Sammael era un idiota, aveva rischiato così tanto per mettere insieme una collezione di oggetti sconosciuti. Ma d’altronde Sammael non era mai stato furbo come credeva. Moridin, per esempio, non avrebbe mai rovinato i propri piani solo per una scommessa, solo per vedere quali scampoli di civiltà riusciva a rinvenire. Era lì solo per un’oziosa curiosità. Gli piaceva sapere cosa gli altri reputavano importante. Ma si trattava di roba di nessun valore.
Stava per andare via quando i contorni del passaggio cominciarono improvvisamente a flettersi e tremolare. Paralizzato, Moridin fissò l’apertura fin quando quella semplicemente si... disciolse. Non era mai stato tipo da lasciarsi andare alle imprecazioni, ma gliene vennero in mente diverse.
Che aveva fatto quella donna? Questi rustici barbari presentavano troppe sorprese. Un modo per Guarire chi veniva reciso dal Potere, per quanto imperfetto. Doveva essere impossibile, eppure loro riuscivano a farlo. Come riuscivano a unirsi in un anello senza neppure rendersene conto. E poi c’era quel legame tra Custodi e Aes Sedai. Di questo Moridin era a conoscenza da tanto, tanto tempo, ma ogni volta che credeva di aver preso le misure a questi primitivi, loro esibivano una nuova capacità, facevano qualcosa che nella sua Epoca nessuno si sognava. Qualcosa che non era riuscita neppure nei momenti più alti della civiltà! Cosa aveva appena fatto quella ragazza?
«Grande Padrone?»
Moridin si limitò a girare il capo restando alla finestra. «Sì, Madic?»
Che aveva tatto quella ragazza, che la sua anima fosse dannata?
L’uomo quasi calvo vestito di verde e bianco che era silenziosamente entrato nella piccola stanza fece un profondo inchino prima di inginocchiarsi.
Uno dei servitori di palazzo di più alto livello, Madic, con il suo volto lungo, possedeva una pomposa dignità che cercava di mantenere anche in quel frangente. Moridin aveva visto uomini molto più importanti cavarsela molto peggio. «Grande Padrone, ho saputo cosa le Aes Sedai hanno portato a palazzo stamane. Si dice che abbiano trovato un grande tesoro dei tempi antichi, oro, gioielli e pietra dell’anima, manufatti di Shiota ed Eharon risalenti anche all’Epoca Leggendaria. A quanto pare, alcuni di quegli oggetti usano l’Unico Potere. E si dice che uno possa controllare il clima.
Nessuno sa dove fossero dirette quelle donne, grande padrone. Il palazzo brulica di chiacchiere, ma dieci persone faranno il nome di dieci diverse destinazioni.»
Moridin era tornato a studiare il cortile delle stalle non appena Madie aveva cominciato a parlare. Non gli interessava nessuna ridicola favola su oro e cuendillar. Niente poteva ottenere quell’effetto su un passaggio. A meno che... Possibile che la ragazza avesse addirittura disfatto la tela? Moridin non aveva paura della morte. Prese freddamente in considerazione la possibilità di essersi trovato al cospetto di una tessitura disfatta. Disfatta con successo. Un’altra cosa impossibile distrattamente realizzata da quei...
Una parte del discorso di Madie attirò la sua attenzione. «Il clima, hai detto?» Le ombre delle guglie del palazzo avevano appena cominciato ad allungarsi, ma non c’era neppure una nuvola a proteggere la città riarsa dal sole.
«Sì, grande padrone. Con un oggetto chiamato Scodella dei Venti.»
Quel nome non gli diceva niente. Ma... un ter’angreal in grado di controllare il clima... Nella sua Epoca, il clima era stato accortamente regolato tramite l’uso dei ter’angreal. Una delle sorprese dell’Epoca attuale — una delle minori, gli era parso — era stata la scoperta di persone in grado di manipolare il clima in modi che avrebbero richiesto l’uso di uno di quegli oggetti di Potere. Uno solo di questi strumenti poteva non essere sufficiente a influenzare neppure una grande parte di un singolo continente. Ma cosa potevano riuscire a fare quelle donne con un simile ter’angreal? Cosa? E se si univano in un anello?
Moridin afferrò il Vero Potere senza rifletterci, e i neri saa si agitarono davanti ai suoi occhi. Le dita si strinsero sulla griglia di ferro lavorato; il metallo gemette, contorto non dalla sua presa ma dai filamenti di Vero Potere, preso a prestito dal Sommo Signore stesso, che si avvolsero intorno alla griglia, flettendola quando lui fletté le mani per la rabbia. Il Sommo Signore non sarebbe stato contento. Con grandi difficoltà, si era proteso dalla sua prigione per toccare il mondo e fissare le stagioni. Era impaziente di toccarlo ancora, di fare a pezzi il vuoto che lo bloccava, e non sarebbe stato contento. La rabbia avvolse Moridin, il pulsare del sangue forte nelle sue orecchie. Un attimo prima non gli interessava dove stessero andando quelle donne, ma adesso... Lontano da lì. Quando qualcuno fugge cerca di arrivare quanto più lontano possibile. In qualche posto in cui sentirsi al sicuro. Mandare Madic a fare domande sarebbe stato inutile, non aveva senso torchiare la gente del palazzo: quelle donne non erano certo state così stupide da lasciarsi dietro qualcuno che conoscesse la loro destinazione.
Non stavano andando a Tar Valon. Da al’Thor? Da quella banda di Aes Sedai ribelli? Moridin aveva occhi in tutti e tre i posti, persone che non sapevano neppure di servirlo. Ogni essere vivente lo avrebbe servito, prima della fine. E lui non avrebbe permesso che una svista casuale rovinasse i suoi piani.
A un tratto sentì un rumore che non era il battito tuonante della sua furia.
Un suono gorgogliante. Guardò Madic con curiosità, e si allontanò dalla pozza che si allargava sul pavimento. A quanto pareva, perso nella propria rabbia non aveva strizzato solo lo schermo di ferro con il Vero Potere. Era notevole quanto sangue potesse uscire da un corpo umano.
Senza alcun rimpianto, lasciò cadere ciò che restava del servitore; pensò solo che al ritrovamento del corpo di Madic la colpa sarebbe caduta sulle Aes Sedai. Una piccola aggiunta al caos che stava invadendo il mondo.
Aprendo uno squarcio nel tessuto del Disegno, Moridin Viaggiò con il Vero Potere. Doveva trovare quelle donne prima che usassero la Scodella dei Venti. E se non ci riusciva... Non gli piaceva quando le persone si immischiavano nei piani che lui architettava con tanta cura. E quelli che lo facevano e sopravvivevano, vivevano solo per pagarne le conseguenze.
Il gholam entrò con cautela nella stanza, con le narici che già fremevano per l’odore del sangue ancora caldo. La livida bruciatura sulla sua guancia sembrava un tizzone acceso. Il gholam aveva il misero aspetto di un uomo magro, appena un po’ più alto della media di quel periodo, eppure non aveva mai incontrato niente e nessuno capace di ferirlo. Fino a quell’uomo col medaglione. Mostrò i denti in una smorfia che poteva essere un sorriso o un ringhio. Curioso, scrutò la stanza, ma non c’era niente a parte il cadavere sul pavimento di piastrelle. E una... sensazione. Non l’Unico Potere, ma qualcosa che gli dava comunque un prurito, anche se non proprio nello stesso modo. Era stata la curiosità a portarlo fin lì. Parti della griglia che schermava la finestra erano ritorte, tanto che i bordi si erano staccati dall’intelaiatura. Il gholam parve ricordarsi cosa gli dava quel tipo di prurito, ma la sua memoria era offuscata e indistinta. Gli sembrava che il mondo fosse cambiato, e in un batter d’occhi. Prima c’erano guerre e uccisioni su vasta scala, con armi che colpivano a chilometri di distanza, migliaia di chilometri, e poi era arrivato... questo presente. Ma il gholam non era cambiato. Era sempre la più pericolosa delle armi.
Le narici fremettero di nuovo, anche se non era col fiuto che lui seguiva quelli capaci di incanalare. L’Unico Potere era stato usato più in basso, e a chilometri a nord. Doveva seguire o no quella traccia? L’uomo che lo aveva ferito non era lì: il gholam se ne era assicurato prima di lasciare quel suo elevato punto di osservazione. Il suo padrone voleva che l’uomo col medaglione morisse, forse con la stessa intensità con cui voleva che morissero quelle donne, ma queste erano un bersaglio più facile. Gli era stato fatto anche il loro nome, e per il momento lui era obbligato a ucciderle.