I suoi occhi erano spalancati, per uno stupore inespresso che lentamente stava venendo meno. Penso che non fosse già morto, e così mi accucciai e gli dissi piano:
«Possa Dio mandare la tua anima senza fede dritta all’Inferno. Tu morirai, e anche Basarab morirà, ma io vivrò per sempre».
Mi chinai quindi in avanti, volgendomi in modo che i due uomini dietro di me non potessero vedere, poi sollevai la mano destra senza vita di Gregor, e su quella misi il mio anello.
Poi mi alzai, mandai il giovane soldato fuori della stanza a fare la guardia, e presi da parte il vecchio monaco. A lui affidai una missione: doveva radunare quanti giovani e forti Fratelli erano necessari a portare il corpo dall’altra parte del lago, nella foresta di Vlasia, e lì decapitarlo. Per quanto riguardava la testa, avrebbero dovuto fare un buco nel ghiaccio, e gettarla nelle acque ghiacciate.
Anche nel vecchio c’era la paura, dopo quello che aveva visto; ascoltò in silenzio e non protestò, anche se gli stavo chiedendo di fare qualcosa d’impensabile per lui: lasciare un cadavere senza sepoltura agli uccelli che si nutrono di carogne, nella foresta.
Quando lo ebbi mandato via a eseguire il suo lavoro, feci venire il mio impaziente e giovane assassino nelle mie stanze e gli dissi:
«Il vecchio monaco tornerà con alcuni Fratelli per prendere il corpo e seppellirlo fuori di Snagov. Quando ritorneranno dopo aver attraversato lo specchio d’acqua, voglio che tu li aspetti nella torre di guardia; non permettere che entrino, ma va’ loro incontro al cancello e uccidili».
A ciò accondiscese con bramosia. Poi gli chiesi di mandare un altro soldato fidato che rimanesse fuori dalla porta a fare la guardia alle mie stanze nel corso della notte, in modo che nessuno vi avesse accesso.
Ma, prima, lo aiutai a spostare il corpo caldo di Gregor, ancora sanguinante (respirava ancora? Non riuscivo a deciderlo) dal suo letto di pali, e ad avvolgerlo nel mantello di quel traditore e nel tappeto ora a brandelli, per evitare che il pavimento si macchiasse. Poi il soldato trascinò Gregor fuori, nell’ingresso, per i piedi, e lì rimase ad aspettare i fratelli.
In quanto a me, chiusi la porta col chiavistello dietro di loro, poiché avevo bisogno di solitudine per poter tracciare nel modo giusto un Cerchio. Adesso che ero sfuggito a Basarab e al mio Giuda, era ora di sfuggire alla Morte. Mi era chiaro, infatti, che il mio successo come Principe terreno non si sarebbe realizzato e che, se restavo com’ero, la mia morte era certa. Così cercai un altro regno, uno che non conosceva la morte, ma che mi concedeva ancora potere sui mortali.
Quindi mi voltai, pensando di ritornare al piccolo altare dove molti avevano incontrato la morte, per andare a prendere in un’altra botola nascosta i miei strumenti magici, in modo da poter tracciare un Cerchio e invocare l’Oscuro Signore per il perfezionamento del nostro accordo.
Ma, mentre mi voltavo, vidi davanti al caminetto un piccolo servo coperto di stracci, che smuoveva il fuoco con un attizzatoio. Quella vista mi spaventò a tal punto che gridai:
«Tu! Ragazzo! Come e quando sei entrato qui dentro?».
Volevo sapere se quel bambino aveva avuto la possibilità di sentire il mio piano di abbandonare il corpo decapitato di Gregor nella foresta, e poi fare uccidere i monaci. A giudicare dalla statura, il bambino sicuramente non doveva avere più di sei anni e, con molta probabilità, doveva aver capito ben poco di quello che aveva sentito, ma i bambini sono dei pappagalli, e io non volevo rischiare nemmeno la più piccola possibilità di fallimento.
Al mio grido, la minuscola creatura non tremò, ma continuò ad occuparsi del fuoco con calma soprannaturale. Infuriato, mi portai dietro di lui, quindi presi la mia spada e la trassi dal fodero, pensando di tagliare in due il suo piccolo corpo.
Ma, un istante prima che lo colpissi, il bambino si voltò verso di me e sorrise.
Un ragazzo? Una ragazza? Non avrei saputo dirlo. Seppi soltanto in quell’istante che stavo guardando la creatura più bella che avessi mai visto. I suoi lunghi capelli a boccoli rilucevano come l’oro alla luce del sole, la sua pelle splendeva come lucida madreperla, e le sue labbra erano fresche come una rosa di un tenerissimo colore tenue intorno alle perle perfette dei denti. Il mantello di lana attorno alle sue fragili spalle era stracciato, quasi a brandelli, sfilacciato, logoro, e talmente sporco, che era impossibile indovinare il colore originale del tessuto. La sporcizia non offuscava la bellezza di chi lo portava, ma serviva a esaltarla per contrasto.
Di sicuro non c’era nulla al mondo più grazioso o più delicato di quella piccola creatura. Ma solo quando guardai nei suoi occhi — occhi più azzurri del mare, o del cielo, o dello zaffiro, circondati da fini ciglia dorate e sopracciglia chiare e arcuate — vi scorsi l’infinita intelligenza, la saggezza e la sapienza, più grandi di quelle che qualunque uomo possa mai possedere… e, nello stesso tempo, un’innocenza più profonda e genuina di quella che qualsiasi bambino umano possa avere.
Pensai: Questi sono gli occhi del Cristo.
L’arma mi cadde rumorosamente a terra. Nonostante non lo volessi, rabbrividii, e solo per pura forza di volontà non caddi in ginocchio; l’orgoglio non mi avrebbe permesso tanto presto di imitare Gregor. Ma — com’è difficile essere onesti — sprofondai nel timore e nella paura.
Sapevo, infatti, che stavo guardando l’Oscuro Signore, venuto a me per la prima volta senza che lo chiamassi con il Cerchio. Lui era sempre venuto in seguito alle mie chiamate; ero stato io quello che controllava il mio destino, il mio contratto con lui. Il Cerchio mi dava potere sopra di lui, mi rendeva il suo signore, e lo rendeva soggetto al mio comando… finché ero disposto a fare i sacrifici giusti.
Ora sembrava che non riuscissi più a controllarlo. Questo pensiero mi causò un grande orrore.
«Tu sei l’Oscuro», gli dissi, sebbene in verità non avessi mai visto nulla di più splendente e chiaro di quel bambino sorridente.
Era venuto da me molte volte nella tenebra più profonda, come un’ombra umana senza forma, più scura della mezzanotte; due volte era venuto da me come un uomo barbuto, più anziano e rugoso del vecchio monaco, con occhi innocenti e saggi come quelli.
Innocente come una colomba, ma accorto come un serpente…
«Lo sono», disse il bel bambino con modi piacevoli. «Ho letto nella tua mente la tua intenzione, e ti ho risparmiato la necessità di una chiamata formale. Cosa offri in cambio del mio dono, Principe?».
Parlò con voce bassa, nel modo bleso di un bambino, ma le sue parole e l’atteggiamento erano quelli di un vecchio saggio.
«Se hai letto le mie intenzioni, allora lo sai già».
Rise, in un modo dolce e acuto.
«Concludiamo il contratto con le tue parole».
Rimasi in silenzio. Non avevo mai avuto un grande riguardo per nessuno della mia famiglia, a causa del tradimento per mano del mio stesso padre e del mio stesso fratello. E non portavo amore alla mia seconda moglie, la nobile ungherese Ilona: lei era stata, come la mia conversione al cattolicesimo o l’attacco a Srebrenica, parte di un piano a lungo termine per conquistare il favore di re Mathias, e quindi la mia libertà e il mio regno.
Mi aveva dato due figli: il mio omonimo Vlad, per il momento erede al trono valacco (sebbene, sfortunatamente non anche della mia intelligenza), e Mircea, che già da giovane assomigliava al mio fratello traditore, Radu, sia nell’aspetto che negli atteggiamenti effeminati.
Ma di tutta la mia famiglia, nutrivo — e nutro ancora — qualche interesse paterno per il mio figlio maggiore, Mihnea, datomi dalla mia amata e defunta Ana. Soltanto lui condivide la mia astuzia e ambizione; se dovessi scegliere una persona sulla terra da risparmiare e non sacrificare, sarebbe lui.
Io ero un bambino affettuoso e ambizioso, ansioso di imparare da mio padre e adempiere ai miei doveri come suo erede, ma lui mi tradì senza esitare, consegnandomi ai Turchi.