«E Zsuzsanna? Non sa del manoscritto?».
La sua espressione si fece stranamente velata.
«Lo sa. Adesso ne sa quasi quanto Vlad, e anche lei cerca la prima chiave».
«E se lei — o Vlad, o Elisabeth — risolve la sesta riga e l’enigma della prima o della seconda chiave…».
Non riuscii a convincermi a finire la frase, poiché il pensiero era troppo terribile per dargli voce.
Ma Arminius lo fece.
«…diventerà come l’Oscuro Signore: onnisciente e onnipresente, talmente potente da controllare ogni forma di male sulla terra. E se Vlad ci riesce, non avrà bisogno di alcun Patto per prolungale la sua immortalità, e perciò non avrà nessun bisogno della tua anima per comprarsi un’altra generazione di vita. Sarà come un dio, in grado di fare ciò che gli piace. Ma, finché non risolve il mistero, potrebbe perdere il manoscritto… proprio come Elisabeth lo perse a suo favore. Se ciò accadesse, lui dipenderebbe totalmente dal Patto e dalla continuazione della tua esistenza, sì da poterti corrompere prima della tua morte e così acquistare la vita per se stesso.
Ciò che ti ha fatto stasera, scegliendo di ucciderti, era il più arrogante degli errori. Sta già cominciando a pensare a se stesso come immortale, invincibile… e questo, penso, lo porterà alla rovina».
Infine restò in silenzio e mi guardò con calma mentre consideravo la sua storia. Le sue ultime parole mi diedero speranza, ma l’intera storia mi aveva riempito di cattivi presagi. Adesso il mio compito era più difficile di quanto avessi mai immaginato durante tutti quegli anni difficili passati a cacciare e a distruggere la malvagia progenie di Vlad sul continente europeo. Per ora dovevo non solo uccidere un potente Vampiro e la sua compagna, Zsuzsanna, ma dovevo impedire che diventassero degli Dei. E non solo loro, ma anche la temibile contessa di Bathory.
«Arminius», dissi, «mi hai riferito una storia inquietante; il mio dovere, sembra, è diventato più difficile di quanto io abbia mai immaginato. Resterai con me e mi aiuterai? E non solo me». A questo punto feci un gesto verso i tre uomini seduti immobili fuori della nostra sfera, «ma anche i miei amici, che hanno pure loro giurato di distruggere Vlad?».
Di nuovo apparve il sorriso dell’idiota sotto gli occhi del saggio.
«Ti prometto Abraham che, quando sarà nuovamente necessario, verrò, ma non prima. Ricorda: il tuo compito è quello di redimere la tua famiglia dalla sua maledizione, e parte di questo lavoro è il difficile viaggio in sé».
«Puoi almeno esaudire una richiesta?».
Sollevò le sopracciglia, così sottili e di un bianco traslucido che il rosa chiaro della sua pelle da bambino si mostrava sotto i peli.
Mi alzai e lo fissai, intento a convincerlo di quell’unica cosa.
«Terrai Miss Lucy nella sua tomba fino al mattino? Vlad non può più essere fermato con i talismani e li ha tolti in modo che non la potessimo distruggere».
Non disse nulla: mi fissò soltanto con quello sguardo meraviglioso e consapevole, poi si alzò con un movimento aggraziato per venirmi vicino. Mentre lo guardavo negli occhi, i contorni del suo corpo sembrarono diventare indistinti, poi scomparvero nelle ombre mentre la sfera di luce che ci conteneva all’improvviso si fece meno forte. Divenne sempre più fioca, finché mi trovai a fissare la grande porta di ferro della tomba delle Westenra.
Accanto a me, la malvagia creatura-Lucy sibilava, sputando bava sporca di sangue, nel cerchio di luce gettato dalla mia lanterna. Era a terra, dove l’avevo poggiata un’eternità — o solo minuti — prima. Sentii, piuttosto che vedere, i miei tre amici che stavano dietro a me in semicerchio; John, lo sapevo, era il più vicino, e teneva alto il suo crocifisso d’argento per tenere a bada il suo amore, una Morta Vivente.
Stranamente, l’improvviso cambiamento del tempo non mi disorientò; forse, il ricordo dell’insegnamento impartitomi da Arminius mi aveva preparato, poiché era un trucco che aveva spesso usato in quei giorni ormai lontani. La presi come una conferma silenziosa che avrebbe esaudito il mio unico desiderio, e cominciai subito a togliere i pezzi di mastice pieno di ostia dalla porta della tomba.
Quando ne ebbi tolto una quantità sufficiente, mi feci da parte e lasciai che la Vampira corresse senza alcun ostacolo dietro di me. Mentre gli altri trattenevano il respiro, lei si appiattì in due dimensioni, poi si ripiegò in una linea sottile come un ago, simile a una signora che piega un ventaglio. Quindi si mosse attraverso l’aria come un’anguilla che si muove nell’acqua, ma infinitamente più veloce; in meno di un batter d’occhi, era scomparsa in una crepa, sottile come un foglio di carta e non più larga del mio pollice.
Immediatamente rimisi il mastice nella fessura, sigillandola dentro. Poi mi voltai verso i miei amici: si trovavano tutti esattamente com’erano prima dell’apparizione dell’Impalatore, Arthur pallido e tremante alla vista della sua dolce Lucy così profanata, e Quincey con le labbra serrate e teso, mentre la sua grossa mano lentigginosa stringeva il braccio di Arthur per sostenerlo. Nessuno era minimamente sconvolto, come se l’attacco di Vlad non fosse mai accaduto, e il mio lavoro alla porta della tomba non fosse mai stato interrotto.
Come se Arminius non fosse mai apparso.
Nemmeno uno dei capelli di John era fuori posto, e la sua espressione era oscuramente tetra e turbata, così come si addiceva alla situazione. Ma, quando lo guardai, lui mi guardò in modo così intenso e intenzionale, e con una tale acuta confusione, da farmi comprendere che ricordava almeno in parte un po’ di quello che era accaduto.
Ma era evidente che per Arthur e Quincey non era così. Perciò feci un cenno con la testa ai miei compagni, presi la lanterna, e camminai fino al bambino che lei aveva lasciato cadere sotto gli alberi di tasso.
Era un piccolo ragazzino di strada, con i capelli dorati e il viso magro incrostati di sporcizia… e il collo, di sangue. Fortunatamente, avevamo incontrato Miss Lucy proprio mentre lei stava cominciando a bere, e così lui aveva ancora un po’ di colore sul suo faccino pallido. Era passato dalla trance a un sonno profondo sull’erba, e sarebbe morto in quel freddo intenso, poverino. Lo presi in braccio e dissi agli altri, che mi avevano seguito:
«Lasciamolo in qualche posto caldo dove la polizia lo possa trovare. Non è stato offeso gravemente e, prima di domani sera, starà del tutto bene».
Quindi andammo via. Arthur e Quincey si diressero al manicomio con John, e io invece feci finta di andare in albergo, poiché avevamo continuato a mentire sul fatto che alloggiavo altrove. Da lì ritornai invece a Purfleet, e strisciai nella mia solitaria cella sotto la protezione dell’invisibilità.
Il diario del dottor Seward
29 settembre, mattina. È una seccatura dover scrivere questo a mano, poiché richiede un mucchio di tempo e mi fa sentire come Neddy Ludd; avevo pensato di tenere una bobina separata con le mie registrazioni “private”, ma la possibilità che possa commettere uno sbaglio e far ascoltare alle orecchie sbagliate informazioni che esse dovrebbero non sapere, è troppo grande.
Eppure, stamattina devo sfogarmi, o diventerò pazzo come il povero Renfield. Troppe rivelazioni, troppe emozioni laceranti…