. Mostrando compassione a un uomo nel momento sbagliato si rischiava di perdere tutto il terreno guadagnato. Una parte di lei voleva abbracciarlo, consolarlo, tirar fuori tutte le sue pene, lenire tutti i suoi mali. Ne aveva così tanti, e si rifiutava di ammetterne anche uno solo. Ma Min non sarebbe scattata in piedi per correre da quell’uomo, smaniosa di sapere cos’era andato storto o... Per la Luce, lui doveva stare bene.

Qualcosa la prese con delicatezza dietro i gomiti e la sollevò dalla poltrona. Con gli stivali blu che penzolavano in aria, Min fluttuò verso Rand.

Lo Scettro del Drago fluttuò via da lui. E così Rand pensava di poter ridere? Pensava che un bel sorriso fosse sufficiente a calmarla? Min aprì bocca per dirgliene quattro. E nessuna di quelle quattro sarebbe stata piacevole!

Cingendola tra le braccia, Rand la baciò.

Quando Min poté respirare di nuovo, lo scrutò tra le ciglia degli occhi socchiusi. «La prima volta...» Deglutì per schiarirsi la voce. «La prima volta, Jahar Narishma è venuto qui guardando tutti in quel suo modo che sembra voglia vedere cosa c’è dentro il cranio della gente, e poi è scomparso dopo avermi consegnato un pezzetto di pergamena. Lasciami ricordare.