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Ne mancavano ventuno! Mi accostai a John e gli bisbigliai di dire rapidamente a Quincey e ad Arthur di non sigillare le casse con l’ostia. Farlo avrebbe soltanto messo in allarme, circa il nostro piano, il Vampiro, che così avrebbe potuto nascondere le altre casse in maniera più accorta. John riuscì a parlare agli altri due uomini mentre Harker era distratto nel contare e nel guardarsi intorno per trovare qualche altro posto in cui le casse potevano essere nascoste. Poi diedi istruzioni a tutti di guardare attraverso la sporcizia e la polvere e di cercare qualsiasi indizio che potesse condurci dove erano state spostate le altre casse; naturalmente, John sapeva bene che ciò aveva lo scopo di cercare tracce del manoscritto e della prima chiave.

Mentre noi tutti cercavamo, percepii un improvviso cambiamento nella stanza, uno scintillio di colore indaco che mi disturbò… ma che nello stesso tempo non mi infastidiva. Nello stesso istante, Arthur e Jonathan reagirono entrambi a qualcosa nell’ombra.

«Ho pensato di vedere un volto», disse Arthur per scusarsi.

Non dissi nulla, ma mi accucciai per aprire le casse e guardare tra la polvere e le ragnatele in cerca di qualsiasi indizio riguardo al manoscritto o alla chiave. Mentre così facevo, uno degli uomini si mosse e mi si mise vicino, in attesa di parlarmi di qualcosa… o così pensai poiché, con la coda dell’occhio, vidi un paio di pantaloni e di stivali.

Alzai lo sguardo, con la bocca aperta per chiedere: Sì? Ma la domanda mi morì sulle labbra quando i miei occhi si fissarono su un uomo alto vestito di nero, con lunghi capelli d’argento e neri, e dei baffi; un uomo — no, un Vampiro — la cui pelle brillava del bianco immortale, madreperlaceo, caratteristico di quelle creature.

Vlad, pensai, fissando l’intruso, ma non dissi nulla: la sorpresa mi aveva tolto la voce. Il disappunto mi inondò come il mare più amaro; così persino l’aiuto di Arminius non era servito a nulla. Se i suoi talismani non riuscivano nemmeno a scoraggiare il Vampiro nella sua tana, allora nessuno di noi era al sicuro, e la povera Madam Mina sola nel manicomio…

Ma, mentre lo fissavo, il mio sgomento cominciò a scemare, poiché gli occhi non erano del verde scuro di quelli dell’Impalatore ma nocciola e dolci, e il suo naso non era così aguzzo, né le labbra così crudeli. In effetti, il viso non mostrava né malvagità né dissoluta sensualità, ma gentilezza mescolata a gioia e a dolore.

«Mio Dio!», bisbigliai, inconsapevole di aver avuto l’intenzione di parlare; le parole sembravano uscire da me senza l’intervento del cervello, dei denti, della lingua o delle labbra. «Mio Dio…», ripetei.

Mi guardai intorno, e vidi gli altri occupati a darsi da fare, del tutto inconsapevoli dell’immortale che stava accanto a loro. Il Vampiro era invisibile, ma io non lo ero; quando si voltò e mi fece cenno di seguirlo dietro a un angolo, obbedii, facendo del mio meglio per fare finta che mi fosse appena venuto in mente un nuovo posto dove cercare.

Una volta che fummo entrambi al riparo dalla vista degli altri, mi aprì le sue braccia e ci abbracciammo.

«Brain, mi hai reso orgoglioso», bisbigliò nelle mie orecchie. «Molto orgoglioso…».

«Arkady», bisbigliai e mi allontanai per guardarlo meglio. «Papà… Come può essere? Vent’anni fa ti lasciai cadavere nel Castello Dracula, con un palo che ti trapassava il cuore».

Si batté il petto ora intero e sorrise.

«Non lo capisco nemmeno io ma, in qualche modo, sono stato resuscitato… da chi, non lo so. Forse è stato possibile perché non sono stato decapitato». Il suo sorriso svanì e mi guardò intensamente. «Ne parlerei ancora, ma abbiamo poco tempo prima che il sole sorga, Bram. E c’è qualcosa che deve essere trovato, e rapidamente, altrimenti Vlad diventerà così potente che nessuno, nemmeno il Diavolo stesso, sarà in grado di fermarlo».

«Sì, lo so… il manoscritto».

Lui ne fu piuttosto sorpreso. «Chi te ne ha parlalo?», mi chiese.

«Arminius».

Un’ombra di sorriso apparve sul suo viso.

«Sono contento che ti aiuti lui ancora». E di nuovo, seriamente: «Vlad non ha ancora trovato la prima chiave: di questo ne sono sicuro. Se lo farà, acquisterà ancora più potere di quello che ha adesso. È qui, da qualche parte; io la cerco quando mi è possibile, ma non sono alla sua altezza di questi tempi. Probabilmente adesso arrivo a stento al tuo livello».

Sorrisi, mentre scuotevo la testa.

«Ora tornerò ad essere invisibile e parteciperò alla tua ricerca. Ma dobbiamo lavorare rapidamente, poiché non è rimasto molto tempo prima che lui ritorni». Quindi si allontanò da me e cominciò a scomparire… ma prima che la sua scomparsa fosse completa, si fermò, e con un’espressione malinconica chiese:

«Mary è ancora viva?».

Io non sono un uomo facile alle lacrime ma, di recente, ne ho versate molte. E, a quella domanda, i miei occhi si riempirono ancora.

«È al sicuro, ad Amsterdam».

Alla mia reazione, la sua espressione divenne di preoccupazione e di angoscia.

«Ma non sta bene?», chiese ancora.

«Sta morendo».

«Ah!», mormorò con un lamento, ritornando ad essere pienamente visibile, e si voltò. «Se non fosse per Vlad, la vedrei un’ultima volta…». Si raccolse ancora in sé, e poi chiese: «E il tuo bambino, Jan… so che è difficile, ma lo hai…».

«L’ho ucciso», risposi amaramente. «E, sì: Gerda da allora è impazzita».

«Riposa», disse Arkady e mi circondò con un braccio gelido.

«Riposa dolcemente e in pace, per merito tuo. Presto Gerda sarà liberata dal suo dolore; verrà il momento. Devi credere…».

Quindi mise il suo viso contro il mio collo e pianse lacrime freddissime. John sarebbe stato preso dal terrore, lo so, al vedermi permettere a un Vampiro una tale vicinanza alle mie vene, ma con Arkady non avevo paura. La mia unica preoccupazione era di non arrendermi al dolore: non lì, davanti agli altri, non lì, quando c’era del lavoro da fare.

Presto si raddrizzò e disse, sospirando:

«Sempre dolore con noi Tsepesh! Sempre dolore… Volevo tanto risparmiarti il dolore che Vlad può infliggere…».

«Proprio come io volevo risparmiare lui», dissi, indicando John, che era entrato nel nostro campo visivo. Stava lavorando volgendoci la schiena ma, anche così, Arkady lo studiò con triste affetto.

«Un altro figlio», disse meravigliandosi; non era proprio una domanda.

«Tuo nipote», confermai.

Lui mi guardò nuovamente.

«Allora dobbiamo trovare un modo per risparmiarlo, Bram. La tua vita e la mia sono distrutte, come le vite di coloro che amiamo… È abbastanza».

E, mentre ancora lo guardavo, assunse un aspetto evanescente; prima che fosse completamente svanito, bisbigliai:

«Vieni da me ancora. Al manicomio, nella proprietà qui vicino…».

Mentre mi ricomponevo e ritornavo dagli altri, udii la sua voce bisbigliarmi nell’orecchio: Li ho lasciati con una piccola distrazione…

In effetti, lo aveva fatto. Mi trovai immerso fino alle caviglie nella polvere e nei topi; in effetti, le casse, il pavimento e le pareti, erano coperti di nere creature striscianti, e i loro minuscoli occhi riflettevano il chiarore delle nostre piccole lampade con una lugubre fosforescenza. Quasi immediatamente, Arthur soffiò nel fischietto; presto apparvero tre terrier e, dopo qualche riluttanza (senza dubbio sentivano la presenza di Arkady), divennero più coraggiosi e scacciarono quell’ammasso brulicante.

Nel frattempo, la luce del sole si stava avvicinando e sembrava che noi avessimo fatto tutto il possibile per il momento. Ce ne andammo, sollevati per il fatto che nessuno di noi fosse ferito, ma molto preoccupati per le casse mancanti. Bisogna aver paura di ogni ritardo ma, almeno, Harker è in cerca delle altre casse.