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«Procedete pure» disse Faith. «Non preoccupatevi di lui. Non gli ho ancora insegnato quand’è il momento di parlare e quando invece di stare zitto».

Anche con la mano della madre serrata sulla bocca, lo sguardo del bambino puntava diritto su di lui. E quando Thrower si voltò di nuovo dall’altra parte, scoprì che anche gli adulti lo stavano guardando con l’aria di chi si aspetta qualcosa. La domanda del bambino era una sfida alla quale doveva rispondere, o sarebbe stato bollato come un ipocrita o uno sciocco di fronte a quella stessa gente ch’era venuto a convertire.

«Certo, se pensate che la mia benedizione possa realmente mutare la natura della trave» disse, «la si potrebbe considerare una sorta di stregoneria. Ma la verità è che la trave di per sé è soltanto un’occasione. In realtà quella che io sto benedicendo è la congregazione dei cristiani che si raccoglierà sotto questo tetto. E in questo non vi è nulla di magico. Sono la potenza e l’amore di Dio che stiamo invocando, non una cura per le verruche o un incantesimo contro il malocchio».

«Che peccato» mormorò uno degli uomini. «Una cura per le verruche mi avrebbe proprio fatto comodo».

Tutti risero, ma il pericolo era scongiurato. Quando le funi si fossero tese, tirar su quella trave sarebbe stato un atto cristiano e non pagano.

Thrower eseguì la benedizione, stando bene attento a modificare la formula abituale in modo da non conferire alla trave alcuna proprietà fuori del comune. Poi gli uomini fecero forza sulle funi, e Thrower intonò a pieni polmoni con la sua magnifica voce di baritono l’inno «O Signore che sul mare in burrasca», per dare ritmo e ispirazione ai loro sforzi.

Nel frattempo, tuttavia, era acutamente consapevole della presenza del piccolo Alvin Junior. Non era soltanto a causa dell’imbarazzante sfida lanciatagli dal piccolo qualche istante prima. Quel bambino era ingenuo come la maggior parte dei suoi coetanei, e Thrower non aveva motivo per credere che l’avesse fatto con malizia. Ciò che attirava la sua attenzione era qualcosa di completamente diverso. Ma non era niente ch’egli potesse attribuire al bambino stesso; era piuttosto qualcosa nelle persone che lo circondavano. Pareva che lo tenessero d’occhio in continuazione. Non che lo guardassero: sempre in movimento com’era, uno avrebbe dovuto dedicargli tutto il suo tempo. No, era piuttosto come se fossero sempre consapevoli della sua presenza, un po’ come il cuoco del collegio era sempre consapevole della presenza del cane in cucina e, anche se non gli rivolgeva mai la parola, gli passava sopra e accanto senza interrompere il proprio lavoro per un solo istante.

Non erano solo i suoi familiari a riservargli quel genere d’attenzione. Si comportavano tutti nello stesso modo: tedeschi, scandinavi, inglesi, nuovi venuti o veterani che fossero. Quasi che tirar su quel bambino fosse un compito che riguardava l’intera comunità, come la costruzione di una chiesa o d’un ponte.

«Piano, piano, piano!» urlò Wastenot, appollaiato in alto accanto al montante, da dove poteva guidare la pesante trave al suo posto. Essa infatti doveva appoggiarsi proprio alla sommità del montante, in modo che i travicelli potessero poi essere sistemati a intervalli regolari per garantire al tetto la massima solidità.

«È troppo dalla tua parte!» urlò Measure, in piedi sull’impalcatura sopra la trave trasversale sulla quale poggiava il corto montante che avrebbe sostenuto le due travi di colmo dove queste si sarebbero incontrate al centro della struttura. Quello era il punto critico del tetto, e il più difficile da montare con precisione; le estremità di due pesanti travi dovevano infatti essere collocate sulla sommità di un montante non più largo di due palmi. Ecco perché Measure si trovava lassù: nel crescere infatti non era venuto meno al suo nome, un tipo misurato e preciso e con un gran colpo d’occhio.

«Bene così!» urlò Measure. «Ancora!»

«Adesso dalla mia parte!» urlò Wastenot.

«Fermi così!» urlò Measure.

«Ci siamo!» urlò Wastenot.

Poi si udì un: «Ci siamo!» anche da Measure, e gli uomini a terra rilassarono la tensione sulle funi. E mentre le corde si allentavano lanciarono un urrà, perché la trave di colmo adesso percorreva metà della lunghezza della chiesa. Non era certo una cattedrale, ma era pur sempre una bella impresa per quelle regioni di frontiera, la struttura più imponente che nessuno avesse mai osato immaginare nel raggio di cento miglia. Il semplice fatto di averla innalzata equivaleva a una dichiarazione che i coloni erano intenzionati a rimanere. Né francesi, né spagnoli, né realisti, né yankee, nemmeno i selvaggi Rossi con le loro frecce incendiarie, nessuno sarebbe mai riuscito a scacciarli di lì.

Perciò naturalmente il reverendo Thrower si affrettò a farvi ingresso, imitato da tutti gli altri, per vedere il cielo attraversato per la prima volta da una trave di colmo lunga non meno di quaranta piedi… e per adesso era solo la metà di quella che doveva diventare. La mia chiesa, pensò Thrower, ed è già più bella della maggior parte di quelle che ho visto nella stessa Filadelfia.

In alto, sulla fragile impalcatura, Measure stava conficcando a colpi di mazzuolo un cavicchio di legno che, passando nella scanalatura praticata in testa alla trave, andava a inserirsi nel foro del montante. Wastenot, naturalmente, stava facendo lo stesso dall’altra parte. I cavicchi avrebbero tenuto la trave in posizione fino alla messa in opera dei travicelli. A quel punto la trave di colmo sarebbe stata così robusta che si sarebbe quasi potuta eliminare la trave orizzontale, se questa non fosse stata necessaria per il candelabro che di notte avrebbe illuminato la chiesa. Di notte, in modo che le vetrate colorate potessero splendere nell’oscurità. Ecco la grandiosità dell’edificio che il reverendo Thrower aveva in mente. Affinché vedendolo le menti semplici di quella gente si colmassero di timore reverenziale e riflettessero sulla maestà di Dio.

Di questo genere erano i suoi pensieri, quando Measure gettò un grido e tutti quanti videro, al colmo dell’orrore, che sotto i colpi del mazzuolo il montante centrale si era improvvisamente schiantato, facendo rimbalzare in aria di cinque o sei piedi l’enorme, pesantissima trave. Il colpo strappò l’altra estremità della trave alla presa di Wastenot, fracassando l’impalcatura quasi fosse fatta di fuscelli. Per un istante la trave di colmo parve librarsi in aria, perfettamente orizzontale, quindi piombò giù come se il piede stesso del Signore le avesse dato un violento pestone.

E senza bisogno di guardare il reverendo Thrower seppe che proprio lì sotto ci sarebbe stato qualcuno, che si sarebbe trovato precisamente al centro della trave al momento in cui questa sarebbe piombata sul pavimento. Lo seppe perché era consapevole del bambino, di come si fosse messo a correre esattamente nella direzione sbagliata, di come il suo stesso grido: «Alvin!» l’avesse fatto arrestare esattamente nel posto sbagliato.

E quando guardò, era esattamente come s’era aspettato: il piccolo Al che ritto in piedi, la testa gettata all’indietro, fissava l’albero scortecciato che l’avrebbe spiaccicato sul pavimento della chiesa. Nient’altro sarebbe stato danneggiato, poiché la trave era orizzontale e l’impatto si sarebbe distribuito sull’intero pavimento. Il bambino era troppo piccolo anche solo per rallentarne la caduta. La trave l’avrebbe letteralmente frantumato, e il suo sangue sarebbe sprizzato sul legno bianco del pavimento della chiesa. Una macchia che non riuscirò mai a lavare, pensò Thrower… un pensiero demente, ma uno non poteva certo controllare i propri pensieri nell’istante in cui si trovava di fronte alla morte.

Thrower vide l’impatto come un lampo di luce accecante. Udì lo schianto del legno sul legno. Udì le urla. Poi la vista gli si schiarì, e vide la trave sul pavimento, un’estremità esattamente dove avrebbe dovuto essere, l’altra pure, ma nel mezzo la trave si era spaccata in due, e tra le due parti era ritto in piedi il piccolo Alvin, la faccia bianca dal terrore.