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Indignata, si voltò per guardarmi in viso.

«Ci teme! E così è ricorso a questa pietosa magia…».

Indicò con disgusto la soglia.

Ma io nutrivo molta fede nelle sue capacità; se mi avesse ordinato di camminare sull’acqua, lo avrei fatto. Attesi che mi oltrepassasse, che uscisse audacemente all’esterno, permettendomi, poi, di fare lo stesso.

Non lo fece: rimase accanto a me sulla soglia, con l’espressione indignata. Non poteva uscire all’esterno, proprio come me. La mia delusione fu completa poiché, onestamente, l’avevo creduta onnipotente.

A causa dell’angolo della porta, non potevo vedere il sole innalzarsi nelle nuvole rosate, né la neve sulle lontane montagne; di entrambi, mi sarei dovuta accontentare guardando attraverso la finestra. Ma mi chinai più avanti che potei, distesi il braccio attraverso la porta, e voltai il palmo verso il cielo.

Lì sentii la pioggia dolce e leggera, fresca e gentile sul palmo voltato verso l’alto; le gocce caddero sul velluto nero — sul quale formarono delle perle — e sul raso blu scuro, che divennero più scuri. C’è qualcosa di consolante riguardo alla pioggia che cade durante il giorno, e qualcosa di lugubre se cade nel profondo della notte.

Infine, abbassai lentamente il braccio e mi voltai tristemente verso Elisabeth.

«Siamo in trappola», le dissi.

La sua espressione era di oltraggio mal represso, sebbene il rosso nei suoi occhi si fosse un po’ schiarito.

«Niente affatto!», esclamò.

«Allora, perché non possiamo uscire?».

Aggrottò la fronte, come se la mia domanda fosse stata altamente impertinente, e con esasperazione spiegò:

«Perché Vlad ci ha giocato un tiro inatteso. Non ti preoccupare, Zsuzsanna: presto lo sistemerò. Ma per ora, vieni. Divertiamoci in un altro modo».

Mi riportò nella stanza dell’inglese, da cui proveniva di nuovo il suono del russare. Elisabeth si voltò verso di me: sembrava una dea di panna vestita di seta color del sole, e allungò il braccio per seguire con leggerezza il profilo del mio colletto con la punta di un dito. Rabbrividii leggermente al suo tocco di piuma sulla pelle del collo e del seno, e immediatamente mi sentii eccitata.

«Oggi non è molto forte», disse, con un civettuolo cenno della testa e la lucentezza del puro desiderio negli occhi. «Ma forse ti piacerebbe una piccola bevuta…».

Volevo più lei che lui e stavo per dire: «No, andiamo nelle tue stanze e passiamo la giornata nel tuo letto», ma aveva già spalancato la porta ed era entrata.

La seguii con una riluttanza solo parziale; il pensiero di cenare di nuovo non mi era del tutto sgradevole, dato che il giorno precedente non ero stata in grado di bere a sazietà. Anche così, non ero affatto sopraffatta dalla fame. Così entrai senza fretta, ma con una leggera curiosità; chi era quell’inglese e com’era successo che fosse arrivato qui? Ovviamente, nelle notti che Vlad era andato a cacciare per noi, doveva essersi recato a Bistritz per impostare delle lettere per quell’uomo…

Invece di portarmi subito vicino al letto per approfittare della mia vittima addormentata, passai accanto all’armadio, dove un certo numero di lettere era ordinatamente sistemato in gruppi. Diedi un’occhiata alla prima, che era apparentemente un qualche documento legale, preparato da un certo Peter Hawkins, Esquire — e firmata dal “conte” V. Dracula.

«Bene!», dissi, con uno sguardo all’uomo che dormiva sotto il baldacchino… ancora una volta, le tende del letto erano state lasciate aperte. Non mi presi la pena di tenere la voce bassa, poiché Elisabeth mi aveva mostrato come impedire ad altri (incluso Vlad) di udirmi. «Il nostro giovane inglese è un avvocato impiegato da un uomo di nome Hawkins, e ha trattato affari legali per conto di un certo V. Dracula».

Gli occhi di Elisabeth si strinsero pensando a un intrigo; immediatamente, si allontanò dal letto per venirmi vicino. Mentre io frugavo in un gruppo di lettere, lei ne esaminò un altro, poi prese un piccolo diario rilegato in pelle e cominciò a leggere.

«Non so dire in che lingua o codice scriveva», disse, dopo un po’. «Ma ha scritto qui il suo nome: Harker. Jonathan Harker, Esquire».

La udii appena poiché avevo esaminato con maggiore attenzione il documento legale e il mucchio di corrispondenza. Fui colpita come Saulo sulla via di Damasco da un’abbagliante rivelazione e, allora, sentii i miei occhi ardere della stessa rossa furia che avevo visto in precedenza in quelli di Elisabeth.

Poiché compresi che quell’uomo non si trovava lì semplicemente come ospite per placare la sete di Vlad. No, era lì per uno scopo molto più sinistro: assistere Vlad nel suo trasferimento in Inghilterra.

Mezzo secolo fa, Vlad mi aveva giurato che mi avrebbe portata via da questo tetro paese verso un’eccitante vita a Londra. Soltanto le nostre difficoltà con mio fratello Arkady e suo figlio, il maledetto Van Helsing, ci hanno impedito di fuggire finora.

Adesso, finalmente, lui se ne andrà… mentre io dovrei restare qui a morire di fame? Per quale altra ragione mi ha impedito di lasciare il castello?

Mi voltai verso di lei, agitando il foglio che avevo in mano.

«Questo», sibilai, «è un documento che stabilisce la proprietà… di un bene che Vlad ha comperato in segreto!».

Smise di leggere il foglio che aveva in mano e mi guardò con un sopracciglio dorato a forma di V invertita, mentre sbirciava il documento che stringevo.

«Sembra Londra», disse pensierosa, restando calma nonostante la mia rabbia. «Purfleet è a Londra». E mi sottopose un altro foglio fumato, la fattura di vendita di un altro immobile. «Carfax. Anche questo è a Londra».

Sopraffatta dalla rabbia, mi sedetti con foga su una sedia di broccato sbiadito.

«Te ne ha parlato?».

Elisabeth si portò dietro di me e mi mise una mano sulle spalle per confortarmi.

Scossi la testa e lei sospirò.

«Mia cara Zsuzsanna… Penso che abbia intenzione di abbandonarti qui».

«Quel bastardo!», imprecai, adirata. «Ci vuole lasciare qui a morire di fame! Ci vuole distruggere: noi che lo abbiamo sempre aiutato!».

Si chinò accanto a me, con un’espressione di estrema compassione e mi abbracciò le ginocchia come per confortarmi.

«Zsuzsanna, ti giuro che non ci riuscirà! Ho aspettato per molto tempo che ciò si verificasse, e ho fatto dei piani».

«Allora perché sei venuta qui, se sapevi che ti avrebbe tradita?».

«Lui mi parlò di te nella sua lettera. Non sono venuta per aiutare lui: sono venuta per liberare te».

Nell’udire ciò, mi chinai e l’abbracciai, premendo il suo viso contro la mia spalla, e sentii calde lacrime pizzicarmi gli occhi.

«Mia dolce Elisabeth, sei stata così buona con me!».

Lei mi tenne stretta e io tenni stretta lei a tal punto che, quando ci allontanammo, entrambe dovemmo riprendere fiato.

«Lo sarò ancora di più», disse, con uno sguardo di infinita decisione. «Ti chiedo solo di avere fiducia in me».

«Non c’è bisogno di chiederlo. Ma cosa faremo? Non possiamo lasciare il castello».

«Aspetta, dolcezza. Aspetta soltanto. Quando verrà il momento giusto, ce ne andremo».

«Non posso aspettare!», gridai, e battei il tacco contro il pavimento come un bambino arrabbiato. «Perché non lo possiamo uccidere adesso? Tu sei così potente, Elisabeth! Perché non lo hai ancora distrutto e non ci hai liberato da questo castello?».

Sospirò e rimase ferma per un po’ fissando, oltre me, qualcosa di lontano, di invisibile. Infine, incontrò di nuovo il mio sguardo.

«Quando sarà passato un altro secolo, o forse due, Zsuzsanna, allora capirai. L’immortalità porta con sé un fardello inevitabile, quello dell’ennui. Mi dà piacere avere un nuovo passatempo: vendicare la tua sofferenza distruggendo Vlad.