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Il vigore con cui quella gente sembrava voler mostrare al Pontifex la propria sottomissione era tale, in realtà, da destare in lui il sospetto che il loro entusiasmo fosse totalmente falso, una ostentata esagerazione di gesti altrimenti appropriati. Quanto era plausibile, si domandò, che un gruppo di piurivar, per quanto semplici e di bassa estrazione, potesse provare autentica e incontenibile gioia alla vista del Pontifex di Majipoor? Ed era davvero possibile che avessero organizzato di propria iniziativa una tale spontanea dimostrazione di affetto?

Alcuni, sia donne, sia uomini, si permettevano addirittura di assumere le sembianze dei visitatori per rendere loro omaggio, dimodoché Valentine si trovò di fronte cinque o sei versioni distorte e lievemente offuscate di se stesso, un paio di Nascimonte e una grottesca, diminutiva imitazione di Lisamon Hultin. Valentine si era già imbattuto in passato in quel peculiare modo di rendere tributo, nel corso della sua visita a Ilirivoyne, risultandone anche allora turbato e inquietato. Provava le medesime sensazioni ora. Che cambiassero pure forma, se lo desideravano: era una loro capacità e potevano utilizzarla a proprio piacimento. Ma c'era qualcosa di quasi sinistro in quell'appropriazione indebita dei connotati dei loro visitatori.

La calca cominciò a farsi ancora più frenetica e incontrollata. Suo malgrado, Valentine cominciò ad avvertire un certo allarme. Gli abitanti del villaggio erano più di cento, mentre il Pontifex e i suoi accompagnatori non erano che un drappello sparuto. Se la situazione fosse sfuggita al controllo, avrebbero potuto trovarsi in guai seri.

Poi, una voce potente tuonò sopra la ressa ordinando: «Indietro! Indietro!» E a un tratto l'intera compagine di trasandati mutaforma si ritirò da Valentine come se venisse esortata da colpi di frusta. Calò un improvviso silenzio e ogni cosa sembrò farsi immobile. Dalla folla, ora placata, emerse e si fece avanti un metamorfo di corporatura insolitamente imponente e potente. Si produsse in un ampio gesto e annunciò, con tono cupo e roboante diverso da ogni altra voce metamorfa mai giunta alle orecchie di Valentine: «Sono Vathiimeraak, il capo di questi lavoratori. La prego di volersi sentire il benvenuto tra noi, o Pontifex. Noi siamo suoi servi».

Eppure in lui non c'era alcunché di servile. Era chiaramente un uomo di forte presenza e autorità. Si scusò brevemente per il comportamento inadeguato della sua gente, spiegando che i lavoratori erano semplici contadini, sopraffatti dall'eccitazione per la presenza tra loro di una delle massime espressioni di potere del reame. Era semplicemente il loro modo di tributare rispetto.

«Io lo conosco, quell'uomo», mormorò Aarisiim nell'orecchio sinistro di Valentine.

Ma il Pontifex non ebbe il tempo di farsi dire altro, poiché Vathiimeraak, voltandosi, alzò una mano come a dare un segnale e tutt'intorno riesplosero istantaneamente confusione e clamore. Gli abitanti del villaggio si allontanarono in decine di direzioni diverse. Alcuni ricomparvero quasi immediatamente recando taglieri di salsicce e ciotole di vino da offrire agli ospiti; altri trascinavano tavoli e panche malferme fuori dalle capanne. Tornarono a sciamare attorno a Valentine e ai suoi compagni, esortandoli stavolta ad assaggiare le prelibatezze che avevano portato.

«Ci stanno dando le loro cene!» protestò Magadone Sambisa, che ordinò a Vathiimeraak di porre fine al banchetto. Ma il caposquadra rispose con tono piatto che opporre un rifiuto all'ospitalità dei lavoratori sarebbe stato interpretato come un grave atto d'offesa. Non ci fu nulla da fare: dovettero sedersi e accettare tutto quanto veniva portato dagli abitanti del villaggio.

«La prego, maestà», intervenne Nascimonte mentre Valentine si allungava per accettare una ciotola di vino. Il duca la prese dalle sue mani e ne assaggiò per primo il contenuto, attendendo poi qualche attimo prima di restituirgliela. Volle a tutti i costi assaggiare anche la salsiccia di Valentine e le misere verdure lesse di contorno.

In effetti Valentine non aveva pensato che quella gente potesse volerlo avvelenare. Permise comunque senza obiezioni a Nascimonte di espletare quel suo piccolo rito cavalieresco di sapore medievale. Voleva troppo bene al vecchio per negargli quel gesto.

Quando i festeggiamenti erano ormai ben avviati, Vathiimeraak disse: «Maestà, presumo che lei sia qui per via della morte del dottor Huukaminaan».

Il modo di esprimersi senza mezzi termini del caposquadra era allarmante. «Non potrei forse essere venuto qui per verificare i progressi compiuti nell'opera di scavo?» rispose benevolmente Valentine.

Vathiimeraak non sembrò neppure aver sentito le sue parole «Farò tutto quanto mi chiederà per aiutarvi a trovare l'assassino», disse, picchiando la mano sul tavolo per sottolineare quella dichiarazione. Per un istante il suo volto ampio dalle guance pesanti s'increspò e vibrò, come se stesse per cedere a un'involontaria metamorfosi. Valentine sapeva che una tale manifestazione in un piurivar tradiva un accesso di sentimento. «Io nutrivo il più grande rispetto per il dottar Huukaminaan. Era un privilegio lavorare al suo fianco. Ho spesso scavato per lui in prima persona, quando ritenevo che l'operazione fosse troppo delicata per essere affidata a mani meno esperte delle mie. Dapprima si opponeva, dicendo che non era giusto che un caposquadra scavasse, ma io protestavo: 'No, no, dottar Huukaminaan, la prego di concedermi questo onore', allora lui comprendeva e me lo permetteva… Mi dica, come posso esservi utile per smascherare l'autore di questo odioso crimine?»

Sembrava tanto solenne, diretto e franco che Valentine non poté fare a meno di ammonirsi di stare in guardia. La voce tonante di Vathiimeraak e il suo modo formale di esprimersi avevano un che di teatrale. La sua elaborata sincerità somigliava molto all'esagerata manifestazione di affetto degli abitanti del villaggio che si erano prostrati e avevano baciato le sue vesti: tanto eccessiva da risultare affatto convincente.

Sei troppo sospettoso di questa gente, si disse. Questo uomo sta semplicemente parlando nei termini che ritiene opportuno nel rivolgersi a un Pontifex. E, a ogni modo, ho la sensazione che possa esserci d'aiuto.

Gli domandò: «Che cosa sa delle modalità dell'omicidio?»

Vathiimeraak rispose senza esitare, come se avesse già avuto in serbo una replica pronta e ben provata. «So che è accaduto di notte, l'altra settimana, tra l'ora del gihorna e l'ora dello sciacallo. Una o più persone hanno attirato il dottor Huukaminaan fuori dalla tenda e l'hanno condotto alle Tavole degli dei, dove è stato ucciso e fatto a pezzi. Abbiamo ritrovato le varie parti del suo corpo il mattino seguente, in cima alla piattaforma occidentale, con la sola eccezione della testa. Quella l'abbiamo rinvenuta più tardi quello stesso giorno in una delle nicchie lungo la base del Santuario della disfatta.»

Più o meno la solita versione dei fatti, pensò Valentine. A eccezione di un unico, piccolo dettaglio.

«Il Santuario della disfatta? È la prima volta che ne sento parlare.»

«Intendevo dire il santuario della Settima piramide», precisò Vathiimeraak. «Il santuario sigillato trovato dalla dottoressa Magadone Sambisa. L'ho chiamato con il nome che usa per definirlo la mia gente. Noterà che non ho detto 'scoperto' dalla dottoressa. Noi abbiamo sempre saputo della sua esistenza lì dove si trova, adiacente alla piramide caduta. Ma nessuno ci aveva mai chiesto nulla, e noi non ne abbiamo mai fatto cenno.»