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«Dottor Van Helsing, intendete dirmi che è stata sepolta viva?».

Scossi la testa: no, no.

«Caro Arthur, caro amico, credete in me? Credete che io mi sono onestamente preoccupato per Lucy e che volevo, e ancora voglio, solo il meglio per lei?»

«Sì, certo», disse, ma i suoi occhi rimasero pieni di tormento.

«Allora permettetemi di portarvi alla sua tomba, poiché lì si trova l’unica prova fisica necessaria a spiegare cosa dobbiamo fare. Se volete aver fiducia e venire con me…».

L’espressione di confusione e dolore sul viso di Arthur mi muoveva a compassione, ma io rimasi freddo e risoluto.

«Prima», rispose Arthur, lottando palesemente per controllare i suoi sentimenti, «devo sapere perché abbiamo bisogno di andare alla tomba. Quale terribile mistero può essere, che voi non potete dirlo semplicemente, come un amico?»

«Vi posso soltanto dire che è per amore di Miss Lucy che andiamo», replicai. «C’è qualcosa che resta da fare per lei, in modo che possa riposare in pace nella morte».

Quincey Morris si mise il cappello in grembo e si chinò in avanti per dire, in tono agitato:

«Bene! Vedete, professore? Ritornare alla tomba per ragioni misteriose è una cosa crudele per Arthur, non pensate? Non vedete quanto è difficile per lui?».

Trattenni la lingua ma pensai: Ah, povero Quincey, so che non è più facile per te!

Continuò, in tono di rimprovero:

«Se la povera ragazza è morta, è morta; che altro possiamo fare per lei?».

Completamente calmo, gli risposi:

«Dobbiamo tagliarle la testa, trapassarle il cuore con un palo, e riempirle la bocca di aglio».

Gli occhi di John si spalancarono immediatamente per puro sgomento davanti a quella improvvisa e spietata rivelazione. Quincey, d’altro canto, si chinò ulteriormente in avanti e mise le dita sulla pistola che portava alla cintura.

Per quanto riguarda il povero Arthur, divenne livido e si alzò in uno scoppio di furia, piegando il braccio destro e tirandolo indietro per prepararsi al colpo che mirava alla mia mascella.

E, prima che John potesse alzarsi per impedirglielo, sferrò un pugno. Ero preparato a un colpo simile; prima che potesse incontrare l’ostacolo, avevo già fatto un passo indietro e avevo ritirato la mia aura, rendendomi del tutto invisibile.

Arthur colpì l’aria, poi indietreggiò con aria di completo stupore, e guardò il pugno con la bocca aperta, come se si aspettasse di trovarvi qualche difetto. Non trovandone nessuno, fissò a bocca aperta la stanza che lo circondava.

Il nostro amico Quincey affondò lentamente nei cuscini e rimise tranquillamente le mani in grembo. Guardai mentre il suo grosso pomo d’Adamo ricoperto di lentiggini lentamente scendeva e poi si alzava di nuovo. Accanto a lui sedeva John, la cui espressione era una strana mescolanza di dolore, di disapprovazione, e di crescente ilarità.

Per lo spazio di parecchi secondi, nessuno pronunciò una parola. Giustamente soddisfatto per averli colpiti, andai dietro al divano dove i due uomini stavano seduti, mi materializzai, e dissi tranquillamente:

«Signori…».

Tutti girarono di scatto le teste per fissarmi. Arthur era così fortemente imbarazzato che cominciò ad oscillare sui piedi. Io girai rapidamente intorno al divano e ritornai da lui: mi strinse le spalle, con gli occhi spalancati e in silenzio, poi si lasciò condurre al divano, dove sedette tra John e Quincey.

«Signori», continuai, «quello che avete appena visto potrebbe essere la conseguenza del fatto che tutti e tre siete impazziti contemporaneamente del tutto, o ci potrebbe essere un’altra spiegazione, una non accettabile secondo la nostra attuale concezione di scienza. Vi devo far giurare il silenzio riguardo a tutto ciò; se voi sceglierete, invece, di parlarne, sappiate che io lo negherò, e che dirò che siete dei pazzi».

Di nuovo, non vi fu una sola parola di risposta.

«Miss Lucy è stata morsa da un Vampiro…», cominciai. Nell’udire ciò, Quincey si agitò e aprì la bocca per parlare, ma io lo feci stare zitto con uno sguardo. «Non il pipistrello, come l’amico Quincey suggerisce, ma un uomo reale che si è trasformato in una creatura né viva né morta; quel Morto Vivente che i rumeni chiamano nosferatu. In inglese, un Vampiro; uno che succhia il sangue dei viventi i quali, a loro volta, diventano Vampiri dopo la morte».

«Che cosa state dicendo?», chiese Arthur lentamente. Non c’era rabbia, ma solo dolore, nella sua voce. «Che Lucy è morta per il morso di uno di questi?».

Annuii, indurendo il mio cuore alla vista dell’effetto su di lui di quella terribile rivelazione.

Quincey gettò di lato il cappello e fece scorrere la mano tra i capelli radi.

«Professore, io vi rispetto», disse, palesemente turbato. «Forse anche di più dopo la vostra piccola dimostrazione qui stasera». A questo punto, noi due sorridemmo debolmente. «E anche se non l’avessi vista, vi crederei egualmente un uomo onesto con le migliori intenzioni, ma… questa non è una cosa che io — che Arthur — può prontamente accettare. Dato che quello che state dicendo è che Miss Lucy è… è…».

La sua voce si spense nel silenzio.

«Non mi aspetto che mi crediate senza vedere la prova. Così vi ho chiesto di venire con me stanotte al cimitero di Kingstead». Qui mi rivolsi ad Arthur, che era ancora intontito, «E, se lo crederete, Lord Godalming, permettetemi di distruggere quella creatura, in modo che la vera Miss Lucy possa riposare».

Arrivammo a Kingstead poco prima della mezzanotte e scavalcammo con facilità la bassa recinzione di pietra (Quincey, con le sue lunghe gambe magre, semplicemente la oltrepassò). Era una notte gelida e ventosa e, sebbene la luna fosse ancora radiosa, delle veloci nuvole ineguali oscuravano, di tanto in tanto, la luce. Avevo portato la mia borsa da medico con i pochi attrezzi necessari e una lanterna spenta. John e Quincey erano al fianco di Arthur, formando una barriera tra il loro amico e la terribile esperienza che doveva venire. John era cupo ma risoluto; Quincey rimaneva in silenzio, ma continuava a gettare degli sguardi solleciti ad Arthur come se fosse deciso a interrompere l’operazione quando il suo amico avesse mostrato turbamento.

Per quanto riguarda lo stesso Arthur, resisteva ammirevolmente bene. La sua espressione mostrava lo sforzo di ritornare in quel luogo di dolore, ma solo leggermente, e non cambiò quando ci avvicinammo alla tomba.

Una volta lì, aprii rapidamente la porta, poi mi voltai verso John e dissi:

«Tu eri con me ieri; il corpo di Miss Lucy era nella bara?»

«Lo era», affermò solennemente.

Aprii spingendo la pesante porta di ferro, con la melodia del metallo che grattava contro la pietra. Vedendo che gli altri tre uomini indugiavano, esitando, io entrai per primo, poi accesi la lanterna. La luce che gettava era debole; volevo che la nostra entrata fosse notata il meno possibile.

Una volta che fui dentro, gli altri entrarono, e io li indirizzai alla bara di Miss Lucy. Ancora una volta posai la mia borsa e tirai fuori il cacciavite con il quale aprii il coperchio, poi lo tolsi. Avevo tirato nuovamente il rivestimento di piombo sopra il cadavere; quando Arthur vide come era stato aperto, impallidì, ma continuò a restare in silenzio, in attesa.

Tirai giù il rivestimento di piombo e vidi una bara scura, vuota. Era come mi aspettavo, poiché ero venuto prima del calare del sole quella sera per togliere i talismani. Conoscevo il cuore di Arthur e capivo che mostrargliela addormentata e bella non gli avrebbe fatto bene. Quella notte sarebbe dovuta essere la loro prima notte di nozze; così dovevo mostrarla come il mostro che era diventata, senza nessuna traccia di bellezza o di romanticismo.

«Diglielo», ordinai a John.

Così John parlò — in modo estremamente eloquente — della nostra visita alla tomba. Uomo di medicina com’è, spiegò — distogliendo lo sguardo quando vide la scintilla di dolore e disgusto in quelli di Arthur — il processo di decomposizione e ciò che ci si poteva attendere da un cadavere di una settimana. Eppure lì c’era stata Lucy, intatta e perfetta, più bella di quanto fosse mai stata in vita.