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Elayne digrignò i denti. Non vedeva l’ora di arrivare a Caemlyn. Era lì che si sarebbero dirette, dopo la fattoria. Lei aveva dei doveri a Caemlyn, doveri che trascurava da tempo. Non doveva fare altro che convincere le casate più forti che il Trono del Leone era suo malgrado la lunga assenza, per poi vedersela con una o due pretendenti rivali. Certo, se lei fosse stata lì quando sua madre era svanita, quando era morta, allora non ci sarebbe stata nessun’altra pretendente al trono, ma la storia di Andor le assicurava che ormai ne avrebbe trovata più d’una. In qualche modo, però, quello le sembrava più semplice della situazione attuale.

4

Un posto tranquillo

La fattoria della Famiglia sorgeva in un’ampia conca circondata su tre lati da basse colline, un’ampia struttura con più di una decina di grandi edifici che splendevano al sole, intonacati di bianco e con i tetti piatti. Quattro grossi fienili erano stati costruiti direttamente nel fianco della collina più alta, un poggio dalla sommità spianata con un lato che scendeva in ripidi dirupi oltre i fienili stessi. Il cortile era ombreggiato dai pochi alberi che non avevano ancora perso tutte le foglie. A nord e a est, gli oliveti si stendevano fin sui fianchi delle colline. La fattoria era come avvolta in una lenta attività, con almeno cento persone all’aperto nonostante il calore del pomeriggio, tutte intente a svolgere le faccende quotidiane, ma senza fretta.

Poteva quasi sembrare un piccolo villaggio più che una fattoria, ma non c’erano uomini o bambini, né Elayne si era aspettata di vederne. Quello era un punto di sosta per le donne che passavano da Ebou Dar dirette altrove, serviva a evitare che ce ne fossero troppe in città, ma questo era un segreto, come segreta era la Famiglia stessa. In pubblico, la fattoria era conosciuta nel raggio di circa trecento chilometri come un ritiro per donne, un luogo di contemplazione e di fuga dagli affanni del mondo, per qualche giorno, una settimana, o a volte per periodi più lunghi. Elayne avvertiva quasi un’atmosfera di serenità. Avrebbe anche potuto pentirsi di star portando il mondo esterno in quel posto tranquillo, ma sapeva anche di portare una nuova speranza.

La comparsa dei primi cavalli da dietro la collina sbilenca causò molta meno agitazione di quanta se ne aspettava Elayne. Alcune si fermarono per osservarli, ma non accadde altro. L’abbigliamento di quelle donne era assai variegato — Elayne vide anche la lucentezza della seta, qua e là — ma alcune portavano cesti e altre secchi, o grandi mucchi di panni da lavare. Una donna teneva un paio di anatre per mano, reggendole dalle zampe. Nobili e artigiane, contadine e mendicanti, tutte erano accolte ugualmente bene alla fattoria, ma tutte dovevano fare la loro parte di lavoro. Aviendha le toccò un braccio e poi indicò la cima di una collina, un rialzo simile a un imbuto rovesciato, un po’ storto su un lato. Elayne portò una mano alla tesa del cappello per prolungarne l’ombra e dopo un attimo riuscì a scorgere del movimento. Non c’era da meravigliarsi se nessuna di quelle donne era sorpresa del loro arrivo. Le sentinelle posizionate lassù potevano vedere chiunque ben prima che giungesse fin lì.

Una donna dall’aspetto ordinario andò loro incontro, raggiungendole prima che arrivassero agli edifici della fattoria. Il suo abito era nello stile di Ebou Dar, con la scollatura stretta e profonda, ma le gonne scure e le sottovesti dai colori accesi erano abbastanza corte che non aveva bisogno di sollevarle per evitare che si impolverassero. Non aveva lo stiletto nuziale; le regole della Famiglia vietavano il matrimonio. C’erano troppi segreti da custodire.

«Quella è Alise» mormorò Reanne, portandosi tra Nynaeve ed Elayne.

«Gestisce la fattoria, è il suo turno. È molto intelligente.» Come se le fosse venuto in mente solo in quel momento, aggiunse a voce ancora più bassa:

«Non sopporta le idiozie.» Quando Alise fu più vicina, Reanne si sistemò in sella, raddrizzando le spalle come per prepararsi a una dura prova.

‘Ordinaria’: a Elayne non veniva in mente una parola migliore per descrivere Alise, una donna che non avrebbe certo dovuto impressionare Reanne, neanche se quest’ultima non fosse stata l’Anziana del Circolo della Maglia. Con la schiena ben dritta, Alise pareva di mezza età, né magra né grassa, né alta né bassa, con qualche chiazza di grigio tra i capelli castano scuri tenuti indietro con un nastro, ma in modo più pratico che elegante.

Anche il suo volto era piuttosto comune, abbastanza gradevole, forse con la mascella leggermente allungata. Quando vide Reanne, Alise la guardò per un attimo con espressione stupita, poi sorrise. E quel sorriso la trasformò. Non la fece diventare bella, e nemmeno graziosa, ma Elayne si sentì riscaldata dal suo sorriso, confortata.

«Non mi aspettavo proprio di vederti... Reanne» disse Alise, esitando un attimo prima di pronunciare il nome. Ovviamente, non sapeva se poteva usare il titolo davanti a Nynaeve, Elayne e Aviendha, alle quali lanciò rapide occhiate mentre parlava. Aveva un leggero accento tarabonese. «Berowin ci aveva detto dei problemi in città, ovviamente, ma non credevo che fossero così gravi da costringerti a partire. Chi sono tutte queste...» Le si spense la voce, e sgranò gli occhi guardando oltre Reanne e le altre.

Elayne si girò indietro, e quasi le scapparono un paio delle imprecazioni che aveva raccolto qua e là e, più di recente, da Mat Cauthon. Non le capiva tutte, quasi nessuna in realtà — e nessuno le voleva mai spiegare il significato — ma le trovava comunque efficaci per dare sfogo alle emozioni. I Custodi si erano tolti i loro mantelli dai colori mutevoli, e le sorelle avevano alzato i cappucci come era stato stabilito, anche Sareitha, che in realtà non aveva bisogno di celare i suoi giovani lineamenti, ma Careane non aveva tirato il suo abbastanza in avanti. Era solo una cornice per il suo volto senza età. Non tutti avrebbero capito il significato di quella pelle liscia, ma di sicuro non sarebbe sfuggito a chiunque fosse stata nella Torre. Quando notò l’occhiataccia di Elayne, Careane tirò subito in avanti il cappuccio, ma il danno ormai era fatto.

E, nella fattoria, Alise non era la sola ad avere una vista acuta. «Aes Sedai!» urlò una donna, col tono di chi annuncia la fine del mondo. E forse era proprio questo che stava annunciando: la fine del suo mondo. Le strilla si diffusero come polvere mossa dal vento, e subito la fattoria si trasformò in un formicaio preso a calci. Due o tre di quelle donne non fecero altro che svenire, ma tutte le altre correvano all’impazzata, strillavano, lasciavano cadere quello che stavano trasportando, urtavano una contro l’altra, cadevano e si rialzavano per riprendere la corsa. Capre nere dalle corna corte, anatre e galline svolazzanti sfrecciavano ovunque per non farsi travolgere. E in mezzo a quella baraonda, alcune donne erano rimaste immobili e a bocca aperta; si trattava chiaramente delle ospiti di quel ‘ritiro’ che non sapevano nulla della Famiglia, anche se alcune di loro cominciarono a correre, contagiate dalla frenesia generale.

«Per la Luce!» abbaiò Nynaeve tirandosi la treccia. «Quelle stanno fuggendo verso gli oliveti! Fermale! Non dobbiamo scatenare il panico! Manda i Custodi! Presto, presto!» Lan alzò un sopracciglio in un’espressione interrogativa, ma lei gli fece un cenno perentorio. «Presto! Prima che fuggano tutte via!» Lan cominciò a scuotere il capo, poi invece annuì e lanciò Mandarb al galoppo verso gli altri uomini, facendo in modo di evitare il pandemonio scoppiato tra gli edifici.