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Gli occhi di Quincey si strinsero sopra i suoi lunghi baffi incerati; l’espressione tesa di Arthur non cambiò mai, sebbene il suo pallore crescesse.

«E ora fuori», dissi e li condussi nell’aria dolce e fredda.

I miei tre compagni rimasero in silenzio: Arthur chiaramente sprofondato nei pensieri nello sforzo di decifrare il mistero del corpo scomparso, John ansioso per ciò che sapeva che avrebbe presto visto. E Quincey — l’uomo più pragmatico e di mente aperta che io abbia mai incontrato — aveva cessato di cercare un senso per la bara vuota, e ora attendeva pazientemente di vedere cosa sarebbe accaduto prima di arrivare a qualche conclusione. Con notevole disinvoltura, prese un rotolo di tabacco dalla giacca, ne tagliò un pezzo e cominciò a masticare.

Nel frattempo, avevo tirato fuori altri due attrezzi dalla mia borsa: l’ostia consacrata (caricata di tanto potere quanto ne potevo mettere in un oggetto) e una massa di mastice. Sbriciolai l’ostia nel mastice, lo impastai, e con l’impasto feci delle strisce. Queste le usai per sigillare le fessure intorno alla porta.

Poi ordinai agli altri di nascondersi vicino alla tomba dove non sarebbero stati visti da chiunque si fosse avvicinato. Così restammo in silenzio, per un’eternità: quindici, forse venti minuti.

All’improvviso, notai una bianca figura che si muoveva rapidamente avanzando tra gli alberi di tasso, una figura bianca che stringeva qualcosa di scuro al seno. Feci un segno agli altri e indicai.

In quell’istante, la bianca figura si fermò e si chinò sull’oggetto scuro; si udì un grido acuto di bambino, poi il silenzio.

John, Quincey e Arthur, tutti e tre, sobbalzarono al suono; John si mosse per andare a salvare il bambino (come fece istintivamente Quincey, sebbene non sapesse la gravità del pericolo in cui si trovava il bambino). Ma io feci loro cenno di restare fermi, ed essi obbedirono con riluttanza.

Presto la misteriosa figura si avvicinò sempre di più e, in un raggio di luna vagante, i lineamenti di Lucy Westenra divennero chiaramente visibili.

I suoi lineamenti, dico, ma tutto il resto era diverso. C’erano gli occhi di Lucy divenuti duri, seducenti e freddi; e le sue labbra, non più tenere e dolcemente sorridenti, ma sensuali e provocanti, erano tirate a mostrare lunghi denti aguzzi. E da quelle labbra gocciolava del sangue… fresco e rosso, che scendeva in un sottile rivolo per il mento e sul telo virginale dei suoi indumenti funebri.

Uscii da dietro la tomba, con i miei tre compagni vicini, dietro di me. Alla nostra vista, lei sibilò come un felino minacciato e poi, nel riconoscere Arthur, gettò a terra il povero bambino con infernale indifferenza.

«Arthur», disse, con la voce bassa e languida come un gatto che fa le fusa. «Mio dolce marito, vieni!».

Guardai di lato e vidi Arthur che avanzava verso di lei, con le braccia tese, gli occhi prima intontiti dal dolore e ora senza espressione per la trance. Lui la vedeva, sì, ma non come lei era realmente.

Con un balzo fui tra i due innamorati, tirando fuori un piccolo crocifisso d’oro dalla tasca del mio cappotto e alzandolo davanti al viso di lei. Lo feci con una certa ansia, poiché non avevo modo di sapere se fosse insensibile o meno al talismano. Certamente, era giovane e inesperta, e un nemico molto, molto più debole dello stesso Vlad, ma era la prima figlia del nuovo Vampiro, di Dracula il Potente.

Per qualche inesplicabile grazia, la seconda ipotesi si dimostrò vera. Lei si mostrò sensibile. Alla vista della croce, ringhiò, poi si ritrasse. Mi mossi obliquamente, lasciandole una sola possibilità, che lei colse. Con velocità soprannaturale, sfrecciò verso la porta della tomba, intenzionata a trovarvi un rifugio (era veramente una neofita, poiché un qualunque Vampiro esperto sarebbe semplicemente scomparso, e poi sarebbe fuggito in un altro nascondiglio, lontano da minacciosi mortali).

Feci segno ai miei compagni di circondarmi, e tutti e quattro ci avvicinammo alla porta della tomba in un mezzo cerchio, costringendola così tra la croce e l’ostia. Lei esitò come un animale in trappola che cerca di valutare le sue possibilità: si doveva arrendere, combattere, o fuggire?

La furia le contorceva il viso. Quindi si voltò verso di noi, gli occhi socchiusi ma incendiati dalle fiamme infernali, la bocca tirata in un ghigno malvagio che mostrava aguzzi denti triangolari. Era il volto di una diavolessa dell’inferno e, alla sua vista, Arthur emise un gemito d’orrore.

Senza distogliere la mia faccia dal mostro, gridai:

«Lord Godalming! Amico Arthur! Mi date il permesso di andare avanti nel mio lavoro?».

Non ebbi bisogno di vederne l’espressione per sapere che era torturato; il dolore della sua voce era sufficiente.

«Fate come volete», disse con un gemito. «Fate come volete. Non può esistere più a lungo un orrore come questo!».

Poggiai la lanterna e mi mossi verso la Vampira che sibilava; la mia intenzione era quella di togliere dalle fessure un po’ della mistura sacra, in modo che Lucy potesse entrare e poi essere richiusa. Ma, prima che potessi farlo, arrivò un’improvvisa raffica di vento, così forte che mi fece cadere sulla schiena nell’erba fredda e umida lontano da Miss Lucy.

Il vortice divenne così forte che mi inchiodò a terra, e così rumoroso che non potevo udire niente dei compagni dietro di me. Lottai per sollevare la testa e vidi, davanti a me, Miss Lucy che sorrideva con sensualità… stretta nell’abbraccio di Vlad.

Fu il più orribile degli spettacoli, poiché lei lo guardava in totale adorazione, mentre lui stava dietro di lei, con un braccio stretto intorno alla vita e una mano sopra un seno. Non so immaginare come Arthur potesse tollerare una tale vista; se fossi stato al suo posto, credo che mi avrebbe annientato. Quando lui la guardò, tra loro passò uno sguardo di tale passione che fui sorpreso che non si accoppiassero lì in quel momento.

Poi lui alzò il viso verso di me; era livido, pieno della furia di un pazzo, dell’odio di un pazzo. Ma ancora giovane e vitale sotto la sua corona piena e ondulata di capelli nero bluastri, i baffi spioventi e la barbetta a punta… e così innaturalmente bello che persino io sentii la sua forza magnetica.

«Come osi pensare di fare del male alla nostra amata!», tuonò, con una voce tre volte più alta del vento. «Come osi…!».

All’improvviso il vento cessò. Spinse Lucy da una parte con la stessa crudeltà con cui lei si era liberata del bambino, e allungò una mano d’alabastro per afferrarmi al collo.

E John — colui che tra tutti sapeva il rischio mortale che correva — si mise di colpo tra noi e colpì l’Impalatore con le sue semplici mani mortali.

I colpi infastidirono Vlad non più di quanto una mosca potrebbe infastidire un mortale. Mentre John colpiva sempre più forte, il Vampiro rideva, mostrando delle fossette nella pelle di porcellana che circondava i baffi; rideva, mentre alzava John per una gamba e un braccio e lo teneva sollevato, poi si voltò, fronteggiando il duro marmo bianco della tomba.

Arthur cominciò a gridare e si avvicinò, minaccioso; Quincey tirò soltanto fuori la sua pistola dal cappotto e fece fuoco, una volta, due, tre… ogni volta colpendo Vlad direttamente nel petto. Ma le pallottole uscivano semplicemente dal suo corpo non vivente senza causare danno, e il perplesso texano guardò la sua pistola, poi di nuovo il suo bersaglio, con occhi grandi, spalancati.

Anche con la sua forza di un tempo, il Vampiro avrebbe potuto facilmente frantumare il cervello di un uomo con una tale mossa. Per come stavano le cose, non avevo speranze per la sopravvivenza di John e, con l’amore disperato, irriflessivo di un padre, gridai: