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Indugiò in quella posa e poi chiuse lentamente gli occhi, assaporando l’estasi provocata dall’attesa.

Io ero affamata, affamata, più affamata di quanto non fossi mai stata, ma consapevole che il mio desiderio non avrebbe potuto essere saziato soltanto dal sangue. Mi premetti una mano sul petto ansante e guardai il mio amore, la mia Elisabeth.

Anche lei era ebbra di desiderio, poiché la bocca le si era schiusa e, come Harker, ansimava. A differenza di Harker, i suoi occhi blu erano spalancati e apertamente fiammeggianti di lussuria.

Ma non per me, non per me. E non per il nostro inglese.

All’improvviso la gelosia sostituì il desiderio: come poteva guardare Dunya come guardava me? Come osava chiunque altro essere l’oggetto della sua passione!

Ma quell’emozione fu altrettanto rapidamente sostituita dalla sorpresa. L’ossuta spina dorsale curva in un delicato arco, Dunya sollevò le spalle in un gesto che sono arrivata a conoscere bene, poiché è quello del Vampiro che si prepara a colpire.

Nello stesso tempo si udì un rumore simile a quello del frusciare di un grande vento, che entrò impetuosamente nell’aria immobile del salotto.

«Lasciatelo!», tuonò Vlad, e Dunya gridò piena di terrore e di allarme mentre lui gettava a terra un sacco di iuta e correva verso di lei. Prima che io o Elisabeth potessimo intervenire, Vlad le prese il collo tra il pollice e il medio e l’alzò da terra, poi la gettò all’indietro con una forza così grande che lei finì contro il muro. Naturalmente rimase incolume (sebbene rimanesse a tremare nell’angolo), ma la crudele mancanza di rispetto di quel gesto mi riempì di furia. Che cosa sarebbe accaduto se fossimo state io o Elisabeth invece di una serva? Avrebbe osato toccarci?

La mia rabbia aumentò quando lui rivolse la sua ira contro noi due, gridando:

«Come osate toccarlo, voi! Come osate mettere gli occhi su di lui quando io l’ho proibito! Quest’uomo mi appartiene!».

Incapace di sopportare altro, gridai:

«Ma noi non ti apparteniamo, e siamo affamate! Che razza di tiranno è quello che fa morire di fame la sua famiglia e poi ci colpisce quando si presenta l’opportunità di salvarci? Tu dici che ti appartiene, ma lui va in giro per le nostre stanze: non l’abbiamo portato noi qui. Il fato ha deciso che ci dovessimo nutrire!».

Gli occhi di lui divennero rossi per la mia impudenza, come mi aspettavo; penso veramente che, se Elisabeth non fosse stata lì, mi avrebbe ucciso se avesse potuto. Spostava lo sguardo da me a lei, che non disse niente, ma semplicemente rispose al suo sguardo con un mezzo sorriso enigmatico e gli occhi duri, freddi, mortalmente fieri.

Penso che lo avesse spaventato, poiché Vlad rimase in silenzio per un po’ prima di rispondere lentamente:

«Harker sarà vostro tra un po’, quando io avrò finito con lui. Fino ad allora», accennò al fagotto scuro sul pavimento; un acuto grido animale provenne dall’interno ma l’odore era, senza dubbio, quello del caldo sangue umano, «fate in modo che vi basti».

E, sollevato l’inglese svenuto sulle braccia, se ne andò rapidamente come era venuto. Immediatamente risollevata, Dunya corse al sacco e allentò i cordoni; la iuta bagnata si aprì per mostrare un sudicio maschietto nudo di forse un anno, con le guance sporche bagnate di lacrime. Guardò Dunya, e immediatamente si calmò, sebbene il suo piccolo dorso sobbalzasse comicamente per i singhiozzi.

Elisabeth annusò l’aria, con i lineamenti di porcellana contorti dal disgusto e si portò un fazzoletto di pizzo alla bocca.

«Puzza…», disse.

«Ah no!» Scossi un dito verso di lei. «Ricorda Alexander Pope: tu odori. Lui puzza».

«Penso che abbia fatto la pipì nel sacco», disse Dunya, e gli sorrise, sollevata nello scoprire che non solo era sfuggita alla punizione ma avrebbe, dopotutto, avuto la sua cena (il senso dell’odorato, evidentemente, è il primo a soccombere quando la fame ha la meglio). Il bambino restituì il sorriso dolcemente e allungò le sue dita grassocce. «Un bambino…», disse ancora lei, e lo tirò su subito, girando su se stessa e facendogli il solletico sullo stomaco grasso finché lui mandò gridolini di gioia. Lei gli schioccò le dita accanto all’orecchio, poi aggiunse: «Penso che sia sordo».

Un altro dono del nostro tanto-generoso Vlad: un bambino sporco, bagnato di pipì, i cui genitori l’avevano, probabilmente, offerto con gioia.

«Ed è tutto tuo!», dissi a Dunya.

Lei non fece domande circa la mia astinenza né protestò per il dono, ma premette immediatamente le labbra sul collo di lui in un bacio affamato; il bambino rise, dimenandosi come se gli venisse fatto il solletico. Ma la sua risata divenne immediatamente un grido di terrore quando Dunya aprì la bocca e colpì. Il grido cessò subito: gli occhi del bambino divennero vitrei, e rimase immobile menti e i muscoli nella gola di Dunya lavoravano: ben presto restò senza vita tra le sue braccia. Poi lei lo cullò, tenendo il gomito sollevato sotto la testa di lui in modo da poter bere comodamente senza chinarsi troppo: come una madre che allatta il bambino.

La scena sembrava stranamente tenera ed erotica. Mi trovai a desiderare fortemente di unirmi a lei in quell’abbraccio gentile e appassionato. Un’occhiata a Elisabeth mi confermò che anche lei provava la stessa cosa, poiché fissava quei due con lo stesso intenso desiderio che aveva manifestato nei confronti di Dunya e Harker.

Ero ancora gelosa? Sì, come lo sono ora, mentre guardo Dunya che dorme circondata dalle braccia di Elisabeth nel grande letto. Ma quella sciocca emozione non è durata a lungo. Infatti, questa volta Elisabeth ha sentito il mio sguardo sopra di sé e mi ha gratificato di un lieve sorriso seducente. Stranamente, quel piccolo gesto ha fatto sì che la gelosia scomparisse e mi ha, al contrario, riempita di fuoco. Così non ho resistito quando Elisabeth mi ha preso la mano e, mettendosela sul seno appoggiandovi sopra la sua, mi ha attirato con sé al fianco di Dunya.

Non so dire ciò che mi ha posseduto, né riesco a ricordare chiaramente cosa è accaduto dopo. So solo che ci siamo abbandonate a un’orgia di sangue ed eccessi sessuali, e che io ho violato le altre due donne proprio come ognuna di loro ha violato me. Solo un’immagine mi è rimasta chiaramente presente: quella di Elisabeth nuda in ginocchio sul pavimento, che gridava «Ancora, ancora!» mentre Dunya e io tenevamo ognuna un piede del bambino morente e lo scuotevamo in modo che gli ultimi resti del suo sangue cadessero sul seno e sul viso di Elisabeth. Freneticamente lei se lo strofinò sulla pelle, come se in qualche modo potesse trarne beneficio.

Quando fu finito, Dunya era troppo appagata per muoversi, e tutte e tre eravamo appiccicose per i resti del sangue del bambino. Fu Elisabeth che la trasportò, e io mi trascinai dietro mentre andavamo nella camera di Elisabeth. Lì ci infilammo nel grande letto, dove io dormii fino all’alba.

Com’è strano tutto questo e come sono diventata confusa. Sono gelosa di Dunya e arrabbiata con Elisabeth… ma nello stesso tempo, non lo sono. So per certo solo una cosa: che la convincerò a non aspettare più, ma a portarmi immediatamente a Londra.

Capitolo sesto

Il diario di Zsuzsanna Dracul

17 maggio. Quando andai da sola nella camera di Harker, questa mattina — Elisabeth se ne era andata di nuovo, senza spiegazioni — trovai, con mio diletto, che la mia suggestione ipnotica su di lui aveva funzionato, in un certo senso. Stava ancora scrivendo in stenografia sul suo diario, ma aveva cominciato a trascrivere tutto quanto in inglese su della pergamena che aveva, apparentemente, portato con sé per spedire lettere. Aveva cominciato con la registrazione più recente, quella del 16, e io provai un certo divertimento nel constatare il suo punto di vista su quello che era accaduto la notte del 15 maggio.