Preoccupato per quello schermo, Rand aprì la porta quanto bastava per controllare il corridoio, e quando vide che era deserto uscì rapidamente.
Non poteva lasciare la Cercavento libera di incanalare, ma schermare una donna richiedeva una gran quantità di Potere. Se uno dei suoi nemici era vicino... Ma non vide nessuno nemmeno nei passaggi laterali.
A cinquanta passi dalle stanze di Ailil, il corridoio si apriva su una balconata di marmo azzurro, con il parapetto squadrato e scale a entrambe le estremità che portavano a una sala quadrata con un alto soffitto a volta che terminava in un’altra balconata dello stesso tipo. Arazzi lunghi dieci passi erano appesi alle pareti, uccelli che si innalzavano in cielo seguendo rigidi schemi. Dabbasso c’era Dashiva, che si guardava intorno leccandosi le labbra con un’espressione incerta. E con lui c’erano Gedwyn e Rochaid! Lews Therin strillò di ucciderli.
«...ripeto che io non ho percepito nulla» stava dicendo Gedwyn. «È morto!»
Poi Dashiva vide Rand, in cima alle scale.
L’unico avvertimento fu l’improvviso ghigno che distorse il volto di Dashiva. Poi l’Asha’man incanalò, e senza nemmeno pensare Rand creò la sua tessitura — come spesso succedeva, non sapeva cosa fosse; qualcosa recuperato dagli abissi della memoria di Lews Therin: non era nemmeno sicuro se stava creando da solo quella tela o se Lews Therin gli aveva sottratto il controllo di saidin — e si avvolse in Aria, Fuoco e Terra. Il fuoco lanciato da Dashiva esplose, frantumando il marmo e respingendo Rand nel corridoio, rimbalzando e rotolando sul suo bozzolo.
Quella barriera poteva tener fuori qualsiasi cosa tranne il fuoco malefico.
Inclusa l’aria per respirare. Rand la rilasciò ansimando, e strisciò sul pavimento con lo schianto delle esplosioni che ancora risuonava nell’aria, la polvere che non si era ancora posata e frammenti di marmo che continuavano a rotolare. Rand aveva lasciato andare quella tessitura non solo per respirare, ma perché la barriera resisteva agli attacchi del Potere sia dall’esterno che dall’interno. Non aveva ancora smesso di scivolare che già incanalò Fuoco e Aria, ma intrecciati in modo molto diverso dalla tessitura di Luce Ritorta. Dalla mano destra gli partirono sottili filamenti rossi, che si aprirono a ventaglio passando attraverso la pietra diretti verso il punto in cui prima si trovavano Dashiva e gli altri. Dalla sinistra sfrecciarono sfere di fuoco, Fuoco intessuto con Aria, tanto veloci da non poterle neppure contare, e fusero la pietra fino a esplodere nella grande sala. Un continuo, assordante boato fece tremare il Palazzo. La polvere caduta tornò ad alzarsi, e i pezzi di marmo rimbalzavano sul pavimento.
Quasi all’istante, però, Rand si alzò e corse via, tornò indietro, superò gli appartamenti di Ailil. Chi colpiva e restava nello stesso posto stava chiedendo di morire. Lui era pronto a morire, ma non ancora. Ruggendo senza emettere suoni, si lanciò in un altro corridoio, scese le strette scale della servitù e arrivò al piano di sotto.
Fu molto cauto mentre tornava dove aveva visto Dashiva, tessiture letali pronte a scattare al primo avviso.
Avrei dovuto ucciderli tutti sin dall’inizio, ansimò Lews Therin. Avrei dovuto ucciderli tutti!
Rand lo lasciò sfogare.
La grande stanza sembrava aver subito un’inondazione di fuoco. Degli arazzi restavano solo frammenti carbonizzati lambiti dalle fiamme, e per terra e nelle pareti il fuoco aveva scavato buchi larghi un passo. Le scale sulle quali si era fermato Rand finivano a metà strada dal pavimento. Dei tre uomini non c’era segno. Non potevano essersi consumati del tutto.
Qualcosa sarebbe rimasto.
Un servitore in giubba nera si affacciò piano da una porticina accanto alle scale dall’altro lato della sala. Gli cadde lo sguardo su Rand, gli occhi ruotarono all’insù e l’uomo si accasciò. Un’altra domestica si sporse da un corridoio, poi raccolse le gonne e tornò indietro, strillando a squarciagola che il Drago Rinato stava uccidendo tutti quelli che si trovavano nel Palazzo.
Rand andò silenziosamente via da quella sala con una smorfia dipinta in viso. Era davvero bravo a spaventare la gente che non poteva fargli alcun male. Davvero bravo a distruggere.
Distruggere o essere distrutto, rise Lews Therin. Quando ti resta solo questa scelta, cosa conta tutto il resto?
Da qualche parte nel Palazzo, un uomo incanalò abbastanza Potere da creare un passaggio. Dashiva e gli altri che fuggivano? O volevano farglielo credere?
Rand avanzò camminando nel Palazzo, senza più prendersi la briga di nascondersi. Lo facevano già tutti gli altri. I pochi servitori che vide fuggirono urlando. Corridoio dopo corridoio, Rand andò a caccia, pieno di saidin fin quasi a scoppiare, pieno di fuoco e ghiaccio che provavano ad annientarlo come aveva fatto Dashiva, pieno della contaminazione che gli si insinuava nell’anima. Non aveva bisogno delle sguaiate risa e dei vaneggiamenti di Lews Therin per essere invaso dal desiderio di uccidere.
Lo scorcio di una giubba nera poco più avanti, e le sue mani scattarono in alto, fuoco, saette, esplosioni, squarci nelle pareti ad angolo dove due corridoi si incontravano. Rand lasciò che la tessitura si placasse, ma non la eliminò del tutto. Li aveva uccisi?
«Mio lord Drago,» urlò una voce da dietro il muro distrutto «sono io, Narishma! E con me c’è anche Flinn!»
«Non vi avevo riconosciuti» mentì Rand. «Venite qui.»
«Temo che il tuo sangue sia un po’ troppo caldo» rispose a gran voce Flinn. «Credo che forse dovremmo aspettare che tutti si calmino un po’.»
«Sì» disse lentamente Rand. Aveva davvero cercato di uccidere Narishma? Non pensava di poter usare Lews Therin come scusante. «Sì, forse è meglio. Aspettiamo un po’.» Non ci fu nessuna risposta. Aveva sentito rumore di passi in fuga? Si costrinse ad abbassare le mani e prese un’altra direzione.
Perlustrò il Palazzo per ore senza trovare traccia di Dashiva e gli altri. I corridoi e le grandi sale, persino le cucine, tutto era deserto. Non scoprì nulla, non apprese nulla. No. Si rese conto che una cosa l’aveva appresa.
La fiducia era un pugnale, e il manico era affilato come la lama.
Poi scoprì il dolore.
La piccola stanza dalle pareti di pietra si trovava nelle profondità del Palazzo del Sole ed era tiepida nonostante non ci fossero camini, ma Min sentiva freddo. Tre lampade dorate sul piccolo tavolo di legno davano abbastanza luce. Rand aveva detto che da lì poteva farla fuggire anche se qualcuno provava a sradicare il Palazzo dal terreno. E non le era sembrato che stesse scherzando.
Con la corona di Illian in grembo, Min lo osservava. Osservava Rand che osservava Fedwin. Le mani si strinsero sulla corona, e si allargarono immediatamente per la puntura di una delle piccole spade nascoste tra le foglie di alloro. Strano come corona e scettro erano sopravvissuti mentre lo stesso Trono del Drago era ridotto a un ammasso di schegge dorate sepolto dalle macerie. Una grande saccoccia di cuoio accanto alla sua sedia, contro la quale era poggiato il cinturone di Rand con la spada infilata nel fodero, conteneva gli altri oggetti che lui era riuscito a recuperare. Scelte strane per la maggior parte dei casi, secondo il giudizio di Min.
Stupida smidollata, si disse. Ignorare quello che hai davanti agli occhi non lo farà scomparire.
Rand sedeva a gambe incrociate sul nudo pavimento, ancora coperto di polvere e graffi e con la giubba strappata. Il suo volto sembrava quello di sua statua. Guardava Fedwin senza sbattere nemmeno le palpebre. Anche il ragazzo era seduto sul pavimento, a gambe larghe. La lingua stretta tra i denti, Fedwin si stava concentrando per costruire una torre con dei ceppi di legno. Min deglutì forte.
Ricordava ancora il terrore provato quando si era accorta che il ragazzo incaricato di ‘proteggerla’ aveva ormai la mente di un bambino. Anche la pena era ancora ben presente — per la Luce, era solo un ragazzo! Non era giusto! — ma Min avrebbe comunque preferito che Rand lo schermasse.