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«Allora anche di questo libro non sarà rimasto granché».

Ad Alvin spuntarono le lacrime agli occhi. «E se muoio?»

Scambiastorie avvertì un brivido di paura. «Come va la gamba?»

Il ragazzo alzò le spalle. Battendo le palpebre, ricacciò indietro le lacrime. Un istante dopo erano scomparse.

«Non è una risposta, ragazzo».

«Continua a farmi male».

«Continuerà finché l’osso non si sarà saldato».

Alvin Junior sorrise debolmente. «L’osso è completamente saldato».

«E allora perché non cammini?»

«Mi fa male, Scambiastorie. E non smette. C’è qualcosa che non va nell’osso, e non ho ancora capito come rimediare».

«Troverai un modo».

«Ancora non l’ho trovato».

«Un vecchio cacciatore di pellicce una volta mi disse: ‘Per scuoiare una pantera non importa se si parte dalla testa o dalla coda, purché alla fine si arrivi allo scopo’».

«Sarebbe un proverbio?»

«All’incirca. Prima o poi un modo lo troverai, anche se non è quello che ti aspetti».

«Niente è come me lo aspetto» disse Alvin. «Niente va a finire come mi ero immaginato».

«Hai solo dieci anni, ragazzo. Sei già stanco del mondo?»

Alvin continuò a tormentare la coperta tra il pollice e l’indice. «Sto morendo, Scambiastorie».

Scambiastorie studiò il suo viso, cercando di cogliervi i segni della morte. Non ci riuscì. «Non credo».

«Quel punto malato nella gamba. Sta crescendo. Lentamente forse, ma sta crescendo. È invisibile, e intanto pian piano rosicchia la parte dura dell’osso, e dopo un po’ andrà sempre più in fretta e…».

«Il Distruttore avrà partita vinta».

Stavolta Alvin si mise a piangere sul serio, le mani tremanti. «Ho paura di morire, Scambiastorie, ma questa cosa mi è entrata dentro e non riesco a mandarla via».

Scambiastorie gli posò una mano sulla sua, per arrestare il tremito. «Troverai un modo. Hai troppo da fare su questa terra per morire adesso».

Alvin roteò gli occhi. «Questa è la più grossa stupidaggine che abbia sentito da un anno a questa parte. Solo perché uno ha delle cose da fare, questo non vuol dire che non morirà».

«Ma vuol dire che non morirà volentieri».

«Certo che non morirei volentieri».

«Ecco perché troverai un modo per vivere».

Alvin restò in silenzio per qualche secondo. «Ci ho pensato. A quello che farò se non morirò. Come quello che ho fatto per far stare meglio la mia gamba. Scommetto che posso farlo anche per gli altri. Posso toccarli e sentire cosa gli succede dentro e aggiustare quello che non va. Non sarebbe bello?»

«Tutti quelli che guariresti te ne sarebbero eternamente grati».

«Penso che la prima volta sia stata la più difficile, e quando l’ho fatto non ero particolarmente forte. Scommetto che agli altri potrei farlo molto più in fretta».

«Può darsi. Ma anche se guarisci cento malati al giorno, e poi vai da un’altra parte e ne guarisci altri cento, ci saranno sempre diecimila persone che moriranno alle tue spalle, e altre diecimila davanti a te, e quando tu stesso morirai, saranno morti anche quasi tutti quelli che avrai guarito».

Alvin girò il viso dall’altra parte. «Se so come guarirli, bisogna che li guarisca, Scambiastorie».

«Quelli che potrai guarire, farai bene a guarirli» disse Scambiastorie. «Ma non nel senso di farne la missione della tua vita, Alvin. Mattoni nel muro, Alvin, ecco che cosa sarebbero. Nient’altro. Non riusciresti mai a tenerti al passo nel riparare i mattoni che si sgretolano. Guarisci pure chi ti capita sotto le mani, ma la missione della tua vita è un’altra, ben più importante».

«Io so come guarire le persone. Ma non so come sconfiggere il Dis… il Distruttore. Non so nemmeno chi sia».

«Ma finché sei l’unico che riesce a vederlo, sei anche l’unico che abbia qualche speranza di sconfiggerlo».

«Può darsi».

Un altro lungo silenzio. Scambiastorie capì che era il momento di andarsene.

«Aspettate».

«Adesso debbo andare».

Alvin gli afferrò la manica. «Non ancora».

«Presto».

«Almeno… almeno lasciatemi leggere quello che gli altri hanno scritto».

Scambiastorie mise la mano nella bisaccia e ne tirò fuori l’astuccio impermeabile che conteneva illibro. «Non posso prometterti di spiegartene il significato».

Alvin fu lesto a trovare le ultime frasi, che non avevano ancora iniziato a scolorirsi.

Nella calligrafia di sua madre: «Vigor spinge un tronco e non muore finché non nasce il bambino».

Nella calligrafia di David: «Una macina da mulino si divide in due e poi torna intera, nemmeno una crepa».

Nella calligrafia di Cally: «Settimo figlio».

Alvin alzò lo sguardo. «Non si riferisce a me, sapete».

«Lo so» disse Scambiastorie.

Alvin tornò a leggere. Nella calligrafia di suo padre: «Non uccide un ragazzo perché uno straniero arriva in tempo».

«Di che cosa sta parlando?» chiese Alvin.

Scambiastorie gli prese il libro dalle mani e lo richiuse. «Trova il modo di guarire quella gamba» disse. «Non sei l’unico ad aver bisogno che torni forte. Non è per te, ricordi?»

Si chinò a baciare il ragazzo sulla fronte. Alvin alzò le braccia e lo strinse così forte che Scambiastorie non avrebbe potuto drizzarsi senza tirarlo di peso fuori dal letto. Dopo un po’, il vecchio dovette prendergli le braccia e allontanarle da sé. Aveva la guancia bagnata delle lacrime di Alvin, ma non se ne curò. Lasciò che ad asciugarla fosse il vento, mentre arrancava sul sentiero gelido e asciutto, coi campi di neve mezza sciolta che si estendevano a destra e a sinistra.

Si fermò un momento sul secondo ponte coperto. Giusto il tempo necessario a chiedersi se sarebbe più tornato in quel luogo, e se li avrebbe più rivisti. O se Alvin Junior avrebbe mai scritto la sua frase sul libro. Se fosse stato un profeta l’avrebbe saputo. Ma non ne aveva la più pallida idea.

Così riprese il cammino, dirigendo i suoi passi verso oriente.

XIII

L’ OPERAZIONE

Il Messo era comodamente seduto sull’altare, appoggiato con disinvoltura al braccio sinistro in modo che il busto restasse leggermente inclinato. Una posa così disinvolta il reverendo Thrower l’aveva vista assumere una volta a un elegantone di Camelot, un dissoluto libertino che evidentemente disprezzava tutto ciò che le chiese puritane di Scozia e d’Inghilterra stavano a significare. Nel vedere il Messo in un atteggiamento così irriverente, Thrower si sentì non poco a disagio.

«E perché?» chiese il Messo. «Solo perché l’unico modo in cui tu riesci a mantenere il controllo delle tue passioni carnali consiste nel sedere col busto eretto, le ginocchia unite, le mani delicatamente appoggiate in grembo, le dita strettamente intrecciate, non significa affatto che io sia tenuto a fare lo stesso».

Thrower era imbarazzato. «Non è giusto rimproverarmi per i miei pensieri».

«Certo che lo è, quando i tuoi pensieri mi rimproverano per le mie azioni. Guardati dall’hybris, amico mio, guardati dal vano orgoglio. Chi mai può ritenersi tanto virtuoso da poter giudicare le azioni degli angeli?»

Era la prima volta che il Messo si riferiva a se stesso come a un angelo.

«Non mi sono riferito a me stesso come a un bel niente» disse il Messo. «Devi imparare a controllare i tuoi pensieri, Thrower. Salti troppo facilmente alle conclusioni».

«Perché sei qui?»

«È qualcosa che riguarda colui che ha fabbricato questo altare» disse il Messo. E diede un colpetto a una delle croci che Alvin Junior aveva inciso a fuoco nel legno.

«Ho fatto del mio meglio, ma a quel ragazzo non si può insegnare niente. Dubita di tutto e contesta ogni affermazione teologica come se potesse essere sottoposta al vaglio di quei principi di coerenza e non contraddittorietà che prevalgono nel mondo della scienza».