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Quegli inaspettati tocchi di bellezza risollevarono l'umore del Pontifex. Che era stato inconsuetamente mesto, da quando aveva ricevuto la notizia, una settimana prima, della selvaggia e sconcertante morte incorsa al prestigioso archeologo metamorfo Huukaminaan, proprio tra quelle rovine. Valentine aveva tenuto moltissimo al lavoro che veniva svolto nel sito per riportare alla luce e restaurare l'antica capitale dei mutaforma; quell'omicidio rischiava di rovinare tutto.

Comparvero le tende degli archeologi, alte, gaiamente ricavate da ampie fasce di tessuto verde, marrone e scarlatto, rigonfie al centro di una bassa piana sabbiosa in lontananza. Vide che alcuni degli addetti agli scavi gli stavano venendo incontro sui lunghi viali fiancheggiati da rocce, in groppa a cavalli grassi e dal passo pesante: erano una mezza dozzina e alla loro testa c'era la capo archeologa Magadone Sambisa.

«Maestà», lo accolse, scendendo da cavallo e porgendo i suoi rispetti con il complesso gesto di saluto riservato al Pontifex. «Benvenuto a Velalisier.»

Valentine faticò a riconoscerla. Non era passato più di un anno da quando Magadone Sambisa si era presentata al suo cospetto nelle stanze del Labirinto. Ricordava una donna dinamica e sicura, dallo sguardo vispo, robusta ed energica, con gote arrotondate, floride di vita e vigore, e una cascata di folti riccioli rossi sulla schiena. Ora appariva stranamente rimpicciolita, appesantita dalla stanchezza, le spalle curve e gli occhi opachi e affossati, il volto smagrito e solcato da nuove rughe, non più rubicondo come un tempo. Quella sua imponente massa di capelli aveva perso splendore e pienezza. L'imperatore lasciò trasparire solo per un istante il suo stupore, ma bastò perché lei lo notasse. Immediatamente si raddrizzò, cercando, evidentemente, di proiettare una parte del suo vigore di un tempo.

Valentine aveva avuto intenzione di presentarla al duca Nascimonte, al principe Mirigant e al resto del gruppo di visitatori. Ma prima che potesse farlo, Tunigorn si fece avanti per espletare i convenevoli in modo formale.

C'era stato un tempo in cui ai cittadini di Majipoor era vietato conversare direttamente con il Pontifex. Ogni scambio doveva obbligatoriamente avvenire per il tramite di un funzionario di corte che recava il titolo di Alto Portavoce. Era stata una regola che Valentine si era affrettato ad abolire, insieme a molte altre, nel tentativo di sopprimere alcune ridondanze dell'etichetta imperiale. Tunigorn, tuttavia, che era conservatore per natura, non si era mai trovato a proprio agio con certi cambiamenti. Faceva tutto quanto gli era possibile per salvaguardare la tradizionale aura di santità che un tempo aveva circondato i pontefici. Valentine trovava la cosa divertente e affascinante, solo occasionalmente irritante.

Del drappello di benvenuto non faceva parte alcuno degli archeologi metamorfi che erano al centro degli scopi della spedizione. Magadone Sambisa aveva portato con sé solo cinque archeologi umani e un ghayrog. Era strano che avesse lasciato i metamorfi altrove. Tunigorn ripeté come da cerimoniale il nome di ciascuno a beneficio di Valentine, storpiandoli quasi tutti. Quando ebbe concluso, e solo allora, fece un passo indietro e permise al Pontifex di parlare a quattr'occhi con lei.

«Gli scavi», esordì. «Mi dica, stanno andando bene?»

«Molto bene, maestà. Andavano splendidamente, a dire il vero, finché… finché…» Ebbe un gesto di disperazione: cordoglio, choc, smarrimento, impotenza, tutto in un solo incisivo movimento della testa e delle braccia.

L'omicidio doveva essere stato per lei come un lutto in famiglia; per lei e per tutti gli altri. Una perdita improvvisa e devastante.

«Finché, sì. Capisco.»

Valentine le pose una serie di domande, con delicatezza ma rigorosamente. Le chiese se c'erano stati importanti sviluppi nelle indagini. Avevano trovato qualche indizio? Il delitto era stato rivendicato? C'era qualche sospetto? La squadra di archeologi aveva forse ricevuto minacce di ulteriori violenze?

Ma non c'erano novità. L'uccisione di Huukaminaan era stata un episodio isolato, un'improvvisa, sconvolgente e insondabile intrusione nel sereno progresso dei lavori presso il sito. Il corpo del metamorfo ucciso era stato consegnato alla sua gente perché venisse sepolto, gli riferì lei, e mentre parlava venne scossa nella metà superiore del corpo da un brivido che tentò invano di nascondere. Gli scavatori stavano ora tentando di superare il turbamento provocato dal delitto e di riprendere a svolgere le loro mansioni.

Era evidente la pena che le costava affrontare l'argomento. Cambiò discorso appena le fu possibile. «Dev'essere affaticato dal viaggio, maestà. Posso mostrarle i suoi alloggiamenti?»

Per ospitare il Pontifex e il suo entourage erano state erette tre nuove tende. Per raggiungerle dovettero attraversare la zona degli scavi. Valentine vide con piacere che erano stati fatti grandi progressi nel rimuovere i grovigli di filamentose erbacce e di rovi che per tanti secoli avevano lavorato pazientemente all'impresa di staccare i blocchi di pietra gli uni dagli altri.

Lungo il tragitto Magadone Sambisa riversò sui suoi ospiti voluminosi flussi di informazioni a proposito delle caratteristiche salienti della città, come se Valentine fosse un turista e lei la sua guida. Da questa parte l'acquedotto, diroccato ma ancora imponente. Dall'altra il catino ovale e dai lati spigolosi dell'arena. E laggiù il grande corso cerimoniale, pavimentato con eleganti pietre tendenti al verde.

Dopo ventimila anni su quelle pietre erano ancora visibili i geroglifici dei mutaforma, misteriosi simboli spiraleggianti incisi in profondità nella materia. Neppure gli stessi mutaforma contemporanei erano in grado di decifrarli oggi.

La fiumana di nozioni in materia di archeologia e mitologia le usciva di bocca quasi senza sosta. Il suo atteggiamento aveva un che di frenetico, addirittura di disperato, a tradire il disagio che provava in presenza del Pontifex di Majipoor. Valentine era abituato a quel genere di reazione. Ma quella non era la sua prima visita a Velalisier ed era già a conoscenza di buona parte di quanto lei gli stava raccontando. E gli appariva così stanca, così svuotata, che lo preoccupava vederla sprecare inutilmente energie a quel modo.

Eppure non sembrava voler smettere. Ora stavano passando accanto a un enorme e gravemente diroccato edificio di pietra grigia, che dava l'impressione di essere pronto a crollare se solo qualcuno avesse starnutito nelle sue vicinanze. «Questo è il Palazzo del Re Finale», spiegò lei. «Probabilmente è una denominazione errata, una storpiatura, ma è così che lo chiamano i piurivar. E noi ci adeguiamo, per mancanza di un nome migliore.»

Valentine notò come facesse attenzione a usare il nome che i mutaforma usavano per definire stessi piurivar. Gli accademici tendevano sempre a essere molto formali in merito, riferendosi immancabilmente alla popolazione aborigena di Majipoor con quel nome, evitando di chiamarli metamorfi o mutaforma, come faceva la gente comune. Avrebbe cercato di ricordarsi di fare lo stesso.

Avvicinandosi alle rovine del palazzo reale, gli offrì una disquisizione sulla leggenda del mitico Re Finale dei piurivar, colui che aveva presieduto all'atroce atto di profanazione che aveva portato i metamorfi all'abbandono, in tempi antichi, della loro città. Era una storia che tutti loro conoscevano. Chi ignorava quella vicenda così terribile?

Eppure la ascoltarono cortesemente mentre raccontava di come molte migliaia di anni prima, in un'epoca molto antecedente alla comparsa dei primi insediamenti umani su Majipoor, i metamorfi di Velalisier avessero trascinato a terra dalle acque dell'oceano, evidentemente in un accesso di cieca follia, due draghi marini viventi: esseri intelligenti di imponenti dimensioni e straordinari poteri mentali, che i metamorfi stessi avevano considerato alla stregua di dei. Li avevano scaricati su quelle piattaforme di pietra, fatti a pezzi con lunghi coltelli, poi avevano bruciato la loro carne su una pira allestita davanti alla Settima piramide, in un insensato sacrificio agli dei ritenuti ancora più potenti in cui il re e i suoi sudditi avevano preso a credere.