Il conte Dracula, come ci dice Van Helsing, «dev’essere stato quel voievod Dracula che si guadagnò grande fama contro ì Turchi». Infatti lo era! Ma è significativo che in nessun punto del romanzo di Stoker ci si riferisca a Dracula come a “Vlad”, né vi sia alcun riferimento alle famose atrocità di Vlad, in particolare all’uso dell’impalamento come metodo favorito di esecuzione.
Perché Stoker, uno scrittore che includeva meticolosamente dettagli su dettagli (alcuni dei quali del tutto insignificanti e oscuri) ricavati dalle fonti conosciute, avrebbe dovuto dimenticare qualcosa che tanto avrebbe contribuito a caratterizzare il suo malvagio personaggio? O sapeva di più e scelse di non usarlo, o usò quello che sapeva. Fino a che non emergeranno prove molto più concrete di quelle sinora scoperte, io accetterei l’ultima ipotesi. Tutto ciò che sappiamo di certo è che Stoker trovò il nome “Dracula” in Wilkinson, che ovviamente gli piacque, e che decise di usarlo.
La fusione di fatti e invenzioni, per quanto sia un merito opinabile nel ricostruire l’evento storico, è uno strumento superbo nelle mani di uno scrittore ricco di immaginazione. Dato che oggi conosciamo molto più di Stoker riguardo a Vlad l’Impalatore (grazie soprattutto all’opera di Radu Florescu e di Raymond McNally), sorprende ben poco che il conte e il voievod si siano fusi. Il più famoso evento cinematografico è la versione di Francis Ford Coppola del 1992, Dracula di Bram Stoker, sebbene un collegamento tra il conte vampiro e il suo omonimo storico fosse stato fatto quasi venti anni prima nel film Dracula, di Dan Curtis con Jack Palance. Gli esempi di questa fusione nella narrativa sono numerosi e comprendono romanzi come Anno Dracula e The Bloody Red Baron (Kim Newman), Children of the Night (Dan Simmons), la trilogia Dracula Lives! (Peter Tremayne), Drakulya (Earl Lee), e ovviamente questa trilogia. La narrativa ha fatto di Vlad quello che lui non fu mai in vita — un Vampiro — e gli ha in questo modo garantito, come la sua controparte narrativa, l’immortalità.
ELIZABETH MILLER
Professore di Inglese, Memorial University of Newfoundland
Prologo
Memorandum di Vlad III, Principe di Valacchia
Bucarest, Curtea Dorhneasca, 28 dicembre 1476. Fuori, promette neve; la temperatura si è fatta pungente, e il cielo plumbeo copre il sole. Ma l’aria freme per i lampi. Danza sulla mia pelle.
Aspettiamo.
Viene… Basarab sta arrivando…
Sorridendo, alzo gli occhi dalla pergamena, dall’inchiostro e dal pennino, verso il viso del mio fidato assistente Gregor, nascosto dalle ombre prodotte dalla torcia. Figlio di boier, la nobiltà rumena, i suoi tratti sono i miei: naso e mento aguzzi, da falco, grandi occhi languidi, capelli corvini che gli ricadono sulle spalle. Non c’è nessun dubbio che siamo legati dal sangue: perlomeno dovremmo essere lontani cugini. Lui è, a dir molto, mezzo pollice più alto di me, tanto simili siamo nella statura.
Ma la somiglianza finisce qui, poiché l’intelligenza posseduta dai nostri antenati scorre solo nelle mie vene. Guardatelo: quello sciocco non riesce a resistere alla tentazione di sbirciare di tanto in tanto attraverso le tende la città che si stende sotto di noi, con le sue alte cartine fortificate costruite dietro mio ordine, e quello che c’è — o ciò che vi sarà presto — oltre quelle mura. Lui pensa che io non lo sappia.
Laiota Basarab, con un esercito di quattrocento Turchi, sta arrivando per uccidermi all’interno di queste mura di pietra e rubarmi il trono, che ho di recente riconquistato. E io ho solo la metà dei suoi uomini, dato che i miei valorosi sostenitori sono ritornati ai loro regni del nord.
Il traditore sta arrivando…
Tu sai tutto ciò che si può sapere del tradimento, non è vero, Gregor? Oh sì: tu ricambi il mio sguardo con le più striscianti gentilezze, ma io leggo nel tuo cuore, e odo i tuoi stessi pensieri. Giuri fedeltà a me, al voievod, ma la tua lealtà va agli incostanti boier, i nobili che consegneranno nuovamente il loro paese nelle mani di Basarab, amico dei Turchi, per amore di una pace mercenaria.
L’Oscuro mi ha rivelato tutto questo ieri notte, all’interno del Cerchio. Non ne dubito poiché, ultimamente, ho acquistato altri talenti sconosciuti ai comuni mortali, come la lettura dei pensieri e dei cuori. Mentre Gregor passeggia a disagio davanti alla tenda, vedo ora la sua colpevolezza chiaramente, come le parole scarabocchiate qui di fronte a me.
Io stesso conosco fin troppo bene il tradimento, essendo stato spesso tradito. Tradito da mio padre, quando consegnò mio fratello e me, entrambi in tenera età, in ostaggio al sultano. Tradito dal mio biondo fratello Radu, amante di donne e uomini, e del sultano Mehmed, per conto del quale mi strappò il trono.
(Ma ora tu sei morto, non è vero, mio caro fratello minore? Ucciso, alla fine, da quegli stessi comportamenti effeminati con i quali conquistasti il cuore e l’esercito del sultano Mehmed e, in tal modo, il mio regno. Quei begli occhi del colore del mare, verde e blu, sono chiusi per sempre; quelle tumide labbra rosse, che cercavano i seni delle donne con la stessa foga con cui succhiavano il grembo del sultano, non baceranno più. Possano i tuoi sifilitici amanti turchi seguirti presto!).
Tradito persino dal mio amico più fidato, Stefan del Mare, che aiutai a conquistare il suo regno. (Ora fai di nuovo l’amico, mio Stefan, dato che viene a tuo vantaggio; ma io non dimenticherò né perdonerò le tue manovre, che misero Basarab al mio posto. Accetterò il tuo aiuto adesso che ti sei pentito, ma verrà il tempo della tua ricompensa…).
Ancora tranquillità. Nessun grido dalla torre di guardia: appena il sibilo del fuoco, il grattare del pennino sulla pergamena, il silenzio della neve imminente. E lo stropiccio degli stivali di Gregor contro la pietra, mentre cammina su e giù; sono troppo divertito dalla sua ansia per dargli il permesso di sedersi. Un’ora fa gli ho detto:
«Manda qualcuno alle stalle per i cavalli — uno per ciascuno — e fai preparare le provviste per un giorno».
Ah, lo sguardo di malcelato terrore nei suoi occhi, al pensiero che il piano dei boier possa andare storto! «Dove andiamo, mio signore?», mi ha chiesto.
Se fossi stato del mio solito umore, non lo avrei degnato di altra risposta che uno sguardo arcigno (né Gregor avrebbe osato chiedere, se la sua disperazione non fosse stata tanto grande). In questo caso, il mìo divertimento era tale che risposi:
«A cavalcare».»
E mentre indietreggiava inchinandosi verso la porta, con un’espressione di comico dubbio, aggiunsi ad alta voce, in modo che coloro che facevano la guardia all’entrata udissero:
«Fai entrare due guardie. Non ho intenzione di aspettare da solo».
Esse udirono, ed entrarono senza attendere l’ordine di Gregor: erano due bei robusti Moldavi, uno scuro e l’altro biondo, entrambi alti e armati di spade, lasciatimi come pegno a testimonianza della colpa di Stefan per le passate infedeltà. Feci così in modo che Gregor non potesse, se si fosse armato durante la sua assenza, ritornare e cedere all’ansia di vedermi morto.