Con gentilezza, sommessamente, con fermezza, irremovibilmente, scartarono tutte le argomentazioni avanzate da Valentine sull'ipotesi che il delitto fosse stato un omicidio rituale. Il macabro smembramento del dottor Huukaminaan era forse un rimando alle pratiche funerarie dell'antica Velalisier? L'aver posizionato la sua testa nella nicchia era forse un atto di propiziazione rivolto a qualche essere soprannaturale? C'erano elementi nella tradizione piurivar che potessero fornire una spiegazione dell'uccisione di una persona con tali modalità? Dissero di non sapere. O non volevano dire quanto sapevano. Si rifiutarono di dargli alcuna informazione anche quando chiese se il loro collega defunto potesse essersi fatto qualche nemico in rapporto agli scavi.
E allorché si domandò ad alta voce se potessero esserci state controversie e accese rivalità legate alla scoperta di qualche reperto particolarmente prezioso, sfociate poi nel brutale assassinio di Huukaminaan, oppure un litigio di natura più astratta, nato da un feroce disaccordo sui ritrovamenti fatti dalla spedizione o gli obiettivi che essa doveva porsi, si limitarono all'equivalente in uso presso i piurivar di una scrollata di spalle. Nessuno tradì alcuna traccia di sdegno di fronte all'implicazione che potesse essere stato uno di loro a uccidere il vecchio Huukaminaan per simili ragioni. Si comportarono come se la stessa nozione di poter compiere un atto del genere trascendesse la loro comprensione, un concetto a loro troppo alieno anche solo per essere preso in considerazione.
Nel corso del colloquio Valentine colse l'occasione di porre almeno una domanda diretta a ciascuno di loro. Ma il risultato fu sempre lo stesso. Negarono qualsiasi aiuto, ma senza mai mostrarsi troppo evasivi. Non rivelavano nulla, ma non sembravano tradire secondi fini o il desiderio di nascondere un segreto. Non c'era nulla di palesemente sospetto nel loro rifiuto di collaborare. Sembravano essere esattamente ciò che dichiaravano: scienziati, accademici appassionati, devoti al compito di svelare i misteri nascosti risalenti ai remoti trascorsi della loro razza, ma che nulla sapevano del mistero che era esploso proprio lì, al centro della loro spedizione. Non aveva la sensazione di trovarsi in mezzo a degli assassini.
Eppure… eppure…
Erano mutaforma. Lui era il Pontifex, l'imperatore della razza che li aveva soggiogati, il successore del quasi leggendario re soldato Lord Stiamot, che ottomila anni prima li aveva privati per sempre della loro indipendenza. Per quanto colti e dai modi gentili potessero essere, gli otto piurivar al suo cospetto non potevano certamente fare a meno di provare rabbia, a qualche livello del proprio animo, nei confronti dei loro dominatori umani. Non avevano alcuna ragione di collaborare con lui. Non si sentivano in alcun dovere di rivelargli la verità. E il suo intuito, ma Valentine si domandò se non fosse piuttosto il suo innato e irreprimibile pregiudizio razziale che veniva in superficie, gli diceva che non poteva fidarsi di quella gente. Poteva davvero dare credito all'impressione di apparente innocenza che comunicavano? Sarebbe mai stato possibile per un essere umano leggere quanto si celava dietro i freddi e impenetrabili connotati di un metamorfo?
«Tu che ne pensi?» domandò a Deliamber dopo aver congedato gli otto mutaforma. «Sono o non sono assassini?»
«Probabilmente no», rispose il vroon. «Non questi. Troppo pacati, troppo urbani. Ma le hanno nascosto qualcosa. Di questo sono certo.»
«Anche tu hai avuto la stessa sensazione?»
«Oltre ogni dubbio. Ho avvertito… maestà, lei conosce il significato della parola vroon hsirthiir?»
«No, non credo.»
«Non è facile da tradurre. Ma ha a che fare con il porre domande a qualcuno che non intende mentire, ma non vuole neppure raccontare necessariamente la verità, a meno che non si sappia esattamente come ottenerla. Si ha la forte percezione che ci sia un'importante strato di significato da qualche parte sotto la superficie di quanto viene detto, ma che non si potrà guadagnare l'accesso a tale significato nascosto a meno che non venga posta con precisione la domanda giusta. In sostanza, occorre essere già al corrente delle informazioni di cui si è alla ricerca prima di poter porre la domanda che ha il potere di schiudere la verità. È una sensazione molto frustrante, lo hsirthiir, quasi dolorosa. È come sbattere contro un muro di pietra. E io mi sono sentito sprofondare in uno stato di hsirthiir pochi minuti fa. Evidentemente è stato così anche per lei, maestà.»
«Evidentemente», rispose Valentine.
C'era ancora una visita da fare. Era stata una lunga giornata e Valentine cominciava ad avvertire una grande spossatezza. Ma sentiva il bisogno di coprire tutti i punti fondamentali della questione in un'unica passata; così, quando ormai era calato il buio, chiese a Magadone Sambisa di condurlo al villaggio dei lavoratori metamorfi.
Lei non accolse l'idea di buon grado. «Solitamente evitiamo di disturbarli quando hanno terminato la loro giornata di lavoro e sono rientrati a casa, maestà.»
«Solitamente qui non avvengono omicidi. Né sono solite le visite di un Pontifex. Preferisco parlare con loro stasera ed evitare di interrompere gli scavi domani, se per lei non è un problema.»
Volle nuovamente Deliamber al suo fianco. Dietro propria insistenza, andò con loro anche Lisamon Hultin. Tunigorn era troppo stanco per seguirli, ancora prostrato dalla lunga camminata di mezzogiorno tra le rovine, e Mirigant aveva qualche linea di febbre, vittima forse di una lieve insolazione; il formidabile vecchio duca Nascimonte, invece, a dispetto dell'età avanzata, si unì prontamente al gruppo e affiancò a cavallo il Pontifex. A completare la spedizione fu Aarisiim, il membro metamorfo del servizio di sicurezza di Valentine, che Valentine portò con sé non tanto per farsi proteggere, compito che Lisamon Hultin avrebbe assolto splendidamente, quanto per preoccupazioni legate alla questione hsirthiir.
Nonostante i suoi trascorsi, agli occhi di Valentine Aarisiim era fidato più di quanto potesse esserlo qualsiasi altro piurivar: aveva messo a repentaglio la propria vita tradendo Faraataa ai tempi della Ribellione, quando decise che il proprio capo aveva oltrepassato il limite della decenza minacciando di uccidere la regina metamorfa. Ora poteva essere utile al Pontifex, cogliendo forse sfumature che sarebbero sfuggite anche al perspicace Deliamber.
Il villaggio dei lavoratori consisteva in un'accozzaglia di misere capanne di vimini che sorgevano oltre i confini esterni del settore centrale degli scavi. Il suo aspetto improvvisato ricordò a Valentine la città di Ilirivoyne, la capitale mutaforma nella giungla di Zimroel che aveva visitato molti anni prima. Ma quel luogo era ancora più desolato e squallido di Ilirivoyne. Nella giungla, se non altro, i metamorfi avevano a disposizione un'abbondanza di giovani alberi alti e dritti e di liane con cui costruire le loro povere capanne, mentre qui, in mezzo al deserto, non potevano ricorrere ad altro che ai nodosi e contorti arbusti che punteggiavano la pianura di Velalisier. Di conseguenza, le loro capanne erano costruzioni piccole e anguste, spaventosamente contorte e distorte.
Chissà come, la notizia dell'arrivo del Pontifex li aveva preceduti. Valentine li trovò raccolti a gruppi di otto o dieci persone davanti alle loro dimore, chiaramente in attesa della sua comparsa. Avevano tutti un aspetto miserevole e patito, erano magri, trascurati e malvestiti, molto diversi dai metamorfi urbani e colti che appartenevano all'équipe di archeologi di Magadone Sambisa. Valentine si domandò dove trovassero le forze necessarie per scavare e lavorare nel clima inospitale della valle.
Alla comparsa del Pontifex gli si fecero incontro per salutarlo, circondando rapidamente lui e il suo seguito al punto da allarmare Lisamon Hultin, che emise un sibilo e portò la mano all'elsa della sua spada a vibrazione.
Ma non sembravano avere cattive intenzioni. Gli si raccolsero attorno eccitati, rendendogli omaggio, con sua grande sorpresa, nel modo più ossequioso, spintonandosi l'uno con l'altro per riuscire a baciargli l'orlo della tunica, inginocchiandosi nella sabbia davanti a lui, alcuni addirittura prostrandosi. «No», gridò Valentine, sconcertato. «Non è necessario. Non è giusto.» Magadone Sambisa stava già ordinando loro, bruscamente, di farsi indietro, e Lisamon Hultin e Nascimonte allontanavano con spinte decise quelli che si erano avvicinati troppo a lui. I gesti della gigantessa erano calmi, per nulla affrettati, efficienti, laddove gli spintoni di Nascimonte erano più violenti, cattivi, l'avversione che provava evidente negli occhi infuocati. Al ritirarsi della prima ondata, tuttavia, se ne sostituì una seconda, che cercò di raggiungerlo con frenetica decisione.