Io vivrò per sempre, molto oltre il tempo che ci vorrà per redimere la sofferenza collettiva dei miei antenati.
E, quando il dolore di mia madre morente fu alleviato, mi alzai e sorrisi tra le lacrime mentre lei apriva i suoi occhi azzurro chiaro. «Bram», bisbigliò, e mi riconobbe. Poi, quando Arkady si alzò vicino a lei, in preda all’eccitazione, i suoi occhi si spalancarono con una tale gioia e felicità che mi spezzò il cuore. Gli prese la mano fredda, se la premette sulle labbra e sospirò: «Sono in Cielo? O Dio ha ascoltato le mie preghiere?».
Lanciai un’occhiata a Zsuzsanna e lei mi seguì nel corridoio, chiudendo piano la porta dietro di sé. Restammo lì finché Arkady, con le lacrime che gli brillavano sulle guance e cadevano nella piega delle sue labbra sorridenti, disse:
«È finita. È morta in pace, tra le mie braccia».
Anche noi la trovammo, che sorrideva leggermente, dove l’avevamo lasciata, in una morte serena e pura, e Zsuzsanna e io la baciammo entrambi un’ultima volta sulla fronte liscia.
Quando uscimmo dalla stanza, mio padre mi prese la mano e disse:
«Sono pronto».
Lo sguardo di accettazione triste e felice nei suoi occhi mi lacerava il cuore, ma quello era un dolore puro e benedetto, con la gioia in mezzo al dolore. Camminammo sotto braccio fino al mio studio medico, inutilizzato da molto tempo, e lui si distese sul tavolo chirurgico e scoprì il collo.
Ma prima mi chinai e premetti le mie labbra sulle sue e gli tolsi lutti i dolori accumulati nella sua vita e nella morte vivente, che erano molti. Infine, egli mi sorrise, con gli occhi che splendevano, e io gli diedi la pace.
Una benedizione sulla mia famiglia e sulla vostra; possa Dio garantire a tutti una tale pace. Amen.