«Oh, lo sarà. Ho restituito a Vlad solo una parte del suo potere: gli ho mentito e gli ho detto che potevo farlo solo poco per volta, poiché desideravo conoscere le sue vere intenzioni prima di restituirglielo completamente. Non mi fido di lui, ma vedo che tu, Zsuzsanna, possiedi una natura buona e onesta; perciò, ti restituirò il pieno vigore ora, subito».
Battei le mani per il desiderio, sebbene l’atto mi costasse un grande sforzo.
«E anche a Dunya?»
«Come desideri. Non ho dubbi che anche lei se lo meriti, se si è conquistata l’affetto e la lealtà di una persona degna come te. Ma ecco la condizione: entrambe sentirete ritornare la vostra bellezza e la vostra forza… ma apparirete a Vlad come siete ora. Davanti a lui non dovrete mai parlare della vostra guarigione, né usare i vostri ritrovati poteri. Lo giuri?»
«Sì», risposi, sorridendo di pura gioia.
Sapevo che sarebbe stato difficile trattenermi dallo sferrare a Vlad un possente colpo o fare sfoggio delle mie abilità superiori davanti a lui, ma avevo paura di riavere la vita che avevo conosciuto. Avrei giurato qualunque cosa.
«Magnifico!», sospirò, poi lanciò uno sguardo alla stanza grande e fredda. «Cara, stenditi», aggiunse.
Mi mossi obbediente verso la bara, ma lei scosse la testa.
«No, non lì. È un posto troppo macabro, e noi non vogliamo qualcosa che ricordi la morte! Sul letto, Zsuzsanna».
Insieme andammo verso l’estremità della stanza, dove uno stretto letto, da tempo inutilizzato, stava vicino a una finestra. Tirai le pesanti tende che circondavano il letto, e mi stesi su una coperta grigia fatta a mano che copriva un antico e gibboso materasso di paglia.
Elisabeth mi seguì e s’inginocchiò vicino a me, poi diede qualche colpetto sul duro materasso con un gemito di sincera indignazione.
«Zsuzsanna, questo è il materasso di un servo!». Si guardò intorno comprendendo all’improvviso. «Ti ha messo nelle stanze dei servi!».
Sospirai.
«Lo so…».
«Basta con tutto questo, mia cara! Quando verrai con me, dormirai sulle piume, tra la seta e il raso, e con lo sfarzo di una regina!».
Quando verrai con me…
Se avessi avuto un cuore, in quel momento avrebbe cominciato a battere più forte perché, sapere che avrei vissuto con qualcuno che si curava veramente di me — ed era così bella da guardare — me ne faceva pregustare con un brivido il piacere. Avevo capito bene? Stava veramente suggerendo che fuggissi da Vlad e andassi a vivere con lei?
Una cosa del genere era mai possibile? Avevo sempre creduto che il destino di Vlad e il suo potere fossero inestricabilmente legati ai miei; che, se lui periva, anch’io sarei morta. Almeno, questo è ciò che lo stesso Vlad mi aveva detto… e io lo avevo sempre creduto. Avevo sofferto qui, in questo desolato castello, senza che ce ne fosse bisogno: perché mi aveva mentito?
Tutta la rabbia che provavo nei confronti di Vlad era eclissata dalla speranza: forse lui mi aveva mentito, ma questa possibilità in realtà, era più confortante del pensiero che non lo avesse fatto. Se fossi riuscita a fuggire da lui, abbandonando questo tetro castello senza paura, per andare con quella stupefacente donna immortale a godermi tutto ciò che le grandi città d’Europa hanno da offrire…
«Vuoi dire», bisbigliai, «che non sono obbligata a restare con lui? Lui mi ha detto che la mia esistenza dipende dalla sua; è…».
Prima che potessi pronunciare la parola “vero”, Elisabeth mi rispose con rabbia:
«Non credere a nulla di quello che ti ha detto! Non esiste il Demonio… ma il Principe della Menzogna sì, e il suo nome è Vlad. Mia cara, lo conosco da quasi tre secoli, e conosco la sua mente egoista: ti ha fatto come sei non perché si sentiva solo o perché ti amava, ma perché tu lo adulavi, e così appagavi il suo orgoglio maschile. E se ti ha detto che la sua distruzione avrà come conseguenza la tua, è stato solo perché desiderava tenerti sottomessa a lui con la lealtà».
A questa notizia cominciai a piangere, poiché la verità era che io l’avevo venerato come una schiava quando ero viva, e c’erano ancora dei residui di adorazione fanciullesca nel mio cuore.
Pensare che la sua motivazione nel cambiarmi non era stata l’amore…
«Ah, dolce bambina, non sprecare le tue lacrime per i suoi capricci».
Ancora in ginocchio, si tolse i guanti blu polvere e, con noncuranza, li gettò sul pavimento, poi si chinò in avanti e mi prese le mani nelle sue. La sua carne — più morbida di quella di un bambino e più delicata — possedeva un calore febbrile, come se avesse appena tenuto i palmi sopra il fuoco per un’ora per catturarne il calore. Al suo tocco, sospirai.
«Ti sarà restituito il tuo precedente splendore — forse anche di più — e non avrai più bisogno di lui».
Si chinò quindi in avanti finché l’intero mondo non consistette in altro se non del suo luccicante sguardo di diamante e di zaffiro.
Brillante come i diamanti e altrettanto freddo, pensai, e rabbrividii all’improvviso, presa da una strana paura irrazionale.
«Che cosa mi vuoi fare?»
«Un bacio», bisbigliò, portando il suo viso così vicino al mio che il suo respiro caldo mi riscaldò le guance. «Solo un bacio…».
E si chinò finché quelle morbide labbra non furono premute contro le mie.
Come posso descriverlo? Come si fa a descrivere l’infinito e la beatitudine a coloro che non ne hanno fatto l’esperienza?
Ricordo la notte del mio Cambiamento, dopo che Vlad mi aveva lasciato morire… la sua dolce sensualità, l’euforia, l’intrigante acuirsi di tutte le facoltà: la vista, l’udito, il tatto. Il ricordo di quei momenti è rimasto con me in queste cinque decadi di Morta Vivente. Nulla, pensavo, li avrebbe potuti sostituire; ah, ma era prima del bacio di Elisabeth!
Quel piacere era così intenso, così divertente, che per un periodo di tempo imprecisato mi persi… persi ogni sensazione di ciò che mi circondava, di Elisabeth, del tempo, di qualunque cosa al mondo, tranne l’oscurità e la felicità. Non c’era un io distinto, nulla era separato da quell’unione con l’eternità.
Se mi fosse stata concessa una scelta, non l’avrei mai lasciata, poiché accanto ad essa anche l’attrattiva dell’immortalità sbiadiva. Ma troppo presto scoprii che ero ritornata nel mio corpo e che giacevo sopra lo scomodo materasso di paglia e sulla rozza coperta fissando gli occhi deliziati di Elisabeth.
«Oh», sospirò, mettendosi una mano sul cuore per lo stupore. «Mia Zsuzsanna… Come sei bella!».
E con l’altra mano mi fece alzare in piedi. Mi alzai con facilità, con grazia, e risi forte all’infinita forza che all’improvviso mi fluì nelle membra. Sempre tenendomi una mano, indietreggiò di un passo per studiarmi, poi afferrò all’improvviso un ricciolo dei miei lunghi capelli e mi disse felice:
«Guarda, mia cara, guarda!».
Guardai… e vidi che l’argento era di nuovo nero come il carbone e con una sfumatura di lucente indaco.
«Uno specchio!», gridò, camminando per la stanza spartana, esaminando le grigie mura di pietra. «Dov’è lo specchio? Devi vederti!».
«Non ci sono specchi», le dissi con tristezza. «Vlad li ha distrutti molto tempo fa. Ma, anche se ci fossero, non potrei vedere il mio riflesso».
«Bah!». E mi tirò per mano trascinandomi nel corridoio. «Subito in camera mia!».
Insieme corremmo su e giù per le scale; questa volta, non ebbi difficoltà a rimanerle accanto. Quando, finalmente, arrivammo in camera sua — sul lato est del castello, dove accoglievamo gli ospiti — lei spalancò la porta, lasciando vedere innumerevoli valige e bauli, e una robusta, giovane donna dal viso arcigno, scialba tanto quanto Elisabeth era bella.