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«Sono sicuro che abbia una certa consapevolezza dei suoi poteri. Con la macina, sapeva bene quel che poteva fare».

«In tutta sincerità, non ho mai sentito parlare di un dono come il suo. Ho raccontato a Faith che cos’aveva fatto con quella macina, rifinendone la parte posteriore senza usare neanche un attrezzo, e lei ha cominciato a leggere il Libro di Daniele e a blaterare qualcosa riguardo al compimento della profezia. Voleva correre qui e fargli una predica sul pericolo dei piedi d’argilla. Non è incredibile? La religione la fa andare fuori di testa. Non ho conosciuto una donna che non fosse fuori di testa per via della religione».

La porta si aprì.

«Fuori di qui! Sei sordo? Te l’ho già detto venti volte, Cally! Dov’è sua madre, perché non riesce a tener lontano un ragazzino di sette anni da…».

«Non maltrattatelo, Miller. E poi, se n’è già andato».

«Non capisco che cosa gli abbia preso. Da quando Al Junior è in queste condizioni, vedo la faccia di Cally spuntare da tutte le parti. Come un becchino in attesa di guadagnarsi la giornata».

«Forse per lui è una novità. Che Al Junior si sia fatto male, voglio dire».

«Dopo tutte le volte che Alvin è scampato alla morte per un pelo…».

«Ma senza mai farsi nulla».

Un lungo silenzio.

«Scambiastorie?»

«Sì, signor Miller?»

«Da quando siete qui vi siete dimostrato un buon amico, anche se a volte avremmo potuto darvi motivo di comportarvi diversamente. Ma immagino siate ancora uno a cui piace camminare».

«Certo, signor Miller».

«Quello che vorrei dirvi è… non per farvi fretta, ma se per caso aveste in mente di partire prima che sia trascorso molto tempo, e se il vostro cammino vi portasse per caso verso est, pensate di poter recapitare una lettera per me?»

«Ne sarei felice. E non chiederei un soldo, né al mittente né al destinatario».

«Questo è molto gentile da parte vostra. Ho pensato a quello che mi avete detto. A proposito di un ragazzo che sarebbe meglio allontanare da certi pericoli. E allora mi sono chiesto se al mondo esisteva qualcuno di cui potessi fidarmi fino a questo punto. Nella Nuova Inghilterra non abbiamo parenti degni di questo nome… non vorrei certo che il ragazzo ricevesse un’educazione puritana, così da ritrovarsi ogni due secondi sul ciglio dell’inferno».

«Sono contento di sentirvelo dire, signor Miller, perché nemmeno io nutro un particolare desiderio di rivedere la Nuova Inghilterra».

«Se si ripercorre all’indietro la strada che abbiamo fatto per venire all’ovest, prima o poi si arriva a un ponte sul fiume Hatrack, a una trentina di miglia a nord dell’Etto, non molto lontano da Fort Dekane. Lì sorge una locanda, o almeno sorgeva, e dietro la locanda c’è un cimitero con una lapide che dice: ‘Vigor, morto per salvare il suo stesso sangue’».

«Volete che porti il ragazzo laggiù?»

«No, no, finché c’è tutta questa neve non lo manderei di certo. L’acqua…».

«Capisco».

«C’è un fabbro, laggiù, e può darsi che abbia bisogno d’un apprendista. Alvin ha solo dieci anni ma è robusto per la sua età, e penso che per il fabbro sarebbe un ottimo affare».

«Prenderlo come apprendista?»

«Be’, non sarà certamente il caso che glielo conceda in servitù, non vi pare? E non ho il denaro necessario per mandarlo a scuola».

«Porterò la vostra lettera. Ma spero che mi permettiate di restare finché il ragazzo si sveglierà, in modo da poterlo salutare».

«Non avevo certo intenzione di mandarvi via stasera! E neanche domani, se è per questo, visto che là fuori la neve arriva ormai al ginocchio».

«Non sapevo che aveste fatto caso al tempo».

«Quando si tratta di acqua, me ne accorgo sempre». Miller rise amaramente, e insieme uscirono dalla stanza.

Disteso nel letto, Alvin Junior si chiese come mai papà volesse mandarlo via. Non si era sempre comportato bene, dando il meglio di sé? Non aveva cercato di aiutarli in tutti i modi? Non andava forse a scuola dal reverendo Thrower, anche se questi sembrava deciso a farlo diventare pazzo o idiota? E soprattutto, non era riuscito a estrarre dalla montagna una perfetta macina da mulino, tenendola insieme per tutto il tempo necessario, spiegandole dove andare e rischiando una gamba solo perché non si spaccasse? E adesso volevano mandarlo via.

Apprendista! Da un fabbro! Ma se non ne aveva mai visto uno! Per arrivare dal fabbro più vicino ci volevano tre giorni di cavallo, e papà non gli aveva mai permesso di accompagnarlo. In vita sua non si era mai allontanato più di dieci miglia da casa.

A dire il vero, più ci pensava più la cosa lo faceva infuriare. Quante volte aveva implorato papà e mamma che lo lasciassero andare nella foresta da solo, e loro non gliel’avevano permesso! Doveva sempre essere accompagnato, quasi fosse stato uno schiavo o un prigioniero al quale bisognava impedire di scappare. Se tardava cinque minuti ad arrivare in qualsiasi posto, immediatamente qualcuno veniva a cercarlo. Di viaggi lunghi non ne aveva mai fatti; il più lungo era stato fino alla cava, le poche volte che c’erano andati. E adesso, dopo averlo tenuto rinchiuso come un’oca all’ingrasso per tutta la vita, avevano deciso di spedirlo chissà dove in capo al mondo.

Era una tale ingiustizia che gli venne da piangere, e le lacrime gli corsero giù per le guance fino a gocciolargli dentro le orecchie, e questo gli sembrò così stupido che si mise a ridere.

«Perché ridi?» chiese Cally.

Alvin non lo aveva udito entrare.

«Stai meglio adesso? Non sanguina più, sai, Al».

Cally gli toccò la guancia.

«Piangi perché ti fa tanto male?»

Probabilmente Alvin avrebbe potuto rispondergli, ma aprire la bocca e spingerne fuori le parole gli sembrava troppo faticoso, così si limitò a scuotere la testa, lentamente e con gentilezza.

«Morirai, Alvin?» chiese Cally.

Alvin scosse di nuovo la testa.

«Oh» disse Cally.

Parve così deluso che Alvin un po’ si arrabbiò. Si arrabbiò abbastanza da decidersi a mettere le labbra in movimento.

«Mi dispiace» gracidò.

«Ecco, non è giusto» disse Cally. «Io non volevo che tu morissi, ma tutti dicevano che saresti morto sicuramente. E allora mi sono messo a pensare come sarebbe stato se fossi stato io quello di cui tutti si preoccupavano. Tutti ti tengono d’occhio in continuazione, e se io dico qualcosa non fanno che dire: togliti dai piedi, Cally. Sta’ zitto, Cally. Nessuno ti ha chiesto niente, Cally. Non dovresti essere a letto, Cally? A loro non importa niente di quello che faccio. A parte quando cerco di picchiare te, e allora tutti quanti dicono: tieni le mani a posto, Cally».

«Per un topo campagnolo, a fare la lotta te la cavi mica male». Per lo meno, questo era ciò che Alvin avrebbe voluto dire; ma gli fu impossibile stabilire se le sue labbra si fossero mosse.

«Lo sai cos’ho fatto una volta, quando avevo sei anni? Sono uscito e sono andato a perdermi nel bosco. Ho camminato per un sacco di tempo. Qualche volta chiudevo gli occhi e giravo su me stesso per essere sicuro di non sapere dov’ero. Devo essermi perso per almeno mezza giornata. Forse che qualcuno è venuto a cercarmi? Nemmeno un’anima. Alla fine ho dovuto trovare da solo la strada di casa. Nessuno che mi abbia detto: dove sei stato tutto il giorno, Cally? La mamma ha detto soltanto: hai le mani sporche come il sottocoda di un cavallo, fila subito a lavartele».

Alvin rise di nuovo, quasi senza voce, col petto che gli sussultava.

«A te sembrerà buffo. Sei tu quello che vengono sempre a cercare».

Stavolta Alvin si sforzò di emettere un suono. «Vuoi che me ne vada?»

Per rispondere, Cally ci mise parecchio tempo. «No. Chi giocherebbe con me, allora? Solo quegli scemi dei cugini. Di tutti, non ce n’è uno che sappia fare alla lotta in maniera decente».