«Nessuna. Chi mai... Nessuna avrebbe... Ammiravo Kiruna così tanto...»
C’era un senso di desolazione nella voce assonnata di Beldeine, e le lacrime che le scendevano dagli occhi disegnavano strisce nella polvere del viso. Rimaneva dritta solo perché l’altra la teneva ferma.
Verin continuava a posizionare i fili della sua tessitura, con gli occhi che guizzavano di tanto in tanto verso l’apertura della tenda. Stava cominciando a sudare. Sorilea poteva decidere da un momento all’altro che lei non poteva più fare gli interrogatori da sola. Poteva mandarle una delle sorelle del Palazzo del Sole. E se qualcuna avesse saputo ciò che lei stava facendo, con ogni probabilità Verin sarebbe stata quietata. «E così avevate intenzione di portarlo da Elaida pulito e cucinato» disse a voce leggermente più alta. Il silenzio era durato troppo. Non voleva che la coppia all’esterno riferisse che lei bisbigliava con le prigioniere.
«Non potevo... oppormi... alla decisione di Galina. Era lei al comando... per ordine dell’Amyrlin.» Beldeine cambiò di nuovo posizione, debolmente. La voce era ancora sognante, ma c’era una nota di agitazione. Le palpebre tremolavano. «Al’Thor doveva essere... ridotto... all’obbedienza! Era necessario! Non dovevamo... trattarlo così duramente. Sottoporlo... a un... interrogatorio. Un errore.»
Verin sbuffò. Un errore? Più che altro un disastro. Un vero e proprio disastro. Ora Rand al’Thor guardava tutte le Aes Sedai quasi allo stesso modo di Aeron. E se anche fossero riuscite a portarlo a Tar Valon? Un ta’veren come lui nella Torre Bianca? Un pensiero che avrebbe fatto tremare anche le pietre. Anche se ci fossero riuscite, ‘disastro’ forse era ancora troppo poco per descrivere quella loro missione. E il prezzo che avevano pagato ai Pozzi di Dumai per evitare quella tragedia era tutto sommato ragionevole.
Continuò a fare domande con voce chiaramente udibile da chiunque fosse all’esterno della tenda. Fece domande di cui conosceva già le risposte, evitando tutte quelle più pericolose. Prestava poca attenzione alle parole che pronunciava o a quelle che uscivano dalla bocca di Beldeine. Più che altro, era concentrata sulla tessitura.
Nel corso degli anni, molte cose avevano catturato la sua attenzione, e non tutte avrebbero ricevuto l’approvazione della Torre. Quasi tutte le selvatiche che arrivavano alla Torre Bianca per l’addestramento — sia le selvatiche vere e proprie, che avevano imparato da sole i primi rudimenti, sia le ragazze che avevano semplicemente cominciato a toccare la Fonte perché la scintilla innata in loro si era accesa da sola; per alcune sorelle, non c’erano differenze tra loro — quasi tutte avevano creato un proprio trucco, che inevitabilmente rientrava in una di queste due categorie: o era un modo per origliare le conversazioni altrui, o un sistema per farsi obbedire da un’altra persona.
La Torre non dava molto peso al primo tipo di trucco. Anche una selvatica con un buon controllo su sé stessa imparava in fretta che, finché indossava il bianco delle novizie, non doveva neppure sfiorare saidar senza una sorella o un’Ammessa presente. Cosa che limitava decisamente le possibilità di origliare. L’altro trucco, però, era troppo in odore di Coercizione.
Certo, si trattava solo di un espediente per farsi regalare dal padre un gingillo o un abito che lui non voleva comprare, o per spingere la madre ad approvare i ragazzi che di solito avrebbe scartato, cose di questo genere, ma la Torre riusciva sempre a sradicare quel trucco con grande efficacia.
La maggior parte delle donne e delle ragazze con le quali Verin aveva parlato nel corso degli anni non riusciva più a riprodurre la tessitura, men che mai a usarla, e molte di loro non erano neppure in grado di ricordarla. Da quell’insieme di frammenti e mezze frasi di una trama quasi dimenticata da ragazze non addestrate che l’avevano creata per scopi limitati, Verin era riuscita a ricostruire una cosa da sempre vietata dalla Torre. All’inizio lo aveva fatto solo per curiosità. La curiosità, si disse con un certo sarcasmo mente continuava a lavorare i flussi su Beldeine, mi ha fatto saltare in più di un pentolone bollente. L’utilità era arrivata in seguito.
«Immagino che Elaida avesse intenzione di tenerlo nelle celle speciali» disse con disinvoltura. Quelle stanze con le pareti a griglia erano destinate agli uomini capaci di incanalare, alle iniziate della Torre finite in arresto, alle selvatiche che si erano dichiarate Aes Sedai e a chiunque altro dovesse essere sia recluso che tagliato dalla Fonte. «Un posto tutt’altro che comodo per il Drago Rinato. Poco riservato. Tu ci credi che al’Thor è il Drago Rinato, Beldeine?» Questa volta, Verin si fermò per sentire la risposta.
«Sì.» La parola fu un lungo sibilo, e la ragazza ruotò gli occhi spaventati per guardarla in viso. «Sì... ma deve... essere tenuto... al sicuro. Il mondo... deve essere... al sicuro... da lui.»
Interessante. Tutte le altre avevano detto che bisognava salvare il mondo da lui, ma era interessante che alcune si preoccupassero di proteggere anche al’Thor. E tra queste ce n’erano alcune dalle quali Verin non si sarebbe mai aspettata nulla di simile.
Ai suoi occhi, la tela che ora aveva intessuto sembrava solo un intrico caotico di fili trasparenti e fiocamente luminosi, tutti avvolti intorno alla testa di Beldeine, con quattro flussi di Spirito che fuoriuscivano da quel groviglio. Tirò due di questi, alle estremità opposte, e l’intrico ebbe un lieve tracollo, come se cadesse in sé stesso, assumendo una sembianza di ordine. La ragazza sgranò gli occhi all’improvviso, lo sguardo perso in lontananza.
Con voce bassa ma ferma, Verin le diede le sue istruzioni. Erano più che altro suggerimenti, ma lei li pronunciò con l’autorità di un ordine. Beldeine avrebbe dovuto trovare in sé i motivi per obbedire, altrimenti tutto sarebbe risultato un grande spreco.
Dette le parole finali, Verin tirò gli altri due fili di Spirito, e l’intrico crollò di nuovo, stavolta raggiungendo un ordine perfetto, uno schema preciso, più complicato del più complesso dei merletti, completo, legato dalla stessa azione che ne aveva causato il cambiamento. Questa volta, la tessitura continuò a cadere in sé stessa, e poi verso la testa di Beldeine. I fili luminosi parvero affondare nella ragazza, poi svanirono. Gli occhi di lei ruotarono a mostrare solo il bianco, poi Beldeine cominciò ad agitarsi e a tremare. Verin la tenne con tutta la delicatezza possibile, ma comunque la testa scattava da un lato e dall’altro, mentre i talloni nudi battevano forte sui tappeti. Dopo pochi istanti, non c’erano quasi più tracce di ciò che era successo, e solo la più attenta delle Sonde avrebbe rilevato qualcosa, ma non sarebbe comunque riuscito a identificare la tessitura. Verin l’aveva esaminata con cura, e nessuna era superiore a lei nel talento di Sondare.
Ovviamente quella non era Coercizione vera e propria, quella descritta dai testi antichi. La tessitura fatta da Verin era un lavoro dolorosamente lento e intricato, e c’era bisogno che chi riceveva gli ordini avesse motivi per eseguirli. Era molto più semplice se il soggetto era emotivamente vulnerabile, ma la fiducia era essenziale. Se il bersaglio nutriva dei sospetti, era inutile anche prenderlo di sorpresa. E questo ne riduceva considerevolmente l’utilità con gli uomini; erano davvero pochi quelli che non si insospettivano quando si trovavano nei pressi di un’Aes Sedai.
A parte la sfiducia, purtroppo gli uomini erano in generale dei pessimi soggetti per quella tessitura. Verin non era ancora riuscita a capire perché.
La maggior parte delle trame ideate da quelle ragazze era mirata a un padre o a un altro uomo. Qualsiasi individuo dalla forte personalità poteva chiedersi i motivi delle proprie azioni — o anche dimenticarsi di eseguirle, cosa che portava a un’altra serie di problemi — ma gli uomini tendevano a farlo con frequenza maggiore. Assai maggiore. Forse c’entrava comunque la questione del sospetto. Diamine, una volta un uomo era addirittura riuscito a ricordarsi dei flussi intessuti su di lui, oltre alle istruzioni ricevute. Un vero e proprio fastidio. E un rischio che Verin non aveva più intenzione di correre.