Tremò, e la sua Custode le cinse le spalle con un braccio. Aviendha fece lo stesso dall’altro lato, e indicò a Nynaeve di raggiungerle, cosa che lei fece dopo un istante di indecisione. L’assassinio al quale Elayne aveva pensato con tanta leggerezza c’era stato davvero, tra di loro c’era un’Amica delle Tenebre e il giorno sembrava a un tratto abbastanza freddo da frantumare le ossa, ma c’era tepore nella vicinanza delle sue amiche.
Per coprire gli ultimi, funerei quindici chilometri fino a Caemlyn ci vollero due giorni di viaggio nella neve, e persino le Cercavento ebbero la decenza di placarsi. Ma non diedero alcun respiro a Merilille. Né le donne della Famiglia smisero di parlare, zittendosi non appena si avvicinava una sorella o una del Circolo della Maglia. Vandene, seduta a cavallo con la sella lavorata in argento appartenuta a sua sorella, sembrava serena come lo era stata accanto alla tomba di Adeleas, ma negli occhi di Jaem c’era una silenziosa promessa di morte che senza dubbio riempiva anche il cuore della Aes Sedai. Elayne non sarebbe potuta essere più felice di vedere le mura e le torri di Caemlyn nemmeno se in quello stesso momento le avessero dato la Corona di Rose e Adeleas fosse tornata in vita.
Nemmeno a Caemlyn, una delle città più grandi al mondo, si era mai visto un gruppo come quello e, una volta superate le mura alte quindici metri, Elayne e gli altri attirarono l’attenzione di tutti mentre attraversavano la Città Nuova con le sue grandi strade piene di fanghiglia e brulicanti di persone, carri e calessi. I negozianti si fermavano sulla soglia delle loro botteghe e restavano a guardarli a bocca aperta. I conducenti dei carri facevano fermare i cavalli per fissarli a occhi sgranati. I torreggianti Aiel e le alte Fanciulle parevano lanciare occhiate da ogni angolo di strada. La gente non sembrava far caso agli Aiel, ma Elayne sì. Voleva bene ad Aviendha quanto a sé stessa, se non di più, ma non poteva essere contenta se un esercito di Aiel armati si aggirava per le vie di Caemlyn.
La Città Interna, circondata da mura e torri bianche e striate d’argento, era una delizia mai dimenticata, ed Elayne cominciò finalmente a sentirsi di nuovo a casa. Le strade seguivano le curve delle colline e ogni salita presentava una nuova visuale di parchi coperti di neve e monumenti disposti in modo da essere ammirati dall’alto oltre che da vicino, di torri rivestite di piastrelle luminose che splendevano di cento colori sotto il sole pomeridiano. E poi il Palazzo Reale si stagliò davanti a loro, uno spettacolo di guglie chiare, cupole dorate ed elaborati intarsi nella pietra. La bandiera dell’Andor ondeggiava da quasi ogni sporgenza, il Leone Bianco in campo rosso. Sulle altre garrivano la bandiera del Drago o quella della Luce.
Giunta alle alte porte d’oro del Palazzo, Elayne avanzò da sola con addosso il vestito verde da cavallerizza segnato dal viaggio. Tradizione e leggenda volevano che se una donna si avvicinava per la prima volta al Palazzo coperta di splendore era destinata al fallimento. Elayne aveva chiarito agli altri che doveva andare da sola, ma quasi le dispiaceva che Aviendha e Birgitte non fossero riuscite a farle cambiare idea. Le venti guardie davanti ai cancelli erano per metà Fanciulle e per metà uomini in elmo e giubba blu con il Drago rosso e dorato sul torace.
«Sono Elayne Trakand» annunciò lei con voce alta, sorprendendosi per la calma che riusciva a mostrare. Le sue parole si diffusero, e nella grande piazza la gente smise di fissare i suoi compagni di viaggio per concentrarsi su di lei. L’antica formula fluì con naturalezza dalle sue labbra. «In nome della casata Trakand, per diritto di discendenza da Ishara, sono venuta a reclamare il Trono del Leone di Andor, se la Luce vorrà concedermelo.»
I cancelli si spalancarono.
Non sarebbe stato tutto così facile, ovviamente. Nemmeno essere padrona del Palazzo era sufficiente a detenere il trono di Andor. Dopo aver affidato i suoi compagni alle cure di una sbalordita Reene Harfor — compiacendosi nel vedere che il Palazzo era ancora nelle abili mani della brizzolata prima cameriera, paffuta e regale come qualsiasi sovrano — e di un gruppo di servitori in livrea rossa e bianca, Elayne andò subito alla Grande Sala, la stanza del trono di Andor. Sempre da sola. Questo non era parte del rituale, non ancora. Avrebbe dovuto andare a cambiarsi d’abito, per indossare quello di seta rossa col corpetto decorato di perle e i leoni bianchi sulle maniche, ma si sentiva come obbligata ad agire in quel modo. E questa volta nemmeno Nynaeve ebbe da ridire.
Lungo i lati della Grande Sala marciavano colonne bianche alte venti passi. La stanza del trono era vuota, per il momento. Ma non lo sarebbe rimasta a lungo. La chiara luce del pomeriggio che veniva dai battenti di vetro delle alte finestre lungo le pareti si mischiava con quella colorata che filtrava dai grandi lucernari nel soffitto, dove il Leone Bianco di Andor si alternava con scene di vittorie andorane e ritratti delle prime regine, a cominciare dalla stessa Ishara, scura di pelle come una Atha’an Miere e autoritaria come un’Aes Sedai. Nessuna sovrana di Andor poteva venir meno al suo ruolo sotto lo sguardo delle donne che l’avevano preceduta e avevano forgiato quella nazione.
Elayne aveva paura di trovarsi davanti l’immensa mostruosità di un trono, fatto tutto di Draghi dorati, che aveva visto sul palco in fondo alla Sala nel tel’aran’rhiod. Non c’era, grazie alla Luce. E il Trono del Leone non era più su un alto piedistallo come fosse un trofeo, ma occupava il suo posto sul palco; una grossa poltrona, con incisioni e dorature, ma calibrata sulle dimensioni di una donna. Il Leone Bianco, rappresentato con pietre di luna su un campo di rubini, avrebbe sovrastato il capo della donna che si fosse seduta. Nessun uomo poteva sentirsi a suo agio su quel trono poiché, come narrava la leggenda, avrebbe saputo di aver segnato il proprio destino. Elayne credeva fosse più verosimile che chi aveva realizzato il trono aveva fatto in modo che nessun uomo ci potesse stare comodo.
Saliti i gradini in marmo bianco del palco, Elayne poggiò una mano su un bracciolo del trono. Non aveva il diritto di sedersi, non ancora. Prima dovevano riconoscerla come regina. Ma giurare sul Trono del Leone era un’usanza vecchia quanto l’Andor. Dovette resistere al desiderio di cadere in ginocchio e piangere sul seggio. Poteva anche essersi riconciliata con la morte di sua madre, ma quella sala aveva fatto riemerge tutto il dolore.
Non poteva arrendersi proprio adesso.
«In nome della Luce, renderò onore alla tua memoria, madre» disse piano. «Renderò onore al nome di Morgase Trakand, e cercherò di portare solo onore alla nostra casata.»
«Ho ordinato alle guardie di tenere lontani i curiosi e la gente in cerca di favori. Ho pensato che forse volevi restare qui da sola per un po’.»
Elayne si girò lentamente verso Dyelin Taravin, che stava percorrendo la Grande Sala verso di lei. Dyelin era stata una delle prime ad appoggiare la pretesa al trono di sua madre. C’era più grigio nei suoi capelli di quanto Elayne ricordasse, più rughe agli angoli degli occhi. Era ancora molto bella. Una donna forte. E potente, come amica o nemica.
Si fermò ai piedi del palco e alzò lo sguardo. «Sono due giorni che sento dire che sei viva, ma finora non ci avevo creduto davvero. E così sei venuta per accettare il trono dal Drago Rinato?»
«Lo reclamo per diritto, Dyelin, da sola. Il Trono del Leone non è un gingillo da riceve in regalo da un uomo.» Dyelin annuì come se quella fosse una verità scontata. E lo era, per gli Andorani. «Come ti schiererai, Dyelin? Con i Trakand o contro? Ho sentito fare spesso il tuo nome mentre venivo qui.»
«Visto che reclami il trono per tuo diritto, sono con te.» Poche persone sapevano essere altrettanto asciutte. Elayne si sedette in cima ai gradini e fece cenno all’altra di raggiungerla. «Ci sono degli ostacoli, ovviamente» proseguì Dyelin mentre raccoglieva le gonne blu per sedersi. «Come forse sai, si sono già fatti avanti diversi pretendenti. Naean ed Elenia le ho già rinchiuse. Con un’accusa di tradimento che la maggior parte della gente pare disposta ad accettare. Per il momento. Il marito di Elenia si dà ancora da fare per lei, anche se con poco clamore, e anche Arymilla ha reclamato il trono, quella stupida oca. Sta raccogliendo qualche consenso, a modo suo, ma niente di cui preoccuparsi. I tuoi veri problemi — a parte gli Aiel in tutta la città che aspettano il ritorno del Drago Rinato — sono Aemlyn, Arathelle e Pelivar. Per il momento, Luan ed Ellorien saranno con te, ma potrebbero passare dalla loro parte.»