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La guerra si era conclusa con la vittoria degli eserciti di Valentine. Nel gestire la pace che era seguita al conflitto, si era curato di alleviare il più possibile le cause del malcontento dei metamorfi. La Danipiur, così chiamavano la loro regina, venne accolta nel governo a pieno titolo di Potere del Regno, il che la collocava sullo stesso piano del Pontifex e del Coronal. Da allora Valentine era passato dal trono del Coronal a quello del Pontifex. E ora aveva rispolverato l'idea di restaurare le rovine di Velalisier, accertandosi stavolta di godere della piena collaborazione dei metamorfi, e disponendo che archeologi metamorfi lavorassero fianco a fianco con gli accademici della venerabile università di Arkilon, nel Nord, ai quali aveva affidato l'incarico.

Nell'anno da poco conclusosi grandi passi erano stati compiuti nel processo di salvare le rovine dall'oblio che da così a lungo le minacciava. Ma poca era la gioia che poteva trarne. La raccapricciante morte che era toccata al capo spedizione degli archeologi metamorfi in cima a quell'antico altare portava a pensare che forze sinistre si agitassero ancora nelle viscere di quel luogo. L'armonia che sperava di aver ristabilito nel mondo rischiava di mostrarsi molto meno profonda di quanto avesse immaginato.

Quando Valentine si fu sistemato nella sua tenda, era ormai il tramonto. Rispettoso di un'abitudine che egli stesso era reticente ad abbandonare, vi avrebbe dimorato da solo, dal momento che la sua consorte Carabella in quell'occasione era rimasta al Labirinto. La verità era che aveva cercato con forza di dissuadere anche lui dal viaggio. Tunigorn, Mirigant, Nascimonte e il vroon avrebbero condiviso la seconda tenda; la terza era occupata dalla scorta di sicurezza che aveva accompagnato il Pontifex fino a Velalisier.

Uscì all'esterno, dove andavano addensandosi le ombre della sera. Una manciata di stelle precoci aveva cominciato a brillare nel cielo e il bagliore marcato della Grande Luna era visibile basso sull'orizzonte. L'aria era secca e limpida, con un che di friabile, come se si potesse strapparla con le mani, carta asciutta da ridurre in polvere con le dita. Era stranamente ferma, misteriosamente quieta.

Se non altro si trovava all'esterno, a guardare in alto stelle autentiche, e l'aria che respirava, per quanto secca, era aria vera, non la roba artificiale della città Pontificia. Valentine ne era grato.

Di diritto non aveva alcuna facoltà di trovarsi all'esterno e in giro per il mondo.

In quanto Pontifex, il suo posto era il Labirinto, nascosto nella sua segreta tana imperiale, in fondo a tutti quegli spiraleggianti livelli dell'insediamento sotterraneo, celato alla vista dei comuni mortali. Il Coronal, il vicesovrano che abitava l'arioso castello di quarantamila stanza in cima a quella svettante spira di roccia che era il Monte Castello, doveva incarnare la componente attiva del governo, rappresentare in modo visibile la maestà reale su Majipoor. Ma Valentine odiava l'umido Labirinto, dove la sua somma carica lo costringeva a risiedere. Approfittava di ogni occasione per riuscire a sfuggirgli.

E questa in particolare aveva costituito un'incombenza inevitabile. L'uccisione di Huukaminaan era un fatto grave e richiedeva lo svolgimento di indagini ai più alti livelli; e il Coronal, Lord Hissune, si trovava in quel momento impegnato in una visita del distante continente di Zimroel, a molti mesi di viaggio da loro. Pertanto, al posto suo si era recato sul luogo del delitto il Pontifex in persona.

«Adori la vista del cielo aperto, non è vero?» disse il duca Nascimonte, sbucando dalla tenda dall'altra parte dello spiazzo e andando ad affiancare Valentine con passo claudicante. Sotto la durezza della sua voce roca c'era un fondo di tenerezza. «Come ti capisco, vecchio amico mio. Ti capisco davvero.»

«Vedo così di rado le stelle nel luogo dove sono costretto a vivere, Nascimonte.»

Il duca rise. «Costretto a vivere! L'uomo più potente del mondo e si ritiene un prigioniero! Che ironia! Che tristezza!»

«Seppi fin da quando divenni Coronal che prima o poi avrei dovuto vivere nel Labirinto», disse Valentine. «Ho cercato di rassegnarmi a questa realtà. Ma non era mai neppure stato nei miei piani diventare Coronal, sai. Se Voriax fosse vissuto…»

«Già, Voriax…» Il fratello di Valentine, il primogenito dell'Alto Consigliere Damiandane: colui che fin dall'infanzia era stato educato per occupare il trono di Majipoor. Nascimonte scrutò in volto Valentine. «Fu un metamorfo ad abbatterlo nella foresta, o mi sbaglio? Fu provato, vero?»

Con un certo disagio, Valentine rispose: «Che cosa importa ora chi l'abbia ucciso? È morto. E il trono è toccato a me perché ero l'altro figlio di mio padre. Una corona che non avevo mai sognato di portare. Tutti sanno che era Voriax il predestinato». «Purtroppo per lui non era scritto nel suo destino. Povero Voriax!» Povero Voriax, davvero. Falciato da una freccia sbucata dal nulla durante una battuta di caccia nella foresta, otto anni dopo essere assurto alla carica di Coronal; una freccia scoccata dall'arco di un metamorfo assassino nascosto tra gli alberi. Accettando la corona del fratello morto, Valentine aveva condannato se stesso senza appello a scendere un giorno nel Labirinto, quando il vecchio Pontifex sarebbe morto e sarebbe toccato al Coronal ereditare la carica più alta, insieme con il triste obbligo di risiedere sottoterra che essa comportava.

«Come hai detto tu, è stato il destino a decidere così», concordò Valentine. «E ora io sono Pontifex. E così sia, Nascimonte. Ma mi rifiuto di nascondermi laggiù al buio tutto il tempo. Non ce la faccio.»

«E perché dovresti? Il Pontifex è libero di fare come vuole.»

«Sì, certo. Ma solo entro i limiti della nostra legge e della tradizione.»

«Puoi plasmare la legge e le tradizioni a tuo piacimento, Valentine. E lo hai sempre fatto.»

Valentine comprendeva bene che cosa volesse dire Nascimonte. Non era mai stato un sovrano ortodosso. Per molto tempo durante il suo esilio dal potere nel periodo di usurpazione, aveva vagato per il mondo guadagnandosi una umile esistenza come giocoliere itinerante, il suo vero ruolo nascostogli dall'amnesia che la fazione usurpatrice aveva indotto in lui. Quegli anni avevano operato in lui una trasformazione irreversibile; e dopo il suo legittimo ritorno alle reali altezze del Monte Castello si era comportato come pochi Coronal avevano mai fatto prima di lui: mescolandosi apertamente al popolo, diffondendo un gioioso vangelo di pace e amore, pur mentre i mutaforma si preparavano a lanciare la loro lungamente covata campagna di guerra contro gli invasori che avevano sottratto loro il mondo.

Poi, quando l'evolversi della guerra rese inevitabile la salita di Valentine al trono di Pontifex, aveva temporeggiato il più a lungo possibile prima di cedere il mondo superiore al proprio delfino, Lord Hissune, il nuovo Coronal, e scendere nella città sotterranea che tanto aliena era alla sua natura solare.

Nei suoi nove anni da Pontifex aveva trovato ogni sorta di scuse per riemergere da essa. A memoria d'uomo, nessun Pontifex era mai uscito dal Labirinto più di una volta ogni decennio, e anche in quelle occasioni solo per presenziare a solenni riti presso il castello del Coronal; Valentine, al contrario, sbucava fuori appena gli era consentito, percorrendo per ogni dove il suo regno come se fosse ancora soggetto all'obbligo delle grandi processioni per il territorio che erano il dovere del Coronal. Lord Hissune si era mostrato molto paziente con lui in ciascuna di quelle occasioni, sebbene Valentine non dubitasse che la sua insistenza nel comparire in pubblico tanto frequentemente fosse fonte di irritazione per il giovane Coronal.