«Io non sono giovane né mortale, mia cara, ma suppongo di essere, paragonata a Vlad, ancora una ragazza; sono morta infatti appena duecentottanta anni fa».
Mentre parlava, la sensazione di svenire mi riprese, e sarei caduta all’indietro se lei non mi avesse preso per un braccio.
«Ma, mia cara Zsuzsanna, sei così debole! E come siamo sconsiderati a insistere che tu rimanga in piedi».
Rivolse quindi a Vlad uno strano sguardo enigmatico, dicendo: «Vorrei restare per un po’ sola con lei».
La riluttanza balenò sui lineamenti di lui, ma fu presto sostituita da un’espressione di intesa maliziosamente compiaciuta, come se gli fosse appena stato rivelato qualcosa di malvagio.
«Ah! Naturale… Lei ti può condurre nelle sue stanze. Tieni presente che ce n’è anche un’altra… la cameriera…».
«Ancora meglio», rispose lei, e mi passò un braccio ricoperto di raso intorno alla vita. «Fammi strada, Zsuzsanna».
Aveva un atteggiamento premuroso, mentre io ero ancora instabile sui piedi, e così mi permisi di poggiare la guancia sulla sua spalla per studiare meglio quel magnifico collo di porcellana e respirarne il profumo. Era passato tanto tempo da che avevo posto gli occhi su una bellezza immortale, da farmi completamente sopraffare dal suo aspetto stupefacente.
Scendemmo la scala a chiocciola mentre ascoltavo quella musica di violoncello che era la voce di Elisabeth. Mi parlava della sua casa a Vienna, di che meravigliosa città fosse, e io bisbigliai che vi ero stata in visita una volta e che me ne ero innamorata.
«Bene, allora! Verrai a casa mia e godrai a tuo piacimento di tutto ciò che ho. Sei esausta per mancanza di vigore, ma io so vedere sotto questo tuo invecchiamento prematuro. Sei una creatura troppo bella per languire qui in questa desolata rovina che chiamano castello».
Si diede un’occhiata alle spalle come a rendersi conto dell’udito molto acuto di Vlad, ma io dissi:
«Non ti preoccupare. Non riesce più a udire bene come…».
«So con precisione quanto può udire, e non riesce a distinguere le parole che diciamo a questa distanza. Forse eri troppo debole per notarlo ma io, stasera, gli ho restituito un briciolo della sua forza precedente». Si fermò e rivolse le sue fattezze delicate verso di me, con i lunghi ricci splendenti d’oro che le cadevano sopra il prosperoso seno di madreperla. «Ora possiamo parlare con tranquillità. Mia cara… sapevi che mi ha dato istruzioni per non restituirti il tuo potere?».
Le mie labbra si contrassero in una smorfia di collera; riuscii a serrarle, ma tremavano ancora per la rabbia.
«È stato così crudele e spietato… Non puoi nemmeno immaginarlo! Io sono sempre stata buona con lui, e obbediente…».
«Obbediente». Lo ripeté come la più pesante delle maledizioni.
«…ma mi ha ingannata, e ridotta alla fame finché fossi troppo debole persino per cacciare. Per mezzo secolo mi sono fidata di lui, pensando che nutrisse un onesto interesse, persino amore, per me. È mio zio: io lo adoravo senza riserve quando ero in vita, e lui ha approfittato del mio affetto per ingannarmi».
Mentre parlavo, lei si fermò e ascoltò con attenzione le mie parole, con le labbra piene che gradualmente le si strinsero in una linea sottile. Le raccontai della sua “generosa” offerta di cacciare per tutti noi, e della sua crudeltà verso me e la povera Dunya. Quando ebbi finito, disse lentamente: «È come pensavo. Quello stupido bastardo medievale!».
E riprese a camminare velocemente, trascinandomi con sé.
Scoppiai in una risata fragorosa, nonostante la mia debolezza e, sebbene ansimassi, non riuscivo a riprendere fiato — o a frenare la mia risata — per rispondere. Non avevo mai sentito alcuno riferirsi a lui senza timore reverenziale o paura, e udire qualcuno descriverlo senza tanto rispetto, mi stupiva e mi procurava un piacere senza fine.
«Ah, vedo che il termine ti diverte», disse, con la fronte perfetta alterata da un cipiglio. «Ma pensa: il mio termine non è poi tanto sbagliato. Oggi siamo nel 1893, ma Vlad pensa che sia ancora il 1476. Tratta le donne come oggetti; non sarei sorpresa di sentire che ha mantenuto i suoi servi della gleba».
Ancora ridendo, le confidai:
«No, sono scappati cinquant’anni fa per la paura, quando lui ruppe il Patto…».
Raddrizzò bruscamente il capo, con uno sguardo acuto e indagatore.
«Il Patto? Il suo accordo con l’Oscuro Signore? È per questo che sono stata chiamata?»
«Questo non ha nulla a che fare con il Demonio», dissi, e mi fermai per indicare la porta della mia camera, poiché eravamo arrivate a destinazione. «Lui aveva rotto la sua promessa di non condividere l’immortalità con qualcuno della sua famiglia, e gli abitanti del villaggio ebbero paura che potesse cominciare a nutrirsi di loro. Perché ridi?».
Infatti, si era premura una mano sul bianco seno, allargando, le dita guantate di blu, e aveva cominciato a ridere senza riserve. Aveva gettato il capo all’indietro facendo ricadere la massa di riccioli biondi dietro le spalle sulla schiena. Avvicinai la mia faccia alla sua e la osservai, lievemente offesa per il fatto che potesse trovare divertente una cosa tanto seria.
Ma l’offesa subito si trasformò in stupore poiché, a quella distanza, la mia vista indebolita poté chiaramente vedere i suoi denti: erano piccoli, bianchi, splendenti, e tutti uguali. Proprio come quelli di un mortale, senza gli aguzzi e lunghi canini.
«Tu non sei un Vampiro!», mi meravigliai.
Allora ridivenne seria, sebbene le sue labbra fossero ancora atteggiate a una mezzaluna crescente e, tenendomi un braccio intorno alla vita, con l’altra mano afferrò la mia, infondendomi il suo calore.
«Cara Zsuzsanna, io sono ciò che desidero essere. Riguardo al mio riso… non è diretto a te, ma a Vlad, che ovviamente ti ha infettato con la sua idiozia medievale. Mia cara, non esiste alcun Diavolo».
«E allora, l’Oscuro Signore?».
Non lo avevo mai incontrato personalmente — in verità, avrei timore di farlo — ma avevo origliato molti dei suoi incontri con Vlad.
Le sue labbra fremettero in un’espressione leggermente divertita, ma poi lei si controllò per rispetto verso di me.
«È chiamato l’Oscuro Signore perché è così che preferisce essere chiamato. E non è necessariamente un Lui».
La fissai confusa, mentre apriva la porta della mia camera e mi trascinava attraverso la soglia.
«Vieni, mia cara. Hai molto da imparare».
3 maggio 1893, continua. Sono ritornati, sono ritornati… tutta la mia forza, il mio potere, la mia gioia e bellezza, sono ritornati!
Elisabeth mi condusse dentro la mia camera (che, più propriamente, era la stanza dei vecchi servitori), dove la mia lucida bara nera era aperta accanto a quella di Dunya, Nuovamente si sforzò di reprimere un sorriso alla vista delle bare, ma non ci riuscì del tutto. Al mio sguardo interrogativo, mormorò:
«Come tutto è drammatico… e quanto somiglia a Vlad. È sempre stato ossessionato più dalla morte che dalla vita». Quindi si voltò verso di me. «Zsuzsanna… sei capace di mantenere un grande segreto, senza che Vlad lo sappia?»
«Sì. I miei pensieri sono solo miei; lui non ne è a conoscenza».
«Non intendevo dire questo, cara. Io potrei proteggere i tuoi pensieri da lui… sebbene così è certamente meglio, poiché non susciterà i suoi sospetti. Volevo dire: puoi restare pazientemente in silenzio, anche di fronte alla più eccitante delle rivelazioni?».
L’intelligente bagliore adamantino di attesa nei suoi occhi aumentò la mia eccitazione.
«Sì, è naturale… se il silenzio andrà a mio beneficio».