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«Che cosa significa?» chiese la mamma.

«Se questo bambino è maschio» disse Eleanor, «e nasce mentre Vigor è ancora in vita, allora sarà il settimo figlio d’un settimo figlio, e tutti quanti vivi».

La mamma restò senza fiato per la sorpresa. «Non c’è da stupirsi se il fiume…» disse. Non era necessario che finisse la frase. Prese invece la piccola Peggy per mano e la condusse davanti alla donna distesa. «Guarda il bambino, e dimmi quel che vedi».

Per la piccola Peggy non era la prima volta, si capisce. Era così che le fiaccole in genere si rendevano utili, guardando il bambino non ancora nato al momento del parto. Sì, anche per vedere come era messo, ma soprattutto perché qualche volta la fiaccola riusciva a scorgere chi era quel bambino, che cosa sarebbe diventato, e poteva raccontare storie di un tempo di là da venire. Ancor prima di sfiorare il ventre della donna, la piccola Peggy scorse la fiamma vitale del bambino. Era quella che aveva visto anche prima, quella che ardeva così calda e luminosa che paragonarla a quella della madre era come paragonare il sole alla luna. «È un maschio» disse.

«E allora che io partorisca questo bambino» disse la madre. «Che egli respiri mentre Vigor respira ancora!»

«Com’è messo?» chiese la mamma.

«Come dev’essere» disse la piccola Peggy.

«A testa in avanti? Con la faccia in basso?»

La piccola Peggy annuì.

«E allora perché non esce?» chiese la mamma.

«È lei che gli sta dicendo di non uscire» disse la piccola Peggy, rivolgendo lo sguardo alla donna.

«Nel carro» disse quest’ultima. «Stava per uscire, e allora gli ho fatto una fattura».

«Avreste dovuto dirmelo subito» la rimproverò la mamma. «Mi chiedete di aiutarvi, e neanche mi dite che ha addosso una fattura. Tu, ragazza!»

In piedi contro il muro c’erano diverse ragazzine che la guardavano a occhi sgranati, senza capire a chi di loro volesse riferirsi.

«Una qualsiasi di voi! Ho bisogno di quella chiave di ferro appesa al muro, quella con l’anello».

La più grande staccò in modo maldestro la chiave dal gancio e gliela portò, anello e tutto.

La mamma fece oscillare il grosso anello con la chiave sopra la pancia della donna, salmodiando a bassa voce:

Ecco il cerchio spalancato e la chiave dell’uscita sia ferro la terra, la fiamma sia chiara orsù, cadi dall’acqua nell’aria.

La donna gridò, improvvisamente attraversata da una fitta lancinante. La mamma gettò la chiave, tirò via il lenzuolo, alzò le ginocchia della donna e selvaggiamente ordinò alla piccola Peggy di vedere.

La piccola Peggy toccò il ventre gonfio della donna. La mente del bambino era vuota, salvo per una sensazione di pressione e di freddo incipiente al contatto con l’aria. Ma quel suo stesso vuoto mentale le permetteva di vedere cose che mai più sarebbero state visibili con altrettanta chiarezza. I possibili sentieri della sua esistenza gli si spalancavano dinanzi a miliardi, in attesa che egli facesse le sue prime scelte, che i primi cambiamenti nel mondo intorno a lui eliminassero a ogni istante un milione di futuri. Ogni persona aveva dentro di sé il proprio futuro, fuggevole ombra che la piccola Peggy riusciva a scorgere solo in rare occasioni, e mai chiaramente, sempre celata dietro i pensieri dell’attimo presente; ma adesso, per pochi preziosi momenti, la piccola Peggy riusciva a scorgerlo con estrema chiarezza.

E vide la morte in fondo a ogni sentiero. Annegare, annegare, ogni sentiero del suo futuro portava quel bambino verso una morte nell’acqua.

«Perché lo odi tanto!» esclamò la piccola Peggy.

«Che cosa?» domandò Eleanor.

«Zitta» disse la mamma. «Lasciatela guardare».

«Tiratelo fuori e fatelo respirare!» gridò la piccola Peggy.

A costo di provocare nuovo strazio, la mamma mise dentro una mano, e le sue forti dita agguantarono il bambino per il mento, cominciando a estrarlo.

In quel momento, mentre nella mente del bambino quell’acqua tenebrosa rifluiva, e un istante prima ch’egli cominciasse a respirare, la piccola Peggy vide sparire dieci milioni di morti causate dall’acqua. Adesso, per la prima volta, gli si erano schiusi alcuni sentieri che lo conducevano verso un futuro abbagliante. E tutti i sentieri che non si concludevano con una morte prematura avevano qualcosa in comune. In tutti quei sentieri la piccola Peggy scorse se stessa compiere una semplice azione.

La piccola Peggy non esitò. Tolse le mani dal ventre che si andava sgonfiando, e s’insinuò sotto il braccio della donna. La testa del bambino era appena comparsa, coperta da una sorta di cappuccio insanguinato, parte del sacco di morbida pelle nel quale aveva fluttuato nel ventre di sua madre. La bocca spalancata succhiava il sacco in dentro, ma il sacco non si rompeva, e il bambino non riusciva a prendere fiato.

Allora la piccola Peggy fece ciò che si era vista fare nel futuro del bambino. Allungò la mano, prese il cappuccio da sotto il mento del bambino e glielo staccò dal viso. Venne via tutto intero, in un unico pezzo bagnato, e nello stesso istante in cui veniva via e la bocca del bambino fu libera, lui inspirò profondamente e poi lanciò quel grido miagolante che all’udito della partoriente suona come il canto stesso della vita.

La piccola Peggy piegò il cappuccio, la mente ancora presa dalle visioni che aveva scorto lungo i sentieri della vita del bambino. Non sapeva ancora che cosa quelle visioni potessero significare, ma nella sua mente le immagini erano così vivide e precise che seppe che non le avrebbe mai dimenticate. Ne ebbe paura, perché tante cose sarebbero dipese proprio da lei, e da come avrebbe usato il cappuccio ancora caldo che ora stringeva tra le mani.

«Un maschio» disse la mamma.

«È…» mormorò la madre. «È il settimo figlio?»

Occupata a legare il cordone ombelicale, la mamma non aveva il tempo materiale di voltarsi verso la piccola Peggy. «Guarda» sussurrò.

La piccola Peggy andò in cerca di quell’unica fiammella sul fiume lontano. «Sì» disse, perché la fiamma vitale bruciava ancora.

Ma proprio mentre la guardava, la fiamma vacillò e si spense.

«Adesso se n’è andato» disse la piccola Peggy.

La donna sul letto pianse amaramente. Il corpo provato dal parto era scosso dai singhiozzi.

«Affliggersi in occasione della nascita di un figlio» disse la mamma. «Che cosa tremenda».

«Zitta» sussurrò Eleanor rivolta a sua madre. «Mostrati gioiosa, o il bambino ne sarà rabbuiato per tutta la vita!»

«Vigor» mormorò la donna.

«Piuttosto che le lacrime, meglio niente» disse la mamma. Sollevò il bambino che piangeva a perdifiato, ed Eleanor lo prese con mani competenti; evidentemente non era il primo bambino che cullava. La mamma andò al tavolo d’angolo e ne prese una sciarpa di lana tinta prima della tessitura d’un nero uniforme e profondo come la notte. La fece scivolare lentamente sul volto della donna in lacrime dicendo: «Dormi, madre, dormi».

Quando la sciarpa le fu tolta dal viso, il pianto era cessato e la donna dormiva, svuotata di ogni energia.

«Porta il bambino fuori dalla stanza» disse la mamma.

«Non dovrebbe cominciare a poppare?» chiese Eleanor.

«È meglio che lei questo bambino non lo allatti proprio» disse la mamma. «A meno che insieme al latte non vogliate fargli succhiare anche l’odio di sua madre».

«Non può odiarlo» disse Eleanor. «Non è stata colpa sua».

«Penso che il latte questo non lo sappia» disse la mamma. «Non è vero, piccola Peggy? A quale poppa si attaccherà il bambino?»

«A quella di sua madre» disse la piccola Peggy.

La mamma le rivolse uno sguardo penetrante. «Ne sei sicura?»

La bambina annuì.

«Bene, allora le porteremo il bambino quando si sveglierà. Per questa notte non avrebbe comunque bisogno di latte».