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La piccola Peggy scosse la testa. «Avrei dovuto mandarli prima, nonno, ma’ mi ero addormentata».

«E te ne fai una colpa?»

«Avrei dovuto lasciare che Maria la Sanguinaria mi beccasse, e allora papà non si sarebbe arrabbiato, e non me ne sarei andata nel deposito sulla sorgente, e non mi sarei addormentata, e avrei potuto mandargli qualcuno prima…».

«Tutti quanti potremmo attaccare le colpe una in fila all’altra come margherite, Maggie. Ma non ha senso».

Lei però sapeva che un senso ce l’aveva, eccome. Non puoi dare a un cieco la colpa di non averti avvertito se stavi per pestare un serpente… ma a uno che ci vede e non ti dice niente, sicuramente sì. E lei sapeva quale fosse il suo dovere sin dalla prima volta che si era resa conto che gli altri non potevano vedere tutto quello che lei vedeva. Dio le aveva donato occhi speciali, e quando gli altri erano in pericolo lei doveva avvertirli, o il diavolo si sarebbe preso la sua anima. Il diavolo, o i neri abissi del mare.

«Non ha nessun senso» mormorò il nonno. Poi, come se qualcuno gli avesse sferrato un colpo d’ariete nel didietro, si drizzò all’improvviso esclamando: «Il deposito sulla sorgente! Ma certo, il deposito sulla sorgente!». Se la tirò vicina. «Ascoltami bene, piccola Peggy. Non è stata colpa tua, ed è la pura verità. La stessa acqua che scorre nello Hatrack scorre anche nel ruscello che attraversa il deposito. È sempre la stessa acqua, in tutto il mondo. La stessa acqua che li voleva morti sapeva che avresti dato l’allarme e avresti mandato qualcuno ad aiutarli. Così ti ha cantato la ninnananna finché non ti sei addormentata».

La cosa le parve sensata, eccome. «E com’è possibile, nonno?»

«Oh, è nella sua natura, tutto qui. L’intero universo è composto di quattro tipi soltanto di sostanze, piccola Peggy, e ciascuna di queste sostanze vuole fare a modo suo». Peggy pensò ai quattro colori che distingueva quando vedeva ardere le fiamme vitali, e capì subito che cosa il nonno intendesse. «Il fuoco rende le cose calde e luminose, e le consuma. L’aria le rende fresche, e s’insinua dappertutto. La terra le rende solide e compatte, in modo che durino. Ma l’acqua distrugge tutto, cade dal cielo e trascina via tutto quello che può, e se lo porta fino al mare. Se l’acqua potesse fare a modo suo, il mondo intero ora sarebbe liscio, un unico immenso oceano in cui niente sarebbe fuori della sua portata. Tutto sarebbe morto e liscio. Ecco perché ti ha fatto dormire. L’acqua voleva portarsi via quegli stranieri, voleva portarseli via e ucciderli. È un miracolo che tu ti sia svegliata».

«È stato il martello del fabbro a svegliarmi» disse la piccola Peggy.

«Allora è proprio come ti ho detto io, capisci? Il fabbro stava lavorando il ferro, la più dura delle terre, col violento getto d’aria del mantice e con un fuoco così rovente da bruciare l’erba fuori del camino. Non potendo toccarlo, l’acqua non è riuscita a fermarlo».

La piccola Peggy trovava difficile crederlo, ma non c’erano altre spiegazioni possibili. Era stato il fabbro a destarla da quel sonno acquatico. Il fabbro l’aveva aiutata. Be’, c’era proprio da farci su una bella risata, sapendo che stavolta il fabbro era stato suo amico.

Dalla veranda al piano di sotto si udirono delle grida, e un rumore di porte che si aprivano e si chiudevano. «Qualcuno è già qui» disse il nonno.

La piccola Peggy vide al piano di sotto le fiamme vitali, e subito riconobbe quella in cui erano più forti la paura e il dolore. «È la madre» disse la piccola Peggy. «Sta per partorire».

«Guarda un po’ se non è una fortuna. Perdi un figlio, ed ecco che ne arriva un altro a sostituire la morte con la vita». Con la sua andatura dinoccolata, il nonno uscì dalla stanza per scendere a dare una mano.

La piccola Peggy invece restò dov’era, a guardare la scena in corso sul fiume. Subito si avvide che la fiamma perduta non era affatto perduta. La scorgeva ardere in lontananza, nonostante l’oscurità del fiume cercasse di coprirla. Non era morto, l’acqua l’aveva solo portato via, e forse qualcuno avrebbe potuto aiutarlo. Allora corse fuori, e superando di gran carriera il nonno si precipitò giù per le scale.

Sua madre l’afferrò per un braccio proprio mentre stava per fare irruzione nella sala grande. «Una donna sta per partorire» disse la mamma, «e abbiamo bisogno di te».

«Ma mamma, quello che è stato portato via dal fiume è ancora vivo!»

«Peggy, non abbiamo il tempo di…».

Due ragazzi dai visi identici s’intromisero nella conversazione. «Quello che è stato portato via dal fiume!» esclamò il primo.

«Ancora vivo!» esclamò il secondo.

«Come fai a saperlo?»

«Non è possibile!»

Poiché parlavano tutti e due insieme, per capire quel che dicevano la mamma dovette prima zittirli. «Era Vigor, il nostro fratello maggiore, è stato trascinato via…».

«Ebbene, è ancora vivo» disse la piccola Peggy, «ma il fiume se l’è preso».

I gemelli guardarono sua madre in cerca di conferma. «Possiamo fidarci di lei, comare Guester?»

La mamma annuì, e i ragazzi corsero verso la porta urlando: «È vivo! È ancora vivo!».

«Sei sicura?» chiese ferocemente la mamma. «Se non fosse vero, sarebbe una vera crudeltà risvegliare la speranza nei loro cuori».

Gli occhi lampeggianti della mamma spaventarono la piccola Peggy, che non riuscì a spiccicar parola.

Ma a quel punto alle sue spalle era sopraggiunto il nonno. «Suvvia, Peg» disse, «come faceva a sapere che uno di loro era stato portato via dal fiume, se non l’avesse visto?»

«Lo so, lo so» disse la mamma. «Ma questa donna ha aspettato anche troppo a partorire, e sono in pensiero per il bambino, perciò adesso, piccola Peggy, vieni con me, perché ho bisogno che tu mi dica che cosa vedi».

La mamma condusse la piccola Peggy nella camera da letto accanto alla cucina, quella dove dormivano papà e mamma quando in casa c’erano ospiti. La donna era distesa sul letto e stringeva forte la mano di una ragazza alta dallo sguardo profondo e solenne. La piccola Peggy non conosceva i loro volti, ma ne riconobbe le fiamme vitali, specialmente quella impaurita e sofferente della madre.

«Qualcuno ha gridato» mormorò quest’ultima.

«Non parlate, adesso» disse la mamma.

«Ha detto che era ancora vivo».

La ragazza dallo sguardo solenne aggrottò la fronte nella direzione della mamma di Peggy.

«È vero, comare Guester?»

«Mia figlia è una fiaccola. Ecco perché l’ho portata qui. Perché vedesse il bambino».

«Ha per caso visto il mio ragazzo? È vivo?»

«Credevo che tu non gliel’avessi detto, Eleanor» disse la mamma di Peggy.

La ragazza dallo sguardo solenne scosse la testa.

«L’ho visto dal carro. È vivo?»

«Diglielo, Margaret» disse la mamma.

La piccola Peggy si voltò in direzione del fiume per cercare la fiamma vitale. Quando ricorreva a quel genere di vista, per lei non esistevano più pareti. La fiamma ardeva ancora, sebbene ormai lontanissima. Questa volta, però, la piccola Peggy le si avvicinò alla sua maniera per osservarla meglio.

«È nell’acqua. È impigliato nelle radici».

«Vigor!» esclamò la donna distesa sul letto.

«Il fiume lo vuole. Muori, muori, dice il fiume».

La mamma toccò il braccio della donna. «I gemelli sono andati a dirlo agli altri. Andranno a cercarlo».

«Al buio!» mormorò incredula la donna.

La piccola Peggy riprese a parlare. «Penso che stia recitando una preghiera. Sta dicendo… settimo figlio».

«Settimo figlio» sussurrò Eleanor.