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«Allora sa cosa sono!»

«Sono le più sacre tra le reliquie! Deve riporle immediatamente nel santuario!»

«Torkkinuuminaad, perché ha fatto uccidere il dottor Huukaminaan?»

La sola risposta del khivanivod fu uno sguardo ancor più rabbioso e sprezzante.

Mi ucciderebbe con i suoi poteri magici, se potesse, pensò Valentine. E perché non dovrebbe farlo? Io so che cosa rappresento agli occhi di Torkkinuuminaad. Io sono l'imperatore di Majipoor e dunque sono Majipoor stessa, e se con un solo gesto potesse condannarci tutti alla distruzione e all'oblio, lui farebbe quel gesto.

Sì. Valentine incarnava nella sua persona il nemico: il nemico che era giunto dal cielo e aveva sottratto ai piurivar il loro mondo, che aveva costruito le proprie immense città dove prima c'erano state foreste e radure, aveva popolato con miliardi di intrusi il pianeta, disturbando la fragile tessitura della vita dei piurivar. Dunque Torkkinuuminaad l'avrebbe ucciso, se avesse potuto, e uccidendo il Pontifex avrebbe simbolicamente ucciso, secondo i canoni della magia, tutta la Majipoor dominata dagli umani.

Ma alla magia si può opporre la magia, si disse Valentine.

«Sì, mi guardi», disse allo sciamano. «Mi guardi dritto negli occhi, Torkkinuuminaad.»

Così dicendo strinse tra le dita i due talismani che aveva preso dal santuario.

La duplice forza dei denti avviluppò Valentine con un impatto tremendo nel momento in cui chiuse mentalmente il circuito. Avvertì l'intera gamma di sensazioni contemporaneamente, non semplicemente raddoppiate bensì moltiplicate più volte. Riuscì a rimanere in piedi e si concentrò con tutte le forze; indirizzò la propria mente direttamente verso quella del khivanivod. La scrutò. Vi entrò. Penetrò nella memoria del khivanivod e subito trovò quello che cercava.

Il buio della mezzanotte. Il chiarore di una falce di luna. Il cielo tempestato di stelle. La tenda degli archeologi, gonfiata dalla brezza. Qualcuno che ne esce: un piurivar, molto magro, dai movimenti cauti imposti dalla vecchiaia.

Il dottor Huukaminaan, certamente.

Una figura snella lo attende nella strada: un altro metamorfo, anch'egli anziano, vestito in modo strano e trasandato.

Il khivanivod. Così come si vedeva con l'occhio della propria mente.

Alle sue spalle si muovono alcune sagome scure; sono cinque, sei, sette. Tutti mutaforma. Abitanti del villaggio, a giudicare dalle apparenze. Il vecchio archeologo non sembra accorgersi di loro. Parla con il khivanivod; lo sciamano fa un gesto, indica con la mano. Segue una discussione, un diverbio. Il dottor Huukaminaan scuote la testa. Di nuovo gesti a indicare qualcosa. Ancora scambi di opinione. Poi cenni di assenso. Un accordo. Tutto sembra essersi risolto per il meglio.

Sotto lo sguardo di Valentine il khivanivod e Huukaminaan si avviano insieme lungo la strada che conduce nel cuore delle rovine.

Ora gli abitanti del villaggio emergono dalle ombre che li avevano nascosti. Circondano il vecchio; lo afferrano; gli coprono la bocca per impedire che si odano le sue grida. Il khivanivod gli si avvicina.

Il khivanivod regge un coltello.

Valentine non aveva bisogno di vedere altro. Non voleva vedere altro, il mostruoso rito di smembramento sulla piattaforma di pietra azzurra, né lo strano rituale che sarebbe seguito nel cunicolo che conduceva al Santuario della disfatta, destinato a raggiungere il suo culmine con la deposizione della testa della vittima nella nicchia.

«Ora non c'è più spazio per le menzogne e la finzione», disse al khivanivod, la cui espressione era mutata e comunicava non più furore a stento contenibile, bensì quasi una sorta di rassegnazione. «Perché ha ucciso il dottor Huukaminaan?»

«Perché altrimenti avrebbe aperto il santuario.» Il tono di voce del khivanivod era assolutamente neutro, privo di qualsiasi emozione.

«Certo. Naturalmente. Ma anche Magadone Sambisa era a favore dell'apertura. Perché non ha ucciso lei?»

«Lui era uno di noi, un traditore», disse Torkkinuuminaad. «Lei non importava. E lui rappresentava un pericolo più grande per la nostra causa. Sapevamo che Magadone Sambisa avrebbe dovuto desistere dall'aprire il santuario se ci fossimo opposti con il necessario vigore. Lui, invece… non c'era modo di convincerlo.»

«Il santuario è stato aperto comunque», disse Valentine.

«Sì, ma solo perché lei è venuto qui. Altrimenti gli scavi sarebbero stati chiusi. Lo scalpore suscitato dalla morte del dottor Huukaminaan avrebbe mostrato al mondo che la maledizione che aleggia su questo luogo è ancora attiva. Lei è venuto e ha aperto il santuario; ma la maledizione colpirà anche lei, proprio come colpì il Pontifex Ghorban tanto tempo fa.»

«Qui non c'è alcuna maledizione», replicò tranquillo Valentine. «Questa è una città che ha vissuto molte tragedie, ma non esiste alcuna maledizione: solo una sfortunata successione di incomprensioni.»

«La Profanazione…»

«Non c'è stata alcuna profanazione, bensì solo un sacrificio. La distruzione della città da parte della gente delle province fu uno sbaglio madornale.»

«Dunque lei comprende la nostra storia meglio di noi, Pontifex?»

«Sì», affermò Valentine. «Sì.» Si voltò, distogliendo lo sguardo dallo sciamano, e rivolgendosi al caposquadra disse: «Vathiimeraak, nella tua comunità abitano degli assassini. So chi sono. Vai al villaggio e annuncia a tutti che se i colpevoli si faranno avanti e confesseranno il loro crimine, verranno perdonati dopo essersi sottoposti a una piena purificazione delle loro anime».

Poi si girò verso Lisamon Hultin e disse: «Per quanto riguarda il khivanivod, voglio che venga consegnato ai funzionari della Danipiur perché sia processato da un tribunale della sua gente. La competenza è sua. Poi…»

«Maestà!», gridò qualcuno. «Attento!»

Valentine ruotò su se stesso. Le guardie skandar si erano ritratte dal khivanivod e si fissavano le mani tremanti come se si fossero ustionati in una fornace ardente. Torkkinuuminaad, liberatosi dalla loro presa, avvicinò minacciosamente il volto a quello di Valentine, dal basso verso l'alto. La sua espressione era diabolica.

«Pontifex!» sussurrò. «Mi guardi, Pontifex! Mi guardi!»

Colto di sorpresa, Valentine non ebbe modo di difendersi. Si sentiva già pervadere da uno strano torpore. I denti di drago gli scivolarono dalle mani inerti. Ora Torkkinuuminaad stava mutando forma, passando in rassegna una serie di grotteschi cambiamenti a un ritmo frenetico, al punto da sembrare dotato a tratti di decine di arti e una mezza dozzina di corpi; era un sortilegio. Valentine se ne ritrovò avviluppato come una falena tra i fili di una tela abilmente intessuta da un ragno. L'aria sembrava essersi fatta densa e la vista gli si offuscava; dal nulla si era levata una brezza. Valentine resistette in piedi, in preda allo smarrimento, tentando di sottrarre il suo sguardo dagli occhi infuocati del khivanivod, ma invano. Né trovava la forza per chinarsi e raccogliere i due denti di drago che giacevano ai suoi piedi. Sembrava raggelato, confuso, stordito. Barcollò. Nel petto provava un intenso bruciore e gli risultava arduo anche solo respirare. Si sentiva attorniato da fantasmi. Una decina di mutaforma… cento, mille…

Volti ghignanti. Occhi malevoli. Denti; artigli; coltelli. Era circondato da un'orda danzante di assassini, che gli volteggiavano attorno, saltellando, ruotando, sibilando, schernendolo e chiamando il suo nome con tono derisorio.

Era perduto in un vortice di antichi sortilegi. «Lisamon?» chiamò Valentine, frustrato. «Deliamber? Aiutatemi… aiuto…» ma non era sicuro che le parole gli fossero effettivamente uscite dalle labbra.

Poi vide che le sue guardie avevano finalmente percepito il pericolo in cui si trovava. Deliamber, il primo a reagire, si fece rapidamente avanti e levò a sua volta i propri molti tentacoli evocando un contro-sortilegio, una serie di gesti e affondi di forza psichica tesi a neutralizzare quanto emanato da Torkkinuuminaad. Mentre il minuscolo vroon iniziava a tessere la propria rete di magia attorno allo sciamano piurivar, fu Vathiimeraak ad avventarsi contro il khivanivod dal lato opposto, afferrandolo audacemente e scagliandolo a terra del tutto incurante dei suoi sortilegi. Lo sopraffece, stringendolo in una morsa e premendogli la fronte nel suolo ai piedi di Valentine. Valentine sentì allentarsi la presa della magia dello sciamano, che poi prese a scemare e finalmente cedette ogni residua presa sulla sua anima. Il contatto tra la sua mente e quella di Torkkinuuminaad si spezzò con un botto secco, quasi udibile.