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«Tu lo sai! Sei tu quella che l’ha uccisa! Io ti ho dato fiducia… ti ho dato fiducia, ma ora…».

Un lampo di rabbia passò sul suo viso, ma fu solo un lampo; si controllò immediatamente e rispose, con un’espressione di infinito dolore e tristezza:

«Zsuzsa, dolce Zsuzsa, come puoi dirmi questo? Come puoi pensare che io abbia voluto fare del male alla tua amica e causarti una tale sofferenza? Tu sei la prima nel mio cuore, e io non ti tradirei mai… Tutto questo è opera di Vlad!».

Non volevo accettarlo; era tutta una recita, una recita a cui io ero stata tanto sciocca da credere.

«Tu l’hai uccisa, allo stesso modo in cui intendi uccidere me! Ti ho visto celebrare il rito; ho visto i capelli di Dunya e i miei sul tuo altare. Ho visto l’Oscuro Signore…».

A queste due ultime parole, le sue sopracciglia si sollevarono bruscamente e il suo sguardo divenne intenso, feroce, chiaro come il diamante: non lo sapeva. Poi, lentamente, le sue sopracciglia dorate si abbassarono; la sua fronte ritornò liscia, e la sua intera espressione tornò a essere composta. Quando infine parlò, le sue parole erano misurate e attente.

«Se tu hai visto, allora sicuramente hai capito il fine del rito: ossia proteggere te e Dunya dal male. Mia cara, ci sono molte cose che non ti ho rivelato per paura di spaventarti. Vlad intende distruggerci tutte, e ci è voluta l’intera mia riserva di forza e di intelligenza per proteggere te. Lo ammetto, ti ho privilegiata rispetto a Dunya, la tua buona serva, la cui morte ti ha chiaramente spezzato il cuore. Il mio errore è stato quello di mettere intorno a colei che amo di più una speciale protezione», e a questo punto mi baciò la mano, chinandosi così che le sue calde lacrime mi caddero sulla carne, «e lasciarne solo una piccola parte per me stessa e per Dunya».

Cosa potevo dire davanti a una tale confessione? Mi misi in ginocchio a fatica, schiacciando inavvertitamente ossa secche e ruvide, e allungai le braccia verso di lei. Singhiozzando, ci abbracciammo.

«Ah, Zsuzsanna mia, mia Zsuzsa, mi dispiace di averti ingannata, ma l’ho fatto preoccupandomi che tu non avessi paura. Vlad è debole, sì, e io sono più potente… tranne per il fatto che lui ha studiato la magia due secoli più di me. Sia suo padre che suo nonno ascesero al trono con l’aiuto dell’Oscuro Signore, e io credo che lui abbia invocato quella potente entità di nuovo, sperando di sconfiggerci. Poiché lui ci teme e, qualunque cosa, o chiunque sia più forte di lui… e che lui teme, è costretto a distruggerla. Ecco come lui ripaga me, dopo che sono venuta a offrirgli aiuto… e te, che sei rimasta la sua leale compagna per cinquant’anni, nonostante ti abbia trattato in modo meschino».

Il suo sguardo era così gentile, così afflitto, e pieno di partecipe dolore, che il mio cuore fu trafitto da una nuova angoscia, quella della consapevolezza di averla ferita ingiustamente.

«Mi dispiace, mi dispiace», mormorai, rinnovando il pianto, e mi strinsi con più forza contro la sua calda pelle d’avorio, contro i morbidi capelli profumati che le cadevano come Godiva sulle spalle, sul seno e sul ventre. «Capisco… hai invocato l’Oscuro Signore per la protezione di noi tutte, ma tu devi avere la stessa protezione che ho io perché, se mi alzo e ti trovo distrutta», a questo punto feci un gesto verso il pietoso mucchio di ossa dietro di me, «morirò veramente di infelicità. Cosa devo fare per salvarti? Insegnamelo, e io verrò a patti con lo stesso Demonio!».

L’accenno di una smorfia si fece strada sul suo viso, e lei mi rimproverò con rapidità a bassa voce.

«Non Lo chiamare Demonio, Zsuzsanna; è così superstizioso e medievale». Immediatamente dopo, si raddrizzò e disse a voce più alta: «Non ti farò scendere a patti con Lui, cara. È troppo pericoloso, anche per quelli di noi che hanno una lunga pratica delle Arti Nere. È un negoziatore scaltro, e mercanteggia soltanto le vite e le vite dopo la morte; fin troppo rapidamente si impossesserebbe della tua anima».

«La mia anima? Che cosa ne deve fare, se non è il Diavolo?».

Lei abbassò gli occhi e, in un ovvio sforzo di distrarmi, disse:

«Vieni via da quelle ossa, cara: sono troppo lugubri!».

Quindi mi sollevò prendendomi per la vita con tanta facilità quasi fossi una bambina, e mi mise giù accanto a lei per spazzolarmi via dal vestito la polvere e i pezzetti di ossa. Distratta, spaventata, mi afferrai a lei che mi portò nel corridoio, e ritornammo verso la stanza che dividevamo.

Ma io ancora riflettevo sulla strana frase circa il suo Maestro; se Lui non era il Demonio, allora era Dio? Sicuramente Dio non si sarebbe abbassato a fare commercio di anime! Poiché il dolore aveva vanificato tutto il mio controllo della cortesia, domandai di nuovo:

«Perché la mia anima?»

«Una questione di parole», mi rispose, ma il suo sguardo era fisso in avanti, sulla sua destinazione, piuttosto che su di me; non potei fare a meno di sentire che desiderava disperatamente evitare del tutto l’argomento, come se fosse troppo spiacevole anche da prendere in considerazione. «Saresti assorbita. Annichilita. Divorata!».

È questo quello che Vlad ha fatto a Dunya? La sua anima è stata mangiata dall’Oscuro con gli occhi pieni d’amore?

Ma se ciò è quello che io sentii in Sua presenza — quel senso estatico del Nulla e del Tutto — allora non posso, come fa Elisabeth, temerLo. Se è lì che Dunya si trova, allora asciugherò le mie lacrime che ancora scorrono…

E desidererò con ardore raggiungerla.

Elisabeth non mi insegnerà nulla della conoscenza necessaria per contattarLo direttamente onde cercare la vendetta nei confronti di Vlad e un’uscita sicura per noi da questo castello. Ma io Lo troverò.

Lo troverò…

29 giugno. Niente da registrare per tutto questo tempo; il dolore ha fatto svanire la mia forza e la mia determinazione. Penso spesso ai defunti: i miei buoni madre e padre, i miei fratelli — Arkady e il piccolo Stefan — e la cara Dunya. Talvolta penso anche a tutte quelle povere anime i cui corpi e ossa giacciono a corrompersi in questo castello e nella vasta foresta circostante. Quanta morte e sofferenza da qualunque parte mi volti! La quantità mi sopraffa, permea la mia mente e il mio cuore…

Ma sono accadute così tante cose che le devo registrare prima che i dettagli sbiadiscano dalla mia memoria. Stanotte, per la prima volta in tanti mesi, la mia mente è diretta verso qualcosa di diverso dalla mortalità, verso un paese lontano che ho sempre desiderato vedere ma che sono arrivata a pensare non potrò mai farlo.

Circa un mese fa, degli tzigani arrivarono con i loro carri all’interno del cortile del castello e si accamparono lì. Era una giornata calda, e ancora più calda per gli zingari, dato che avevano deciso di cuocere il loro pasto di mezzogiorno: un capretto.

Così apprestarono un grande fuoco, vi misero sopra uno spiedo, e si sedettero intorno mezzi nudi, con i petti scoperti e le schiene all’aria che brillavano per il sudore.

La loro presenza era una prova lampante (sebbene io non ne avessi mai dubitato) che Vlad intendeva veramente lasciarmi qui poiché, quando Elisabeth e io cercammo di fare dei segni da una finestra a colui che sembrava il capo del gruppo, gli uomini risero in segno di disprezzo e ci ignorarono… proprio come ignorarono Mr. Harker, che gridava anche lui dalla sua finestra (ovviamente, lui è prigioniero come noi, sebbene fosse del tutto ignaro di aver a che fare con degli zingari. Lo sciocco gettò loro del denaro… che naturalmente quelli intascarono prima di andarsene).

«Fallo stare zitto!», ordinò Elisabeth, con gli occhi socchiusi per la frustrazione a causa degli ammiccanti ruffiani sotto di noi.