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Alla vista dell’involto ebbe paura — ebbe paura con uno spasimo orrendo, come se il potere che emanava da esso gli stesse bruciando la pelle! — e io mi concentrai in me stesso al punto da trovare la mia seconda vista, per cui vidi la sua aura ridotta, consumata, offuscata!

Entrambe le cose sembrarono per lui una rivelazione, poiché un’espressione di incredulità e di rabbia infernale contorse i suoi lineamenti e rese rossi come fiamme i suoi occhi verdi. Era confuso; era stato così compreso nel suo atto, che fu sorpreso da quell’improvvisa mancanza! Era accaduto soltanto di recente?

Mentre Jonathan continuava a russare, mi mossi tra gli Harker e il mostro, avanzando pian piano con l’ostia in alto finché Vlad riprese coraggio e si trasformò in una nebbia scura. In quella forma si mosse attraverso quattro guardiani armati e scomparve sotto la porta, poiché la piccola croce d’argento sopra la finestra creava una barriera che non poteva attraversare.

Immediatamente Madam Mina emise un respiro stridulo e si lasciò sfuggire un grido che lacerò lo stesso velo del Cielo.

Le parole non possono esprimere l’orrore che seguì, quando il povero Harker si svegliò, vide il sangue che sporcava il viso e il vestito di lei, e comprese ciò che era accaduto; a malapena riuscimmo a trattenerlo dall’afferrare il suo coltello — quella larga lama curva conosciuta in India come kukri — e dall’inseguire il Vampiro a piedi.

Per quanto riguarda la coraggiosa Madam Mina, lei era distrutta, non per paura personale, ma per il timore che potesse essere usata per far del male a coloro che amava. Infatti Vlad, nella sua arroganza, l’aveva tormentata crudelmente, dicendo che ora era ai suoi ordini e che sarebbe venuto il momento in cui sarebbe diventata la sua compagna Vampira e la sua aiutante… e avrebbe corrotto ognuno dei cinque uomini che ora lo stavano combattendo.

Con delicatezza la calmai e la convinsi a raccontare tutto quello che era accaduto, mentre John accendeva la lampada. Anche alla sua luce, non riuscivo a giudicare se fosse stata appena morsa e se il rito fosse stato completato, poiché lei si appoggiava contro il petto di suo marito così che i lunghi capelli neri le ricadevano in avanti, nascondendole il viso e il collo.

Quando si fu sufficientemente ricomposta, rivelò il peggio, con una voce coraggiosa che vacillò raramente: il Vampiro l’aveva morsa e lei era stata costretta a ingoiare un po’ del suo sangue. Lo scambio era stato completo, e i nostri sforzi per proteggere Madam Mina avevano avuto come conseguenza il fatto che ora per noi era perduta.

Grazie a Dio, Vlad è più debole! Anche così siamo costretti più che mai a distruggerlo, prima che possa portare a compimento la promessa fatta a Madam Mina.

E se è più debole — come io e John discutemmo in privato — può significare soltanto una cosa: che un altro immortale gli ha rubato il manoscritto. Ma chi?

Prima che Madam Mina avesse finito la sua terribile storia, si stava facendo l’alba. Tutti fummo d’accordo per vestirci e incontrarci dopo poco, onde discutere di ciò che doveva essere fatto.

Prima, naturalmente, John e io andammo ancora a controllare Renfield: era morto, pover’uomo! Pazzo o no, è morto coraggiosamente e per amore di Madam Mina, e per questo io onorerò sempre la sua memoria.

Premetti quindi il talismano della finestra nella sua mano fredda e recitai silenziosamente una preghiera per i defunti.

Quando fummo tutti vestiti e riuniti, il nostro piano divenne chiaro. Andremo in ognuno dei quattro luoghi: a Carfax, dove si trovano ventinove casse; a Mile End e a Bermondsey, che ne contengono sei, e a Piccadilly, dove ce ne sono nove. Le sigilleremo tutte con l’ostia e così provocheremo un confronto tra noi e il Vampiro. Spero nella vittoria ma, anche se l’Impalatore soccomberà, dovremo poi affrontare un nemico ancora più potente…

Capitolo sedicesimo

Il diario di Abraham Van Helsing

3 ottobre, notte. Debbo continuare con l’avventura di oggi. Ce ne eravamo andati alle sei e mezzo del mattino per incontrarci a colazione, essendo stato deciso che tutti avevamo bisogno di un nutrimento sostanzioso per gli eventi del giorno. Così ci affollammo nella sala da pranzo e facemmo colazione con focacce, salsicce e tè.

Sebbene tutti si sentissero esausti e prostrati, lavorammo sodo per mantenere una parvenza di buonumore; Mina era allegra e sorridente come sempre, e Arthur e Quincey scherzarono un po’ con lei e la fecero ridere. Io bevvi del caffè, come un bravo olandese, e sorrisi meglio che potei mentre sorseggiavo dalla mia tazza, guardandoli. Jonathan era quello che, chiaramente, incontrava più difficoltà. Di tanto in tanto, rivolgeva lo sguardo sulla sua affascinante moglie, con gli occhi pieni di lacrime, e distoglieva lo sguardo rapidamente, per timore che lei vedesse la sua preoccupazione e si perdesse di coraggio.

Nel mezzo di tutto ciò, mentre gli altri erano distratti dalla briosa conversazione, il campanello della porta suonò. Un minuto dopo, la governante mi venne vicino e mi disse piano:

«Dottor Van Helsing? C’è una signora alla porta che desidera parlare con voi».

Questo tranquillo annuncio mi lasciò — e insieme a me John, che mi sedeva accanto — sbalordito. Ci scambiammo uno sguardo profondo. Chi altri poteva sapere che ero lì? Tastai il talismano nella mia tasca mentre mi alzavo, chiedendomi se era qualche trucco di Vlad… o se era Frau Koehler che era venuta per annunciare la morte di mamma di persona, invece che mandare un telegramma.

Me ne andai e John mi seguì in silenzio. Gli altri stavano conversando, e Mina rideva con falsa gioia per qualcosa che aveva detto Quincey.

Comunque, prima che raggiungessi l’ingresso, John mi aveva sorpassato, affiancandosi alla governante, che lo rassicurò:

«Stanno aspettando fuori, dottore; so che mi avete chiesto di non lasciare entrare nessuno senza il vostro permesso…».

Quando John aprì la porta appena di un dito se ne andò. Da dove mi trovavo, non potevo vedere oltre lui, ma il suo profilo era facilmente visibile; il movimento dei suoi occhi rivelò che vi era una persona nel portico e un’altra che stava leggermente dietro. Apparentemente non le conosceva, poiché domandò con aria severa:

«Sono il dottor Seward. Posso fare qualcosa per voi?».

Prima udii una voce lontana, stranamente familiare… quella di una signora, con un accento vagamente slavo ma con un’eccellente padronanza dell’inglese:

«Ve ne prego, dottore, ma prima permettetemi di dire che vedervi è per me un piacere maggiore di quanto pensiate. Ho sentito parlare di voi da… fonti indirette».

John alzò la testa confuso e sorpreso, e i suoi occhi si socchiusero in quel particolare modo che sta a indicare che si è incerti se credere a ciò che si è visto.

La signora continuò, con una voce che adesso mi era assai familiare ma era in parte cambiata, al punto che non riuscivo a riconoscerla.

«Desidero parlare con Abraham Van Helsing al più presto. Ditegli che ho informazioni che lo possono aiutare nella sua… ricerca».

Allora mi feci spazio accanto a John, incapace di stare ancora fermo.

«Sono io Abraham Van Helsing».

Nell’ingresso c’era una donna: non era bella, ma piacevole in un modo severo, e pallida, con mento e naso forti e appuntiti, e zigomi alti e sporgenti. I suoi capelli neri striati d’argento erano raccolti strettamente in una folta crocchia alla base del collo, senza pretese di moda o arzigogoli. Era vestita con un semplice vestito nero — contro il quale stringeva un magro e alto cane bianco — e portava un velo, che si era tirata indietro per parlare. Sotto folte sopracciglia nere, i suoi occhi castani erano malinconici, afflitti e, quando mi vide, si illuminarono un po’ ma non sorrise.