Un elenco molto stringato, recitato in un tono adatto a discutere dell’eventuale compravendita di un cavallo. Elayne sapeva di Naean ed Elenia, anche se ignorava che Jarid credeva ancora che la moglie potesse salire al trono. Arymilla era davvero un’oca se pensava di poter essere accettata, quali che fossero i suoi appoggi. Gli ultimi cinque nomi, però, erano preoccupanti. Erano stati tutti forti sostenitori di sua madre, come Dyelin, ed erano tutti a capo di casate potenti.
«E così Arathelle e Aemlyn vogliono il trono» mormorò. «Ellorien non credo che si muoverà, non per sé stessa.» Forse Pelivar agiva a favore di una delle sue figlie, ma Luan aveva solo nipoti, nessuna abbastanza grande. «Hai detto che potrebbero unirsi, quelle cinque casate. Per appoggiare chi?» Quella sarebbe stata una minaccia terribile.
Sorridendo, Dyelin si tenne il mento con una mano. «Sembrano convinti che dovrei salirci io sul trono. Ora, che hai intenzione di fare col Drago Rinato? È un po’ di tempo che non viene, ma a quanto pare è capace di spuntar fuori dal nulla.»
Elayne chiuse forte gli occhi per un momento, ma quando li riaprì era ancora seduta sui gradini del palco nella Grande Sala, e Dyelin le stava ancora sorridendo. Suo fratello combatteva per Elaida, e il suo fratellastro era un Manto Bianco. Lei aveva portato a Palazzo un gruppo di donne che potevano rivoltarsi una contro l’altra in qualsiasi momento, per non parlare del fatto che una di loro era un’Amica delle Tenebre, forse persino una sorella Nera. E il pericolo maggiore che doveva affrontare nella sua salita al trono, un pericolo molto grande, era rappresentato da una donna che diceva di essere dalla sua parte. Il mondo era impazzito. Tanto valeva che Elayne ci mettesse del suo.
«Ho intenzione di legarlo a me, sarà il mio Custode» disse, e proseguì prima che Dyelin potesse fare altro che sbattere le palpebre per lo stupore.
«Spero anche di sposarlo. Tutto questo però non ha niente a che vedere con il Trono del Leone. Per prima cosa io...»
Mentre lei continuava a parlare, Dyelin cominciò a ridere. Elayne avrebbe tanto voluto sapere se rideva perché era deliziata dai suoi piani o perché vedeva il proprio cammino verso il Trono del Leone farsi sempre più semplice.
Almeno, però, adesso lei sapeva cosa doveva affrontare.
Cavalcando nelle strade di Caemlyn, Daved Hanlon non poté fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello saccheggiare quella città. Negli anni passati da soldato aveva visto tanti villaggi e paesi depredati e una volta, venti anni addietro, anche una grande città, Cairhien, dopo che gli Aiel erano andati via. Era strano che tutti quegli Aiel avessero lasciato Caemlyn così evidentemente intatta, ma d’altronde anche a Cairhien si poteva capire che la città era stata invasa solo perché le torri più alte bruciavano.
Lì a Caemlyn c’era oro in abbondanza, tra le altre cose, che aspettava solo di essere preso, e tanti uomini per prenderlo. Quasi gli sembrava di vedere le grandi strade piene di cavalieri e gente in fuga, grassi mercanti che davano via le loro fortune, prima che il pugnale li toccasse, nella speranza di avere salva la vita, ragazze magre e donne paffute così impaurite che quando venivano trascinate in un angolo riuscivano a malapena a squittire, men che mai a combattere. Daved Hanlon aveva già visto scene simili e vi aveva anche preso parte, e sperava di poterlo fare di nuovo. Non a Caemlyn, però, ammise con un sospiro. Se avesse potuto disobbedire agli ordini che lo avevano inviato in quella città, sarebbe andato in posti dove il bottino non era forse così ricco, ma decisamente più facile da raccogliere.
Le istruzioni che aveva ricevuto erano chiare. Dopo aver lasciato il cavallo nelle stalle di Il toro rosso, nella Città Nuova, camminò per un chilometro e mezzo fino a un’alta casa di pietra in una stradina secondaria segnata da un piccolo sigillo dipinto sulle porte, un cuore rosso su una mano dorata. L’energumeno che lo fece entrare non era affatto un domestico, con quelle sue nocche incavate e lo sguardo cupo. Senza dire una parola, l’omone lo guidò nella casa e poi giù, nel seminterrato. Hanlon allentò la spada nel fodero. Tra le tante altre cose, aveva visto uomini e donne che, dopo aver fallito, venivano condotti al patibolo per elaborate esecuzioni.
Lui non credeva di aver fallito, ma d’altronde non aveva neanche avuto un grande successo. Aveva seguito gli ordini, però. Che non sempre era abbastanza.
Nello scantinato di pietra nuda, illuminato da lampade dorate messe tutto intorno, il suo sguardo andò subito a una donna graziosa con un abito di seta scarlatta bordato di trine, le mani coperte da una rete di merletto vaporoso. Non sapeva chi fosse questa lady Shiaine, ma aveva l’ordine di obbedirle. Le fece il suo migliore inchino, sorridendo. La donna si limitò a guardarlo, come aspettando che si accorgesse di cos’altro c’era in quel seminterrato.
E difficilmente Hanlon avrebbe potuto mancare di notarlo, visto che a eccezione di qualche botte la stanza conteneva solo un tavolo grosso e pesante, decorato in modo assai strano. Due cerchi ovali erano stati tagliati nel ripiano, e da uno sporgevano la testa e le spalle di un uomo, il capo spinto all’indietro contro la superficie di legno e bloccato con cinghie di cuoio inchiodate al tavolo e legate a un blocco di legno infilato tra i suoi denti. Una donna, conciata allo stesso modo, decorava l’altro ovale. Sotto il tavolo, i due erano in ginocchio con i polsi legati alle caviglie. Quasi certamente erano lì per soddisfare un qualche tipo di piacere. L’uomo aveva un tocco di grigio tra i capelli e il viso di un lord ma, cosa poco sorprendente, gli occhi profondi erano sgranati e ruotavano impazziti. I capelli della donna, stesi sul ripiano, erano scuri e lucenti, ma il viso era un po’ troppo lungo per i gusti di Hanlon.
All’improvviso vide davvero quel volto, e la mano andò alla spada prima che lui potesse fermarla. Lasciò l’elsa con uno sforzo, che si premurò di celare. Quello era il volto di un’Aes Sedai, ma un’Aes Sedai che se ne stava immobilizzata a quel modo non poteva rappresentare una minaccia.
«Così hai un minimo di cervello» disse Shiaine. A giudicare dall’accento era una nobile, e di sicuro aveva un’aria di comando mentre girava intorno al tavolo per guardare in faccia l’uomo legato. «Ho chiesto al Grande Padrone Moridin di mandarmi un uomo con un po’ più di cervello. Il povero Jaichim ne aveva davvero poco.»
Hanlon si accigliò, poi fece subito sparire il suo cipiglio. I suoi ordini venivano da Moghedien in persona. Per il Pozzo del Destino, chi era questo Moridin? Non era importante. I suoi ordini venivano da Moghedien; bastava questo.
L’energumeno passò un imbuto a Shiaine, e lei lo incastrò in un foro trivellato nel blocco di legno tra i denti di Jaichim, i cui occhi parvero pronti a balzar fuori dalle orbite. «Il povero Jaichim, qui, ha fallito totalmente» disse Shiaine, sorridendo come una volpe davanti a una gallina. «Moridin vuole che sia punito. Al povero Jaichim piace l’acquavite.»
Shiaine si fece indietro, non tanto da non poter vedere chiaramente, e Hanlon sobbalzò quando l’omone si avvicinò al tavolo con una delle botti.