Lui forse l’avrebbe potuta sollevare senza aiuti, ma quel bestione la inclinò col minimo sforzo. L’uomo legato lanciò uno strillo, poi un torrente di liquido scuro si riversò dalla botte nell’imbuto, trasformando le altre grida in gorgoglii. L’odore pungente di pessima acquavite riempì l’aria. Pur bloccato a quel modo, l’uomo si dibatté, lanciandosi da una parte e dall’altra, e riuscì persino a sollevare il tavolo da un lato, ma l’acquavite continuava a scorrere. Nell’imbuto cominciarono a comparire delle bolle quando lui provò a gridare o strillare, ma il torrente non accennò neppure a diminuire.
E poi l’uomo cominciò a dibattersi più lentamente, finché non si fermò. Gli occhi sgranati e vuoti erano fissi sul soffitto e l’acquavite gli colava dalle narici. L’energumeno, tuttavia, non si fermò finché non uscirono le ultime gocce dalla botte svuotata.
«Credo che il povero Jaichim abbia finalmente bevuto tutta l’acquavite che voleva» disse Shiaine, e rise deliziata.
Hanlon annuì. Immaginava che fosse così. Si chiese chi era stato quel Jaichim.
Shiaine non aveva ancora finito. A un suo cenno, il suo grosso aiutante strappò una delle cinghie che tenevano fermo il pezzo di legno nella bocca dell’Aes Sedai. Hanlon pensò che forse quel blocco aveva allentato qualche dente uscendo dalla bocca, ma se anche era successo la donna non perse tempo con gemiti o lamenti. Cominciò a farfugliare prima ancora che l’energumeno lasciasse andare la cinghia.
«Ti obbedirò!» ululò. «Obbedirò, come comanda il Grande Padrone! Lo schermo che mi ha lanciato contro è fatto apposta per dissolversi affinché io possa obbedire! Me l’ha detto lui! Dammi un’occasione! Striscerò per te!
Sono un verme, e tu sei il sole! Oh, ti prego! Ti prego! Ti prego!»
Shiaine soffocò le parole, ma non i gemiti, mettendo una mano sulla bocca dell’Aes Sedai. «Come faccio a sapere che non fallirai di nuovo, Falion? L’hai già fatto, e Moridin ha affidato a me la tua punizione. Mi ha dato un’altra Aes Sedai; che me ne faccio di due? Potrei darti una seconda occasione per perorare la tua causa, Falion — forse —, ma se lo faccio dovrai convincermi. Mi aspetto un reale entusiasmo.»
Non appena Shiaine tolse la mano, Falion ricominciò a urlare le sue suppliche, prodigandosi in promesse, ma ben presto fu ridotta alle lacrime e costretta a lanciare strilli inarticolati quando il bavaglio di legno fu rimesso al suo posto, la cinghia di nuovo inchiodata al tavolo, e l’imbuto di Jaichim piazzato nel blocco che teneva aperta la sua bocca. Il bestione mise un’altra botte sul ripiano accanto alla testa dell’Aes Sedai. Questa parve impazzire, gli occhi sporgenti presero a ruotare, e cominciò ad agitarsi sotto il tavolo tanto da farlo tremare.
Hanlon era impressionato. Spezzare un’Aes Sedai doveva essere più difficile che spezzare un grasso mercante o la sua figliola dalle guance rotonde. Eppure quella donna aveva avuto il sostegno di uno dei Prescelti, così sembrava. Quando si rese conto che Shiaine lo stava guardando, smise di sorridere a Falion. La prima regola nella sua vita era non offendere mai quelli che i Prescelti mettevano al di sopra di lui.
«Dimmi, Hanlon,» gli chiese Shiaine «ti piacerebbe mettere le mani su una regina?»
Nonostante tutto, lui si leccò le labbra. Una regina? Quello non l’aveva mai fatto.
29
Un calice di sonno
«Non fare l’idiota, Rand» disse Min. Costringendosi a restare seduta, incrociò le gambe e prese a scalciare oziosamente, ma non riuscì a non parlare in tono esasperato. «Vai da lei! Parlale!»
«Perché?» scattò Rand. «Adesso so a quale lettera credere. È meglio così. Lei ora è al sicuro. Da chiunque voglia colpire me. È al sicuro da me! È meglio così!» Ma, in maniche di camicia, continuò a fare avanti e indietro tra le due file di poltrone davanti al Trono del Drago, i pugni stretti e le nocche sbiancate, uno sguardo nero come le nuvole che fuori dalle finestre stavano stendendo un nuovo manto di neve su Cairhien.
Min scambiò uno sguardo con Fedwin Morr, in piedi accanto alle porte con sopra inciso il sole. Le Fanciulle adesso lasciavano entrare chiunque non fosse chiaramente un nemico, ma quel mattino gli ospiti indesiderati venivano respinti dal giovane robusto. Sul colletto aveva sia la spilla del drago che quella della spada, e Min sapeva che aveva già visto più battaglie — e orrori — di quasi tutti gli uomini tre volte più grandi di lui, ma era comunque un ragazzo. E quel giorno, poiché continuava a lanciare occhiate nervose a Rand, sembrava più giovane che mai. La spada che portava in vita sembrava fuori luogo addosso a lui, secondo Min.
«Il Drago Rinato è un uomo, Fedwin» gli disse. «E come tutti gli uomini è dispiaciuto perché crede che una donna non voglia vederlo mai più.»
Gli occhi sgranati, il ragazzo trasalì come se lei gli avesse dato una pacca sul sedere. Rand si fermò per rivolgerle uno sguardo torvo. E se Min non rise fu solo perché sapeva che lui stava nascondendo un dolore reale come ogni ferita da coltello. Per questo, e per la consapevolezza che avrebbe sofferto altrettanto se la donna in questione fosse stata lei. Non che Min avrebbe mai avuto occasione di strappare le sue bandiere, ma il punto non era questo. Sulle prime, Rand era rimasto sbalordito dalle notizie che Taim aveva portato da Caemlyn all’alba, ma non appena quell’uomo se ne era andato lui aveva smesso di sembrare un bue stecchito e aveva cominciato con... questo!
Min si alzò, si aggiustò la giubba color verde chiaro, incrociò le braccia al petto e lo affrontò direttamente. «Quale altro può essere il motivo?» gli chiese con calma. Be’, provò a chiederglielo con calma, e quasi ci riuscì.
Lo amava, ma dopo una mattinata del genere aveva voglia di riempirlo di ceffoni. «Non hai quasi parlato di Mat, e non sai nemmeno se è vivo.»
«Mat è vivo» ruggì Rand. «Lo saprei se fosse morto. Che significa che sono...» Serrò la mascella, come se non riuscisse a ripetere quella parola.
«Dispiaciuto» lo aiutò lei. «E presto sarai imbronciato, come un ragazzino. Alcune donne credono che gli uomini siano più graziosi quando mettono il broncio. Io non sono fra queste.» Be’, era meglio cambiare argomento. Rand si era scurito in volto, e non stava arrossendo. «Non ti sei forse fatto in quattro per assicurarti che lei avesse il trono di Andor? Che le appartiene di diritto, aggiungerei. Non dicevi di volere che avesse un Andor integro, non distrutto come Cairhien o Tear?»
«Certo!» ruggì Rand. «E adesso è suo, e lei vuole che me ne tenga alla larga! Bene così, dico io! E non dirmi un’altra volta che devo smetterla di urlare! Non lo sto...» Si rese conto che lo stava facendo e chiuse di scatto la bocca. Un basso ringhio veniva dal fondo della sua gola. Morr prese a studiare uno dei suoi bottoni, piegandolo avanti e indietro. Lo aveva fatto un sacco di volte, quel mattino.
Min cercò di mantenere un’espressione serena. Non aveva intenzione di prenderlo a schiaffi, ed era troppo grosso per poterlo sculacciare. «L’Andor è suo, proprio come volevi tu» gli disse. Con calma. Quasi. «Nessun Reietto le andrà contro ora che ha abbassato le tue bandiere.» Una luce minacciosa si accese in quegli occhi grigio-azzurri, ma lei insisté: «Proprio come volevi tu. E non puoi certo credere che si sia schierata con i tuoi nemici.
L’Andor seguirà il Drago Rinato, e lo sai. Quindi l’unico motivo per cui hai perso le staffe è perché pensi che non ti voglia più vedere. Vai da lei, idiota!» Quello che veniva dopo fu più difficile da dire. «Prima ancora che potrai pronunciare una parola, lei comincerà a baciarti.» Per la Luce, amava Elayne quasi quanto amava Rand — forse senza quasi, anche se in modo assai diverso — ma come poteva una donna competere con una bellissima regina dai capelli d’oro che aveva una nazione intera ai suoi piedi?
«Io non sono... arrabbiato» disse Rand con voce tesa. E ricominciò a camminare avanti e indietro. Min prese in considerazione l’ipotesi di dargli un calcio nel sedere. Forte.