Non era stato facile convincere Fedwin a giocare con quei ceppi invece di sradicare le pietre dal muro col Potere per costruire ‘una grande torre dove tenerti al sicuro’. E poi lei si era seduta facendo al guardia a lui fino all’arrivo di Rand. Oh, per la Luce, quanto aveva voglia di piangere. Per Rand, ancor più che per Fedwin.
«Ti nascondi in profondità, a quanto pare.»
La voce cupa che veniva dalla soglia non ebbe neppure il tempo di concludere la frase che già Rand era in piedi, girato verso Mazrim Taim. Come al solito, l’uomo dal naso adunco indossava una giubba nera con Draghi blu e d’oro che si avvolgevano a spirale sulle maniche. A differenza degli altri Asha’man, non aveva la spilla con la spada né quella col drago sul colletto. Il volto scuro era inespressivo quasi quanto quello di Rand. In quel momento, però, con lo sguardo fisso su Taim, Rand cominciò a digrignare i denti. Min allentò furtivamente un coltello nella manica. Immagini ed aure danzavano intorno a entrambi, ma non fu questo a metterla improvvisamente in allarme. Aveva già visto un uomo intento a decidere se ucciderne o meno un altro, e lo stava vedendo anche in quel momento.
«Vieni qui pieno di saidin, Taim?» chiese Rand, con voce fin troppo calma. Taim allargò le braccia, e Rand disse: «Così va meglio.» Ma non si rilassò.
«Temevo solo di finire pugnalato per sbaglio,» spiegò Taim «mentre venivo qui passando per corridoi zeppi di quelle Aiel. Sembrano agitate.» I suoi occhi non lasciarono mai Rand, ma Min era sicura che l’avesse vista quando aveva sfiorato il pugnale. «Cosa comprensibile, ovviamente» proseguì Taim con naturalezza. «Non posso descriverti la mia gioia nel trovarti vivo dopo quello che ho visto di sopra. Sono venuto a fare rapporto su dei disertori. In circostanze normali non mi sarei preso la briga, ma in questo caso si tratta di Gedwyn, Rochaid, Torval e Kisman. A quanto pare erano scontenti di come sono andate le cose in Altara, ma non avrei mai pensato che potessero spingersi a tanto. Non ho visto nessuno degli uomini che avevo lasciato con te.» Per un attimo, lo sguardo guizzò verso Fedwin.
Solo per un attimo. «Ci sono state... altre... perdite? Se desideri, questo qui lo porto con me.»
«Ho ordinato io agli altri di tenersi lontano dalla mia vista» disse Rand con voce dura. «E mi prenderò io cura di Fedwin. Fedwin Morr, Taim, non ‘questo qui’.» E si spinse anche indietro verso il tavolino per prendere il calice d’argento poggiato tra le lampade. Min trattenne il fiato.
«La Sapiente del mio villaggio era capace di curare qualsiasi cosa» disse Rand mentre si inginocchiava accanto a Fedwin. In qualche modo, riuscì a sorridere al ragazzo senza distogliere lo sguardo da Taim. Fedwin ricambiò con gioia il sorriso e provò a prendere il calice, ma Rand lo tenne in mano e gli diede da bere. «Conosce le erbe meglio di chiunque io abbia mai incontrato. Ho imparato alcune cose da lei, certe sono sicure, altre no.» Fedwin sospirò quando lui gli tolse il bicchiere e se lo strinse al petto. «Dormi, Fedwin» mormorò Rand.
E sembrava davvero che il ragazzo si stesse addormentando. Chiuse gli occhi. Il torace si alzò e poi scese più lentamente. Più lentamente. Fino a fermarsi. Il sorriso non lasciò mai le sue labbra.
«Un po’ nel vino» disse lievemente Rand mentre adagiava Fedwin. Min si sentiva bruciare gli occhi, ma non avrebbe pianto. Non avrebbe pianto!
«Sei più duro di quanto pensassi» mormorò Taim.
Rand gli sorrise, un sorriso duro e ferino. «Aggiungi Corlan Dashiva al tuo elenco dei disertori, Taim. La prossima volta che vengo alla Torre Nera mi aspetto di vedere la sua testa su quel tuo Albero del Traditore.»
«Dashiva?» ruggì Taim, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Sarà fatto.
Entro la tua prossima visita alla Torre Nera.» Si riprese subito, tornando ad assumere quel suo studiato aspetto da pietra levigata. Min avrebbe davvero voluto riuscire a capire le visioni che aveva su di lui.
«Torna alla Torre Nera, e non venire più qui.» Alzandosi, Rand fronteggiò l’altro uomo da sopra il corpo di Fedwin. «Per un po’ di tempo potrei spostarmi di continuo.»
L’inchino di Taim fu appena accennato. «Ai tuoi ordini.»
Quando la porta si chiuse alle spalle di quell’uomo, Min emise un lungo sospiro.
«Non ha senso perdere tempo, e non c’è tempo da perdere» mormorò Rand. Inginocchiandosi davanti a lei, prese la corona e la infilò nella saccoccia insieme agli altri oggetti. «Min, pensavo di essere io il branco di segugi e di dare la caccia ai lupi uno dopo l’altro, ma a quanto pare sono il lupo.»
«Che tu sia folgorato» sospirò lei. Avvinghiandosi con entrambe le mani ai suoi capelli, lo guardò dritto negli occhi. Ora azzurri, ora grigi, il cielo del mattino all’alba. E asciutti. «Puoi piangere, Rand al’Thor. Non diventi più debole se piangi!»
«Non ho tempo neanche per le lacrime, Min» disse lui con delicatezza.
«A volte i segugi prendono il lupo e se ne pentono. A volte il lupo gli si rivolta contro, o tende un’imboscata. Ma prima, il lupo deve fuggire.»
«Dove andiamo?» chiese Min. Non lasciò i capelli. Non l’avrebbe mai lasciato andare. Mai.
30
Inizi
Tenendosi chiuso con una mano il mantello foderato di pelliccia, Perrin lasciava che fosse Resistenza a decidere l’andatura. Il sole di metà mattino non dava alcun tepore, e la neve piena di solchi sulla strada che portava ad Abila rendeva complicato il viaggio. Lui e la sua decina di compagni dividevano il cammino con appena due carri traballanti tirati da buoi e una manciata di contadini in semplici abiti di lana. Arrancavano tutti a testa bassa, stringendosi il cappello o la cuffia ogni volta che il vento soffiava più forte ma per il resto concentrati sul terreno sotto le loro scarpe.
Dietro di lui, sentì Neald fare una battuta sconcia ad alta voce; Grady reagì con un grugnito, e Balwer tirando stizzosamente su con il naso. Nessuno di quei tre sembrava influenzato in alcun modo da ciò che avevano visto o sentito negli ultimi mesi dopo aver varcato il confine dell’Amadicia, né si preoccupavano per ciò che li aspettava. Edarra stava riprendendo duramente Masuri che si era lasciata scivolare via il cappuccio. Edarra e Carelle portavano entrambe lo scialle avvolto intorno alla testa e alle spalle oltre al mantello, ma anche dopo aver accettato la necessità di andare a cavallo si erano rifiutate di cambiarsi quelle gonne pesanti, così le gambe infilate nelle calze scure erano scoperte fin sopra al ginocchio. Il freddo non sembrava infastidirle minimamente, solo la stranezza della neve le turbava.
Carelle cominciò ad avvertire con voce sommessa Seonid su cosa sarebbe successo se non si teneva il volto ben nascosto.
Ovviamente, se Seonid avesse lasciato vedere troppo presto il suo volto, una dose di cinghiate sarebbe stato l’ultimo dei suoi problemi, come lei e la Sapiente ben sapevano. Perrin non aveva bisogno di girarsi indietro per scoprire che i tre Custodi delle sorelle, in fondo al gruppo e vestiti con normali mantelli, erano pronti a estrarre le spade da un momento all’altro per farsi strada a suon di fendenti. E quello era il loro stato d’animo sin da quando all’alba erano partiti dall’accampamento. Lui stesso passò un pollice coperto dal guanto lungo l’ascia che gli penzolava dalla cintura, poi richiuse il mantello prima che una raffica improvvisa lo facesse sventolare.
Se quella loro spedizione andava per il verso sbagliato, forse i Custodi si sarebbero ritrovati ad aver ragione.
A sinistra, vicino a dove la strada attraversava un ponte di legno su un torrente ghiacciato che piegava lungo il confine della città, dei tronchi carbonizzati sporgevano dalla neve in cima a una grande piattaforma quadrata fatta di pietra, con macerie ammassate intorno alla base. Lento a proclamare la sua lealtà al Drago Rinato, il lord del posto era stato fortunato a cavarsela solo con qualche frustata e con la confisca di ogni suo bene. Un gruppo di uomini fermi presso il ponte seguì l’arrivo del gruppo a cavallo.