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Ma dominai la rabbia ed entrai con il traditore nelle stanze private del palazzo che, da lungo tempo non utilizzate, erano talmente fredde che i nostri respiri aleggiavano nell’aria come nebbia. Entrai quindi nella mia sala da pranzo privata, che dava su una piccola cella contenente un altare alla Vergine Maria. Il soldato che ci accompagnava, un giovane forte, si mise subito al lavoro per accendere un fuoco.

Con un gesto plateale mi tolsi il mantello, la cintura e la spada, ponendo tutto sul pavimento vicino al caminetto — e al soldato — e feci cenno a Gregor di fare lo stesso. Vidi il rapido e furtivo sguardo che lanciò alla mia arma, poi al soldato, poi di nuovo a me; nei suoi occhi brillava la riluttanza del codardo. Avrebbe potuto tentare di uccidermi, ma a rischio della sua stessa vita.

«Gregor, amico mio». Feci cenno all’uomo ora stanco di sedersi di fronte a me all’antico tavolo da pranzo. Ero cordiale, conciliante. «È giusto che tu sappia la ragione del nostro rapido viaggio. Ho necessità di… fondi, e così sono venuto qui per prenderne un po’ dal mio tesoro. Ci sono pochi di cui posso fidarmi per un simile compito, persino al castello… e così non te ne ho parlato prima. Ritorneremo presto a Bucarest ma, nel frattempo, riposa e mangia».

Vidi nei suoi occhi la luce avida che avevo sperato di evocare. Poteva attendere finché il tesoro fosse nelle nostre mani e, quando fossimo stati soli nella foresta di Vlasia…

Dopo un po’ il fuoco divampò e la stanza cominciò a scaldarsi. Chiesi al soldato di restare con noi e rimanere di guardia. Un monaco dalla barba bianca con meno denti delle mie dita, entrò con un vassoio di cibo: pollo arrosto freddo, un fiasco di vino, pane e formaggio. Ci servì con molta abilità, allungandosi per riempire le nostre coppe con una mano così nodosa a causa dell’età — piena di vene blu prominenti, un vero bassorilievo sotto uno strato sottile come pergamena di pallida pelle giallognola — che rimasi stupito per il fatto che non tremasse.

Cosa ancora più lodevole, non mostrava paura né sottomissione servile davanti al grande Principe, ma solo silenziosa dignità. Lo trovai gradevole, poiché di solito io sono adulato da sciocchi esseri striscianti, ma la sua singolare padronanza di sé poteva essere piena di disprezzo per la mia eresia. Ho trascorso parecchi anni rinchiuso in una casa in Ungheria, dove l’unico modo di conquistare la fiducia di re Mathias — e riguadagnare il mio trono — era stato quello di convertirmi al cattolicesimo. Fu una mossa politica, nient’altro — in Turchia fui costretto a inginocchiarmi su tappeti da preghiera in direzione della Mecca e pregare Allah — ma sfortunata, poiché ha suscitato il disprezzo del mio popolo.

Avrei dovuto, invece, scegliere la morte?

No, non c’è nulla di nobile nella morte, neanche in quella di un martire.

Ma il vecchio monaco sente che ho tradito Dio, e che perciò merito la Sua punizione, proprio come Gregor merita la mia.

Forse il monaco sarebbe sorpreso di sapere che io temo veramente Dio. Lo temo perché so che il Suo cuore è come il mio: oscurato dal potere ed eccitato per la capacità di dettare l’ora e il modo delle morti degli uomini, godendo della loro sofferenza.

No… il Suo cuore è più malvagio del mio e più spietato. Annienta giovani, vecchi, uomini, donne e bambini, senza riguardo per la loro lealtà, la loro intelligenza, le circostanze. Io risparmio gli innocenti e uccido solo coloro che mi tradiscono; io uccido solo per dare, attraverso lo spettacolo dell’esecuzione, una lezione per chi sopravvive.

Dio non ha tali scrupoli. Uccide allo stesso modo il credente e l’infedele, e il grado di sofferenza che infligge non ha relazione con la devozione della vittima. Né si preoccupa della giustizia: ha permesso a un usurpatore dopo l’altro di rubare il regno che mi spettava, e ora che l’ho ottenuto di nuovo dopo anni di ardue battaglie, non mi aiuterà a mantenerlo. Quindi non potrei mai allearmi con Lui, specialmente dal momento che è troppo geloso per concedermi l’immortalità che cerco.

Ho parlato abbastanza di Dio; ora parlerò di Gregor. Lui e io condividemmo la nostra “Ultima Cena” in silenzio e, quando lui ebbe mangiato fino ad essere soddisfatto e si fu allontanato dalla tavola con un sospiro, gli dissi:

«Amico mio, ultimamente il mio cuore e pesante, poiché so che l’appoggio al mio regno è incerto. I boier si sono rivoltati contro di me…» e, quando iniziò una protesta apparentemente innocente, alzai la mano. «Non pensare che non lo sappia! Ora che Stefan ha ritirato le sue forze, la situazione è ancora più precaria».

Questo non poté negarlo. Dopotutto, per risparmiare loro il pericolo, non avevo permesso a mia moglie e ai miei figli di raggiungermi alla Corte di Bucarest. Mi fermai e, in tono di estrema sincerità, chiesi:

«Gregor, pregherai per me? Per la salvezza e il successo del tuo Principe? So che sei un uomo di fede, mentre io sono ritenuto da alcuni un eretico…». A questo punto mi fermai per gettare uno sguardo di traverso al monaco brizzolato, che era pronto a servirci (sebbene stesse vicino al fuoco per scaldare le sue vecchie ossa), ma lo sguardo del frate era rivolto in basso, e la sua espressione indecifrabile. Forse era sordo, pensai, e non aveva udito, o forse era semplicemente un uomo troppo saggio per manifestare il suo disprezzo, sapendo che non lo avrei perdonato. «Supplica Dio e la Vergine per me», gli dissi. Naturalmente Gregor non poteva fare altro. Annuì, e allora mi alzai dalla tavola con solennità e lo condussi nella piccola cella monastica, la cui porta era accostata così che il suo interno fosse interamente visibile dal tavolo da pranzo. Mi feci il segno della Croce (nel giusto modo ortodosso, cosa che, ne sono sicuro, il vecchio monaco notò) e, fermandomi sulla soglia, feci un gesto al mio aiutante affinché entrasse e si inginocchiasse sul piccolo tappeto davanti al solitario altare dedicato alla Madre di Cristo.

Lui si abbassò con un lamento e uno scricchiolio delle ginocchia; al pari di me, non era più giovane. «Prega per noi», dissi teneramente, e feci cenno al giovane soldato accanto al fuoco di raccogliere l’arma di Gregor e di restare al mio fianco. Potevo vedere di profilo il volto del mio Giuda in ginocchio: com’era simile al mio! Avrebbe potuto essere mio fratello: un fratello che mi voleva pugnalare alle spalle! Guardai il suo viso rovinato dal sole, con il naso e il mento affilati ma delicati, e le labbra sottili e tremanti sotto gli scuri baffi spioventi. Assaporai l’incantevole e lento sorgere del terrore nei suoi grandi occhi — neri quanto i miei erano verdi — mentre il soldato sollevava la spada. Poi ritornai al mio posto al tavolo — la scena era interamente visibile dalla mia sedia, secondo quanto mi proponevo (non era la prima volta che usavo la cella, sebbene sospetti sia l’ultima) — e alzai il bicchiere per bere a lunghi sorsi il dolce vino frizzante prima di parlare di nuovo. «Prega, amico mio. Prega perché io abbia una lunga vita… e per la morte di coloro che mi vogliono tradire». Gli sfuggì un singhiozzo straziante, e strinse i palmi delle mani in una vera supplica, voltandosi sulle ginocchia per guardarmi in faccia. Il piccolo tappeto si mosse con lui, facendo delle pieghe.

«Mio signore, giuro che non ti ho ingannato!», disse con voce spezzata.

Lasciai passare un momento, per lui lungo e tormentoso, prima di rispondere con voce bassa, strana.

«Ti ho forse accusato?».

I suoi occhi si allargarono, poi batté le palpebre e strinse le labbra tremanti. In verità, se fosse stato in grado di pensare una risposta convincente e se io mi fossi fidato appena un po’ meno della mia magia, avrei potuto risparmiarlo. Ma ero sicuro della visione che mi era apparsa nel Cerchio, e delle mie divinazioni. Anche se non lo fossi stato, l’espressione di colpevolezza che apparve in quell’istante sul viso di Gregor, mi avrebbe convinto. Un’unica lacrima lucente gli scivolò sulle guance.