Le sue labbra, rosa e radiose come l’alba, si aprirono improvvisamente per il palese stupore.
«Il suo corpo è sopravvissuto per tutto questo tempo? Zsuzsanna, è impossibile!».
«Possibile o no, desideri vederlo?»
«Subito!», gridò, balzando con grazia dal letto e indossando la sua vestaglia con una tale foga che, prima che mi fossi alzata, mi stava già porgendo la mia.
La condussi giù per le scale e, attraverso una botola di quercia marcia e arrugginita rinforzata con il ferro, in cantina: una caverna sotterranea sotto le fondamenta di pietra del castello, un luogo che ho cominciato a considerare come il primo cerchio dell’Inferno. Anni fa, piangevo mentre trasportavo qui il corpo del mio povero fratello: un oscuro grembo di terra pieno di muffa, ornato dalle ragnatele, e coperto di polvere e di feci di topi. Oh, sì, le ossa di tanti martiri riposano nei loculi di quella grotta; le ossa di centinaia di sfortunati che servirono da cena a Vlad finché i servi non ebbero più spazio… e decisero di liberarsi delle vittime successive seppellendole nella foresta.
Il capo di quei martiri è mio fratello.
Per risparmiarmi la necessità di camminare sopra tanta morte e sofferenza, avevo sistemato il corpo di Arkady in uno dei primi loculi vuoti, quelli che non erano chiusi con pesanti sbarre di ferro arrugginito con appese catene e lucchetti che andavano in rovina. Avevo costruito per lui un catafalco di pietra, lo avevo circondato di candele, e lo avevo ricoperto con un drappo di seta nera steso sulla grezza parete di terra.
Lo trovammo lì, che giaceva proprio come l’avevo lasciato in quel terribile giorno: con un palo, così grosso che non riesco a cingerlo con una mano, che attraversava il suo cuore privo di sangue. E così bello nel riposo, con il suo naso sottile ma prominente, la fronte severa e i capelli neri, le palpebre dalle lunghe ciglia chiuse per sempre sui più gentili occhi a mandorla che io abbia mai conosciuto.
Alla sua vista, piansi senza ritegno. Infatti, sebbene il suo ultimo desiderio fosse quello di vedere distrutti me e Vlad — a quanto diceva per liberare le nostre anime (come se potessimo ascendere al Cielo invece che cadere dritti nell’Inferno) — lui ancora mi amava, e io amavo lui. I legami tra fratelli mortali non si rompono così facilmente, neppure a causa della vita dopo la morte, o per diverse fedi. Ero a tal punto sopraffatta dal dolore quando, per la prima volta, lo misi lì a riposare che, se ne fossi stata capace, avrei offerto con gioia la mia stessa esistenza in cambio del suo ritorno. Se me ne venisse data la possibilità, potrei farlo anche ora…
I miei complimenti riguardo alla sua bellezza fisica non sono dovuti al pregiudizio di una sorella; persino Elisabeth è rimasta senza fiato alla vista del suo cadavere perfetto e bello e non è riuscita a spegnere il bagliore di desiderio nei suoi occhi in modo abbastanza rapido da nasconderlo.
«Zsuzsanna!», ha esclamato piano. «Come può essere? Dovrebbe essere polvere o, per lo meno, essersi decomposto in qualche modo…».
Tenevo lo sguardo inchiodato sul mio fratello più giovane, il mio dolce piccolo Kasha, mentre rispondevo:
«Il palo ha ucciso il Vampiro, ma i poteri rigenerativi dei Morti Viventi sono così grandi che, poiché la sua testa non fu mai staccata dal corpo, egli ha mantenuto la sua forma. Sospetto che, nell’istante in cui fossero divisi, la forma fisica si dissolverebbe». Percepii nuovamente il bruciore delle lacrime mentre le immagini mi ritornavano alla mente. «Proprio come Van Helsing ha fatto senza dubbio con il mio bambino, il mio povero, piccolo Jan!».
Elisabeth mi circondò con le braccia e mi accarezzò i capelli mentre mi posava la guancia sulla spalla.
«Che tipo di bastardo è colui che è capace di uccidere il suo proprio figlio?», disse con voce rabbiosa. «Non piangere, mia cara: farò in modo che abbia la fine che si merita da lungo tempo. Sarai doppiamente vendicata perché, se Van Helsing dovesse morire, anche Vlad farà lo stesso o, piuttosto, scenderà nelle braccia dell’Oscuro Signore… o no?»
«Sì», mormorai sulla sua morbida spalla coperta di seta.
«Allora questo è quello che faremo, cara Zsuzsa. Abbiamo bisogno solo di uccidere Van Helsing per vedere Vlad distrutto».
Rassicurata ma triste, risalii con lei le scale. Sentivo un po’ di fame che mi tormentava, e mi sarebbe piaciuto andare a far visita al nostro gentiluomo inglese, ma Elisabeth divenne molto severa: recentemente avevo preteso troppo dal povero Harker e, se non gli avessi permesso un altro giorno di riposo, Vlad lo avrebbe certamente notato e avrebbe fatto qualcosa contro di noi.
Ancora lui! Qualche volta me la prendo con Elisabeth; possiede poteri veramente stupefacenti, ma si muove in punta di piedi intorno a Vlad come se fosse segretamente timorosa. Oh sì, lei dice che lo fa in funzione della sua stessa fame per la preda che verrà, e che senza quei giochi si annoierebbe dell’esistenza, ma io impazzisco di noia ogni ora che resto qui!
Mi arresi con riluttanza, e ritornammo insieme nelle nostre stanze. Sebbene cercasse energicamente di rallegrarmi con una quantità maggiore delle solite prove di vestiti e di acconciature, continuai ad essere inquieta. Infine, mi porse una piccola scatola di velluto, un dono che avrebbe voluto riservare per la nostra prima notte a Londra.
L’aprii mostrando il più grande piacere, e fui veramente commossa e compiaciuta nel trovarvi sistemati all’interno un paio di stupendi orecchini — grossi diamanti rotondi da cui pendevano delle gocce anche più grandi di zaffiri — e, per fare pendant, una collana d’oro da cui pendeva un grosso ciondolo con lo stesso disegno, un diamante che sorreggeva degli zaffiri.
Ero enormemente onorata e compiaciuta di ricevere una prova così dispendiosa dell’affetto di Elisabeth, e ancora di più lo fui allorché le chiesi quando e come fosse riuscita a comprare un tale dono e lei rispose: «Erano miei, e mi furono dati in occasione del mio matrimonio come pegno di stima. Così io li do a te con lo stesso intento».
Mi alzai e la baciai su entrambe le guance, e lei solennemente mi restituì il gesto. Fu così che cominciò nuovamente a parlare di Londra e dei diversi posti dove intendeva portarmi a fare acquisti: a Piccadilly, a Hyde Park, e a Savile Row, ma io non potei fingere interesse a lungo. La mia frustrazione per essere intrappolata in quelle mura di pietra non diminuiva e così, alla fine, mi slacciò i vestiti e mi portò a letto, dove tentò di alleviare la mia ansia in un modo più sensuale. Mentre scrivo mi viene in mente che questa è stata la prima volta che abbiamo fatto l’amore senza che il sangue fosse cosparso sui nostri corpi e senza che io mi fossi appena nutrita. Elisabeth era decisa a migliorare il mio umore, ma i suoi sforzi mancavano stranamente di passione. Quando anche il suo pallido entusiasmo cominciò palesemente a svanire, la scacciai con la mano. Offesa, se ne andò con furia… dove, non lo so, poiché persino con il mio udito soprannaturale, non riuscii a distinguere alcun suono in nessuna parte del castello. Non la vidi più fino a dopo il tramonto.
Per quel momento si era alzata la luna, grande, gialla e circondata da un radioso alone di nebbia in un cielo stellato color indaco. Era una notte calda e bella — anche più bella perché avevo la sensazione che Vlad se ne fosse andato dal castello, lasciando dietro di sé un’atmosfera di piacevolezza — e insopportabilmente romantica, specialmente ora che la mia Elisabeth se n’era andata. Prima di incontrarla, il chiarore della luna piena mi faceva dolere gli occhi a tal punto che evitavo di cacciare ma, questa notte, mi sembrava delizioso, invitante, e il biancore incandescente della luna, increspato di chiaro oro, mi ricordava la pelle e i capelli del mio amore.
Fortunatamente, nel frattempo, Dunya si era alzata dalla sua bara, e io mi distrassi dalla mia solitudine parlando con lei; la sua natura era troppo dolce per mostrarlo, ma io so che sta diventando gelosa dell’ovvio favore di Elisabeth nei miei confronti. Siedo qui con vestiti nuovi e gioielli, meravigliosamente pettinata, mentre Dunya ancora trascorre il giorno nel logoro (ma grazioso) vestito che le comperai venti anni fa a Vienna, con i suoi capelli rosso scuro intrecciati e raccolti nello stesso modo delle serve di Vlad di quattro secoli fa.