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Prima della fine del nostro incontro, fu deciso che ci saremmo tutti alzati nelle prime ore del mattino successivo e che saremmo andati subito a Carfax per ispezionare le casse mentre Dracula era — speravamo — ancora a caccia nella notte. Comunque, tutti gli uomini erano d’accordo riguardo a Madam Mina: dopo la recente morte di Lucy, nessuno di loro tollerava il pensiero di metterla in pericolo, e così insistettero perché rimanesse a casa, dove sarebbe stata certamente al sicuro, poiché la porta principale, quelle di servizio, e ogni finestra di ogni stanza occupala sarebbero state sigillate con un talismano.

Quindi, prima di discutere il nostro piano, la mandammo via con la spiegazione che la stavamo proteggendo e che, meno sapeva, più sarebbe stata al sicuro. A questo ragionamento lei si arrese con riluttanza, specialmente poiché suo marito era irremovibile, sebbene io fossi indeciso. Non desideravo vederla in pericolo, ma ero anche preoccupato di perdere una delle nostre migliori menti; sinceramente, fra tutti noi, Madam Mina è quella con la tempra più forte.

E, come John aveva detto nel suo rabbioso dolore, quale vantaggio l’ignoranza aveva procurato alla povera Miss Lucy?

Nondimeno, Madam Mina se ne andò prima che facessimo i nostri piani per Carfax; dopo che se ne fu andata, ci accordammo per partire alle quattro del mattino successivo. Quando la nostra riunione fu sciolta, io me ne andai con John per una conversazione privata poiché, durante la nostra discussione, avevo notato una certa agitazione a metà dell’incontro, un po’ di tempo dopo che Jonathan aveva rivelato l’informazione circa Carfax.

Fu così che prendemmo congedo dagli altri e ce ne andammo nella mia cella, dove potevamo essere sicuri di non essere visti e uditi.

Dopo che fui entrato ed ebbi chiuso la porta, John, che era entrato prima di me, esclamò:

«Carfax! Non vedete, Professore? È l’incrocio!».

«Cosa?».

Mi avvicinai a lui, aggrottando la fronte con curiosità.

«Quatre face», disse e, quando continuai a guardarlo interrogativamente, aggiunse: «Ah, suppongo che non parliate molto il francese. Quatre face, in francese antico vuol dire “incrocio”. Ecco da dove viene il nome Carfax!».

Ci fissammo l’un l’altro mentre quella rivelazione mi lasciava sorpreso; il sorriso che, piano piano, si allargò sul mio viso, era rispecchiato da quello di John.

«L’incrocio», dissi piano, «dove giace il tesoro nascosto! La prima chiave!».

Lui si unì a me nelle ultime tre parole e ridemmo con piacere: piano, però, e non troppo, poiché Dracula vi risiedeva da un po’ di tempo. E se lo aveva già trovato?

John e io ci accordammo subito sul fatto che entrambi avremmo cercato con attenzione i segni che questo fosse accaduto e, in caso negativo, i luoghi in cui poteva essere sepolta la prima chiave. Così andammo presto a letto, poiché io ero molto stanco (non avendo fatto un sonno profondo nei due giorni passati, poiché m’ero trovato o su una nave, o in treno, o in carrozza).

Così dormii profondamente, ma mi svegliai estremamente vigile intorno alle tre; mi vestii e mi diressi all’ufficio di John. Anche lui si alzò presto e mi incontrò là. Prima delle tre e quarantacinque, sia Quincey che Arthur ci avevano raggiunto, e così attendemmo Harker.

Prima che arrivasse, l’assistente entrò di corsa per dire a John che Renfield supplicava per vedere qualcuno. Aggrottai la fronte, pensando che quella era chiaramente la conseguenza del fatto che Dracula interferiva con i nostri piani: John colse il mio sguardo, e cominciò a dire al giovanotto che Renfield avrebbe dovuto aspettare. Ma l’assistente insistette:

«È più disperato di quanto l’abbia mai visto, signore e, se non venite, sarà preso da uno dei suoi violenti attacchi».

Così John si avviò, e io, Quincey e Arthur, ci unimmo a lui. Con sorpresa di tutti, Mr. Renfield sembrava non solo in sé ma assolutamente elegante, e parlava in modo molto persuasivo dicendo che era finalmente rinsavito, e supplicava di lasciarlo andare. Onestamente, a tutti noi sembrò savio e molto sincero, ma John, che ha trattato a lungo con i pazzi, decise di tenerlo in osservazione per un periodo più lungo e io, naturalmente, non gli davo alcuna fiducia e attribuivo la sua disperazione all’influenza di Dracula… e al fatto che il talismano più forte stava effettivamente avendo la meglio. Perché avremmo dovuto liberarlo se poteva essere usato contro di noi?

Quando ce ne andammo, la nuova compostezza di Mr. Renfield per la maggior parte scomparve, e lui cominciò a piangere pietosamente per essere liberato.

Prima delle cinque eravamo alla porta della vecchia proprietà di Carfax, ognuno di noi con una piccola lampada elettrica appesa al petto e indossando uno dei crocifissi di Arminius, tranne Mr. Harker che aveva il suo. E tutti noi — eccetto Harker, del quale tutti noi eravamo riluttanti ad avere fiducia — portavamo in tasca dei pezzi dell’ostia consacrata di Arminius allo scopo di rendere le casse inabitabili per il nostro nemico (in questo modo, anche se Dracula era a conoscenza dei pensieri di Jonathan, non sarebbe stato avvertito in anticipo delle nostre reali intenzioni).

Inoltre, Arthur portava un fischietto d’argento intorno al collo per chiamare in aiuto i cani, se ce ne fosse stato bisogno, poiché nessuno di noi aveva dubbi che quel vecchio edificio fosse pieno di topi.

John utilizzò la sua abilità chirurgica e un vecchio grimaldello per farci entrare dall’entrata principale e noi ci muovemmo rapidamente all’interno: ben presto scoprimmo su un tavolo nel corridoio un anello con delle chiavi. Le diedi a Jonathan, e lo pregai di condurci nella cappella, poiché lui conosceva abbastanza la casa per trovare la strada.

Nella mia vita, non ho mai visto tanta polvere raccolta in un solo posto; infatti, il pavimento era sepolto sotto un tappeto di polvere e sporcizia spesso parecchi pollici, così che non sapevo dire se stavo camminando sulla terra, sulla pietra o sul legno.

Nonostante il nostro desiderio di essere il più silenziosi possibile per timore che l’Impalatore potesse abbandonare la sua caccia presto, sia Arthur che John scoppiarono in un attacco di tosse per le nuvole di polvere alzate dai nostri passi che ci solleticavano la gola. Anche le pareti erano coperte da uno strato grigio e ornate di fitte e antiche ragnatele, molte delle quali pendevano e oscillavano languidamente dietro di noi, rotte dal peso della polvere che vi si era raccolta.

Ero sicuro che l’Impalatore se ne fosse andato, poiché la sua aura era diventata, di recente, così intensa e grande che l’avrei sentita molto vicino all’entrata. Quest’idea si rafforzò quando arrivammo alla porta di legno ad arco che conduceva alla cappella.

Dopo qualche tentativo inutile, Jonathan trovò la chiave giusta e aprì la porta.

Quando fu spalancata, il puzzo orribile della tana del Vampiro uscì fuori. Dopo tanti anni io ero avvezzo ad esso ed entrai subito, ma gli altri, dietro di me, non se l’erano aspettato, e ne furono sconvolti. Nondimeno, si sforzarono di seguirmi.

All’interno si trovava una pietosa rovina di quello che un tempo era stato un luogo di culto vasto e alto: c’erano alcune travi di legno marcio di quelli che, allora, erano stati i banchi e l’altare e, sul muro sudicio, sotto un velo di ragnatele, il contorno di ciò che, una volta, era stata una croce. Doveva essere stato un bel luogo, poiché c’erano due grandi finestre ad arco — forse in origine di vetro colorato — ma da molto tempo coperte, come tutto il resto, dallo spesso strato di polvere.

La stanza parlava fortemente di oscurità, decadenza, precarietà. Questo era già abbastanza scoraggiante da vedere, ma molto peggio fu scoprire, dopo aver contato silenziosamente, che le casse di legno sistemate in file ordinate non erano cinquanta, ma ventinove.