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«Accettereste di essere rinchiuse in una cassa?» La sua voce era gracchiante, come pietre gelide strofinate una contro l’altra. «Rinchiuse tutto il giorno, e percosse prima di entrare e dopo essere uscite?» Era quello che avevano fatto a lui.

«Sì» gemette Elza contro il pavimento. «Farò qualsiasi cosa!»

«Sì, se è questo che desideri» riuscì a dire Erian, tremando, e le altre annuirono lentamente, atterrite.

Min guardava sbalordita, i pugni stretti nelle tasche della giubba. Era naturale che Rand pensasse di vendicarsi trattandole come era stato trattato, ma lei doveva trovare il modo di fermarlo. Lo conosceva meglio di quanto non si conoscesse egli stesso; sapeva dove era duro come una lama di coltello e dove era vulnerabile, per quanto si sforzasse di negarlo. Non si sarebbe mai perdonato se avesse fatto una cosa del genere. Ma come poteva impedirglielo? Il viso distorto dalla furia, Rand scosse il capo come faceva quando discuteva con quella voce che sentiva nella mente. Borbottò una sola parola a voce abbastanza alta perché la sentisse anche Min. Ta’veren.

Sorilea se ne stava con calma al suo posto, e lo studiava attentamente come Nesune. Nemmeno la minaccia della cassa aveva scosso la Marrone. Tranne Elza, che ancora gemeva e baciava il pavimento, le altre avevano tutte lo sguardo distante, come se si stessero immaginando piegate in due e legate come avevano legato lui.

Tra tutte le immagini che scorrevano intorno a Rand e le donne, all’improvviso si accese un’aura, blu e gialla punteggiata di verde, che li racchiuse tutti. E Min ne conobbe il significato. Ansimò, metà per la sorpresa e metà per il sollievo.

«Ti serviranno, Rand, ognuna a modo suo» disse rapidamente. «L’ho visto.» Sorilea l’avrebbe servito? A un tratto Min si chiese cosa esattamente significava ‘ognuna a modo suo’. Le parole venivano con la comprensione, ma non sempre lei sapeva cosa significassero. Eppure quelle donne l’avrebbero davvero servito: questo era chiaro.

La furia sparì dal volto di Rand, che studiò in silenzio le Aes Sedai. E alcune di loro guardarono Min inarcando le sopracciglia, palesemente stupite per il grande peso che avevano avuto le sue poche parole; ma per lo più fissarono Rand, e sembrava che nemmeno respirassero. Persino Elza alzò il capo per guardarlo. Sorilea rivolse a Min una rapida occhiata e un cenno del capo appena percettibile. Un cenno di approvazione, pensò lei. E così la vecchia fingeva che non le importasse niente, eh?

Alla fine, Rand parlò. «Potete giurarmi fedeltà come hanno fatto Kiruna e le altre. O tornerete dove finora vi hanno tenuto le Sapienti, ovunque sia.

Non accetterò nulla di meno.» Nonostante una sfumatura di autorità nella voce, sembrava che neanche a lui importasse nulla, braccia incrociate, occhi impazienti. Il giuramento che aveva preteso arrivò subito, in un torrente.

Min non si aspettava certo che quelle donne si mettessero a cavillare, non dopo la visione che aveva avuto, ma rimase comunque sorpresa quando Elza si alzò per inginocchiarsi e le altre si abbassarono per fare altrettanto. In un coro sfilacciato, altre cinque Aes Sedai giurarono in nome della Luce e per la loro speranza di salvezza che avrebbero servito fedelmente il Drago Rinato fino all’Ultima Battaglia. Nesune pronunciò le parole come esaminandole una per volta, Sarene come se stesse esponendo un principio di logica, Elza con un ampio sorriso di trionfo, ma tutte giurarono. Quante Aes Sedai si sarebbero riunite intorno a Rand?

Dopo il giuramento, lui parve perdere ogni interesse. «Trova loro dei vestiti e mettile con le altre vostre ‘allieve’» disse distrattamente a Sorilea.

Era accigliato, ma non per lei o le Aes Sedai. «Quante credi che saranno, alla fine?» Min quasi sobbalzò per quell’eco dei suoi stessi pensieri.

«Quante ne servono» rispose seccamente Sorilea. «Penso che ne arriveranno altre.» Batté una volta le mani e fece un cenno, e le cinque sorelle scattarono in piedi. Solo Nesune parve sorpresa per la loro alacre obbedienza. Sorilea sorrise, un sorriso molto compiaciuto per una Aiel e, secondo Min, dovuto non alla docilità di quelle donne.

Annuendo, Rand si girò. Ricominciò subito a camminare avanti e indietro, ricominciò subito ad accigliarsi pensando a Elayne. Min tornò di nuovo alla sua poltrona, rammaricandosi di non avere uno dei libri di mastro Fel da leggere. O da lanciare a Rand. Be’, uno di mastro Fel da leggere, e uno di qualcun altro da lanciare.

Sorilea guidò il suo gregge di donne vestite di nero fuori dalla stanza, ma si fermò con una mano sulla porta e si girò a guardare Rand, che si allontanò da lei andando verso il trono dorato. La Aiel increspò pensosamente le labbra. «Quella donna, Cadsuane Melaidhrin, è anche oggi sotto questo tetto» annunciò infine parlando alla sua schiena. «Penso sia convinta che tu hai paura di lei, Rand al’Thor, per come la eviti.» Detto questo, uscì.

Per un lungo istante, Rand rimase a fissare il trono. O forse qualcosa al di là del trono. Poi si scosse all’improvviso, coprì a grandi falcate il resto della distanza e raccolse la Corona di Spade. Sul punto di mettersela in testa, però, ebbe un’esitazione, poi la ripose. Indossò la giubba, e lasciò stare scettro e corona.

«Ho intenzione di scoprire che vuole Cadsuane» dichiarò. «Di sicuro non viene tutti i giorni a palazzo perché le piace camminare nella neve. Mi vuoi accompagnare, Min? Forse avrai una visione.»

Lei si alzò ancor più in fretta di quelle Aes Sedai. Probabilmente, una visita a Cadsuane sarebbe stata piacevole come una a Sorilea, ma era comunque meglio che restare lì da sola. Inoltre, forse avrebbe davvero avuto una visione. Fedwin si accodò a lei e Rand con un’espressione di allerta negli occhi.

Le sei Fanciulle nel corridoio dall’alto soffitto a volta si alzarono, ma non li seguirono. Somara era l’unica che Min conoscesse; la Aiel rivolse a lei un rapido sorriso e a Rand un duro sguardo di disapprovazione. Le altre erano torve. Le Fanciulle avevano accettato la sua storia su come era partito senza di loro affinché tutti credessero quanto più a lungo possibile che era ancora a Cairhien, ma pretendevano ancora di sapere perché poi non le aveva mandate a chiamare, e Rand non aveva risposte. Mormorò qualcosa tra sé e aumentò l’andatura, così Min dovette camminare a lunghe falcate per tenere il passo.

«Osserva Cadsuane attentamente, Min» le disse Rand. «E anche tu, Morr. Ha di sicuro in mente qualche piano da Aes Sedai, ma che io sia folgorato se riesco a capire quale. Non so. C’è...»

Un muro di pietra parve colpire Min alle spalle e a lei sembrò di sentire schianti e boati. Poi Rand la stava girando — era stesa sul pavimento? — e la guardava con la prima espressione di paura che lei avesse mai visto in quegli occhi azzurri come il cielo al mattino. Un’espressione che si affievolì solo quando Min si alzò a sedere, tossendo. L’aria era piena di polvere! E poi vide il corridoio.

Le Fanciulle davanti alla porta di Rand erano sparite. La porta stessa era sparita, insieme a gran parte della parete, e in quella opposta c’era un buco frastagliato quasi altrettanto grande. Nonostante la polvere, Min poteva chiaramente vedere l’interno degli appartamenti di Rand, poteva vederne la devastazione. Enormi cumuli di macerie giacevano ovunque, e il soffitto era una bocca spalancata verso il cielo. La neve scendeva vorticando sulle fiamme che danzavano fra i detriti. Uno dei massicci sostegni del baldacchino sporgeva, bruciato, da un mucchio di pietre, e Min si rese conto che riusciva a vedere anche fuori dalla stanza, fino alle torri circondate da gradini e spolverate da un velo di neve. Era come se un immenso martello si fosse abbattuto sul Palazzo del Sole. Se loro fossero rimasti nella stanza, invece di andare da Cadsuane... Min rabbrividì.

«Cosa...» cominciò a dire con voce malferma, poi scartò quell’inutile domanda. Qualsiasi idiota poteva vedere cosa era successo. «Chi?» chiese invece.