«Non è la nostra storia.»
Valentine lanciò al cugino un'occhiata sdegnosa. «Forse tu la pensi così. Ma è la storia di Majipoor, e dunque è anche la nostra.»
Mirigant alzò le spalle senza ribattere.
Aveva senso quello che aveva appena detto, si domandò Valentine? O era il calore che cominciava a offuscargli la mente?
Meditò sulla questione. Gli si formò nella mente, con forza quasi pari a quella di un'esplosione, una visione della totalità del vasto pianeta di Majipoor. I suoi sconfinati continenti e travolgenti fiumi, gli immensi oceani, le giungle umide e i grandi deserti, le foreste di alberi torreggianti e le montagne, densamente popolate di strane e meravigliose creature, la moltitudine di città, le loro popolazioni di milioni di abitanti. Si sentì inondare l'anima di un sovraccarico di sensazioni, del profumo di mille specie di fiori, dell'aroma di mille spezie, del sapore gustoso di mille carni succulente, del bouquet di mille vini. Era un mondo di infinita ricchezza e varietà, la sua Majipoor.
E per uno strano caso di discendenza, a seguito della sventura del fratello, si era trovato a vestire prima i panni del Coronal, e ora quelli del Pontifex, la massima autorità di quel vastissimo mondo. Venti miliardi di persone riconoscevano in lui il loro imperatore. Il suo profilo adornava le monete; il mondo risuonava degli elogi che gli venivano fatti; il suo nome sarebbe stato iscritto per sempre nel rostro dei monarchi nella Casa del Registro, era divenuto una parte imperitura della storia del suo mondo.
Ma un tempo in quel mondo non vi erano stati né Pontifex, né Coronal. Città meravigliose come Ni-Moya e Alaisor e i cinquanta grandi centri urbani del Monte Castello non erano esistite. E in quel tempo, precedente all'inizio dell'insediamento degli umani su Majipoor, la città di Velalisier era già una realtà.
Che diritto aveva di appropriarsi della storia di quella città, morta e desolata già da migliaia di anni quando i primi coloni erano giunti dallo spazio, facendola confluire nella storia scritta dagli umani su quel pianeta? La soluzione di continuità tra la loro Majipoor e la nostra Majipoor, pensò, è in realtà così grande che forse non potrà mai essere colmata.
In ogni caso non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che la grande legione di fantasmi che popolava quel luogo, alla quale neppure credeva, si celasse tutto attorno, la propria furia ancora inappagata. Toccava a lui fronteggiare e gestire in qualche modo quella furia, che finalmente era venuta a galla, o così sembrava, in forma di un terribile delitto costato la vita a un uomo anziano, amante della cultura e inoffensivo. Il senso logico che pervadeva ogni aspetto dell'animo di Valentine si rifiutava di comprendere un simile gesto. Eppure sapeva che il suo stesso destino, e forse anche quello del mondo, sarebbe potuto dipendere dalla soluzione del mistero che aveva per teatro quel luogo.
«Mi perdoni, maestà», disse Tunigorn, interrompendo le riflessioni di Valentine proprio mentre davanti a loro si apriva un nuovo labirinto di viuzze in rovina, «ma credo che se dovrò muovere ancora un passo in questo caldo, cadrò a terra delirando come un pazzo. Mi sento squagliare il cervello.»
«Allora ti consiglio di cercare rifugio alla svelta e rinfrescarlo, Tunigorn! Non puoi permetterti di danneggiare la materia grigia che ancora ti rimane, vecchio amico mio.» Valentine alzò un braccio e lo puntò in direzione dell'accampamento. «Torna pure indietro. Vai. Io invece proseguirò.»
Non sapeva perché, ma qualcosa gli imponeva di proseguire il suo mesto attraversamento dell'immensa distesa di rovine ingolfate dalla sabbia e scottate dal sole, come se fosse in cerca di qualcosa di cui però ignorava la natura. Uno alla volta anche gli altri suoi compagni lo abbandonarono, avanzando ciascuno una giustificazione plausibile, finché al suo fianco non rimase che l'instancabile Lisamon Hultin. La gigantessa gli era eternamente fedele. Lo aveva protetto dalle insidie della Foresta Mazadone prima della sua riconquista del trono di Coronal. Era stata la sua guardiana nella pancia del drago di mare che li aveva inghiottiti entrambi nel mare al largo di Piliplok, quella volta in cui erano stati vittima di un naufragio durante la traversata da Zimroel ad Alhanroel, riuscendo poi a liberarlo e a condurlo alla salvezza. E non lo avrebbe certo abbandonato ora. Al contrario, appariva pronta a camminare con lui tutto il giorno e tutta la notte, e anche tutto il giorno successivo, se era questo che lui voleva.
Ma ben presto anche Valentine dovette desistere. Il sole aveva da tempo superato lo zenit. Ombre rosa, viola e di un profondo color ossidiana cominciavano ad allungarsi in pozze dai contorni netti attorno a lui. Avvertiva un lieve capogiro e la vista cominciava a procurargli qualche problema per lo sforzo prolungato di contrastare l'incessante bagliore del sole. Ogni strada fiancheggiata da edifici crollati cominciava a risultargli identica alla precedente. Era ora di rientrare. Quale che fosse la penitenza che aveva sentito di dover pagare sottoponendosi a una camminata tanto faticosa in quel dominio di morte e distruzione, ora doveva certamente essere stata tributata. Più volte si appoggiò al braccio di Lisamon Hultin per cercare sostegno durante il tragitto di ritorno verso le tende dell'accampamento.
Magadone Sambisa aveva radunato i suoi otto archeologi metamorfi. Valentine, dopo essersi concesso un bagno ristoratore, un breve riposo e qualcosa da mangiare, li ricevette nella propria tenda poco dopo il tramonto, accompagnato solo dal piccolo vroon Autifon Deliamber. Voleva farsi una propria opinione dei metamorfi senza essere distratto dall'ingombrante presenza di Nascimonte e degli altri; Deliamber, tuttavia, possedeva certi poteri magici propri dei vroon che Valentine teneva in grande considerazione: forse il piccolo essere dai molti tentacoli avrebbe percepito, con quei suoi enormi e vispi occhi dorati, cose che potevano sfuggire alla vista umana di Valentine.
I mutaforma presero posto disponendosi a semicerchio di fronte a Valentine, alla cui sinistra sedeva il minuscolo e saggio anziano vroon. Il Pontifex scrutò con gli occhi il gruppo, dall'estremità a cui sedeva il direttore degli scavi Kaastisiik fino all'altra, segnata dal paleografo Vo-Siimifon. Loro ricambiarono compostamente il suo sguardo, quasi con indifferenza: otto piurivar dai volti di gomma e gli occhi a mandorla che rimanevano immobili mentre raccontava loro delle cose che aveva visto nel corso della giornata, del cimitero, della piramide in rovina e del santuario sotto di essa, della nicchia dove la testa di Huukaminaan era stata sistemata con tanta cura dal suo carnefice.
«Non direste che l'omicidio presenta alcuni aspetti marcatamente formali, quasi estetici?» domandò Valentine. «Il sezionamento del corpo, il trasferimento della testa al santuario, la deposizione di offerte nella nicchia…» I suoi occhi si fissarono sul volto di Thiuurinen, l'esperta di ceramiche antiche, una metamorfa minuta, flessuosa, dalla bella pelle color giada. «Lei che cosa ne pensa?»
La sua espressione rimase assolutamente impassibile. «Sono una ceramista. Non ho alcuna opinione in merito.»
«Non voglio la sua opinione di ceramista, ma in quanto componente dell'équipe. E collega del dottor Huukaminaan. Crede che la deposizione della testa nella nicchia abbia voluto rappresentare una specie di offerta a qualche divinità?»
«La supposizione che le nicchie fossero destinate ad accogliere offerte alle divinità è solo il risultato di congetture», rispose concisamente Thiuurinen. «Io non ho alcun elemento a disposizione per sostenere o negare questa tesi.»
Né lo avrebbe fatto comunque. Come gli altri, del resto. Nessuno si sarebbe esposto, né Kaastisiik, né Vo-Siimifon, né lo stratigrafo Pamikuuk, né la responsabile della catalogazione dei reperti Hieekraad, lo storico dell'architettura Driismiil, Klelliin, la massima autorità in materia di paleotecnologia piurivar, o Viitaal-Twuu, specialista in metallurgia.