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Mi portò immediatamente sul divano e si sedette vicino a me, dandomi gentilmente dei colpettini sulle guance finché osai aprire gli occhi.

Teneva un pugno chiuso sul mio viso, poi lentamente lo aprì per mostrare un crocifisso che teneva sul palmo bianco. Di nuovo indietreggiai e cominciai a coprirmi il viso, ma lei mi ordinò bruscamente:

«Guardami Zsuzsanna. Guarda…».

Guardai. E vidi che la carne sotto il luccicante oggetto dorato era perfetta, intatta. Spaventata, alzai le mie dita tremanti fino alla sua bocca di rubino e la trovai completamente perfetta e bella.

Ma quando mi afferrò il polso e voltò il palmo della mia mano verso l’alto, con l’intenzione di porgermi la croce, gridai nuovamente.

«Non posso! Mi brucerà… Lo so, perché è già accaduto».

«Zsuzsanna!». Il suo tono divenne severo. «È come la luce del sole. Ti può fare del male solo se ne hai paura. Queste sono le paure di Vlad, non le tue; perché le hai portate tanto a lungo?».

E, troppo rapidamente perché potessi resistere, mi spinse l’oggetto nel palmo teso e vi chiuse strettamente le dita intorno.

Io ero troppo spaventata per gridare, per reagire… per fare qualsiasi cosa veramente, tranne che restare a bocca aperta di fronte all’immagine luccicante della mia mano. Alcuni secondi dopo, venne la rivelazione: la croce era fredda e tagliente nel mio palmo ma non mi bruciava la pelle, né la sua presenza risvegliava l’atteso dolore.

«Vedi?», disse Elisabeth, sorridendo ancora. «È un pezzo di metallo, nient’altro, ma Vlad non lo crede, e quindi usiamo le sue superstizioni contro di lui. Avanti, Zsuzsanna… mettilo intorno alla testolina addormentata di Mr. Harker».

Così feci, meravigliandomi della mia stessa impenetrabilità, del mio potere.

«E ora, caro Jonathan», disse Elisabeth piano, rivolta all’avvocato che russava, «devi indossare questa collana dovunque tu vada e, se la catena si dovesse rompere, devi sempre portare la croce sulla tua persona. Se Vlad… il conte», e qui mi lancio un’occhiata, sorridendo alla intenzionale ripetizione dell’informazione sbagliata di Harker, «dovesse minacciarti, sbattigli questo ciondolo in faccia».

Fu così che Mr. Harker divenne il nostro agente.

Quindici giorni dopo, il grappo degli tzigani ritornò con dei grandi cani, e la trama del piano di Vlad si precisò più chiaramente. Non ci sono dubbi: egli sta veramente abbandonando questo luogo, se non per sempre, per un periodo molto lungo. Quella volta, l’amante tzigano di Elisabeth ritornò, ma il loro secondo incontro si limitò agli accordi per il viaggio: il nostro e quello di Vlad. Lui prenderà la via per lui più sicura — una nave — ma noi non siamo così vincolate e lo attenderemo quando, alla fine, arriverà.

Quando vidi i grossi carri scoperti, ognuno abbastanza grande per contenere parecchi bauli colmi di terra (un’altra delle ridicole superstizioni di Vlad, credere che non possa lasciare la Transilvama senza portarne un po’ con sé), la mia rabbia per essere abbandonata scoppiò nuovamente, e supplicai Elisabeth di fare qualsiasi cosa fosse in suo potere per distruggerlo in quel momento. Lei insistette che un tale sforzo allora sarebbe con molta probabilità fallito (cosa non mi sta dicendo adesso per evitare di preoccuparmi?), ma che nondimeno avrebbe provato, utilizzando il nostro inglese per tentare l’azione.

E così fece, spedendo Mr. Harker in una missione diurna per uccidere Vlad (cosa che lui quasi riuscì a fare), ma quello sciocco si fece prendere dalla paura.

E così ora sono seduta, sopraffatta allo stesso modo dall’eccitazione e dalla paura. Stanotte, Vlad è finalmente venuto da me: non l’ho visto per quasi un mese, ma non sono stata sorpresa di vederlo ulteriormente ringiovanito, con i capelli non più bianchi ma scuri, e la carnagione leggermente rosata. La sua espressione era di esultanza mescolata a condiscendente generosità.

«Domani sera», disse, sorridendo, «lui sarà tuo».

Finsi un’espressione di disperazione e dissi risentita:

«Mi stai abbandonando qui a morire di fame. Non pensare che non lo sappia».

Con le sopracciglia arcuate in un gesto di finta innocenza, si mise il palmo aperto sul suo cuore senza vita.

«Io? Zsuzsanna, sei arrivata a comprendere, nella tua infatuazione per Elisabeth, che io, non lei, sono stato il tuo benefattore per tutti questi anni? No, mia cara, devo andare a curare i dettagli di una specialissima proprietà… in Inghilterra. Infine, ho trovato un modo per liberarci entrambi. E non lo farò senza prima pensare a te: lascerò l’ospite inglese solo per te! Quando sarà tutto pronto, prima che tu sia di nuovo affamata, io ritornerò a prenderti».

Non volli incontrare il suo sguardo, ma tenni il mio fisso sulla finestra… e sulla libertà che c’era oltre di essa. Con voce bassa, ostile, lentamente proclamai:

«Arkady non c’è più».

La sua abilità di ingannare era così raffinata che la sua espressione di abbietta sorpresa, contaminata dalla paura, era del tutto convincente. Ma io non ne fui ingannata.

«Cosa?»

«È vero?».

Troppo terribilmente vero. Sapendo che sarebbe ben presto venuto il momento in cui avrei lasciato per sempre quel castello — o mediante la morte o mediante il carro che mi avrebbe portato attraverso il continente — ero scesa quel mattino nella volta sotterranea, per dire addio al corpo del mio caro fratello.

Andato, svanito (sono troppo addolorata anche per piangerci sopra adesso). Nessuna traccia del cadavere, sebbene il palo senza sangue fosse sopra al nudo catafalco di terra dove lui si trovava. A quella scoperta, ero caduta sull’umido terreno polveroso, e singhiozzai al pensiero dei resti del mio dolce Kasha sottratti per qualche malvagio tentativo di magia da quel mostro. E come le Marie davanti alla tomba dissuggellata del Cristo, domandai in quel momento a Vlad:

«Dove lo hai portato?».

Le sue grige sopracciglia si unirono insieme come impetuose nuvole temporalesche, e il suo colorito divenne livido mentre gridava:

«Questo è un altro tradimento, non è vero? Qualche nuova trama per un’incauta vendetta! Sei stata ad ascoltare le bugie di Elisabeth… e io non ti darò altri avvertimenti, dato che non hai creduto al primo. La mia sola soddisfazione deriva dal sapere che presto ti accorgerai della tua stupidità nell’aver creduto in lei e aver abbandonato me… Ma allora tutte le tue suppliche di aiuto saranno tardive!».

Si voltò quindi sui taccili e se ne andò con furia, sbattendo la porta dietro di sé con tale forza che, con il rumore assordante di un colpo di pistola, il legno si fendette in diagonale, come fosse stato colpito da un fulmine.

Durante tutto questo dialogo, rimasi in silenzio. La mia vendetta non consisterà di parole o argomenti, ma di azioni che lo faranno precipitare all’Inferno, nel dolore.

Così, finalmente, ci siamo separati… per sempre. Non provo tristezza, nessuna melanconica gratitudine per colui che mi diede il bacio immortale. Lui mi ha tolto mia madre, mio padre, mio fratello, la mia amica, la mia dignità; ha trasformato tutto il mio amore in ira vendicativa.

Bastardo! Ci incontreremo ancora in Inghilterra… in Inghilterra! Sembra un sogno irraggiungibile, un miraggio che chiama da lontano, ma io temo che quando, finalmente, si avvicinerà, fluttuerà e si dissolverà nella polvere.

No. Nessuna paura, nessun dubbio. Ti troverò a Londra. E lì ti annienterò…

Capitolo settimo

Telegramma. Abraham Van Helsing, M.D., D.Ph., D.Lit, ecc., ecc., Amsterdam, a John Seward, M.D., Purfleet, Inghilterra

28 giugno

Caro e fidato amico,

scusa in anticipo per l’imposizione: necessito tuo aiuto e discrezione, e imperdonabilmente presto. Porto paziente psichiatrico a Purfleet pomeriggio primo luglio, e necessito alloggio per entrambi: ma con supremo bisogno di segretezza. Nessun altro deve sapere che siamo in città.